Le pareti della Sala del Consiglio Jedi sembravano chiuderglisi addosso. Si sentiva soffocare, lì seduto sulla sua poltrona, in quella stanza vuota. Consumato, diviso. La luce del tramonto fuori dalle immense finestre era di un arancione acceso e caldo, ma non poteva scalfire l'opprimente claustrofobia che stava provando. Gli occhi azzurri, ciechi allo spettacolo, seguivano invisibili percorsi, persi tra pensieri caotici. Dubbi troppo oscuri, troppo personali, che diventavano più insistenti a ogni lacrima scesa a rigargli il volto. E si sentiva sempre meno Jedi, sempre più morbosamente attaccato all'uomo che aveva appena condannato a morte.
Gli ordini del maestro erano stati chiari: doveva rimanere lì, starne fuori. Era troppo coinvolto per intervenire. Troppo innamorato. Nel dirglielo, gli aveva rivolto uno sguardo duro, uno di quelli definitivi. Lo aveva giudicato: vedeva nel suo amore una colpa, uno sbaglio. Una parte di lui gli stava dando ragione, sapeva di stare andando contro ogni regola del Codice, contro ogni insegnamento del Tempio. Quei sentimenti stavano annullando la sua volontà, gli annebbiavano la mente, cancellando ogni dovere, ogni morale. Tutto ciò per cui aveva lottato e sanguinato rischiava di cadere nell'oblio per qualcosa di effimero, estraneo alla vita che aveva scelto. Non c'era nulla di razionale o giusto nel modo in cui si sentiva attratto da quell'uomo; la sua era un'ossessione inespressa che lo stava consumando dall'interno.
Come brace, il lento fuoco della passione era rimasto sopito per anni, seppellito sotto strati di negazione prima verso se stesso, poi verso gli altri. L'aveva scottato di soppiatto, era cresciuto in lui silenzioso, fin quando non gli era più stato possibile ignorarlo. E, allora, l'avevano capito tutti, compreso il diretto interessato. Non era più stato capace di celare il desiderio nello sguardo, di non stringere il labbro inferiore tra i denti per tenerlo fermo, lontano dalle labbra sottili che avrebbe voluto assaggiare. Gli tremavano le mani e il respiro ogni volta che si trovavano nella stessa stanza. Si sentiva divorato dall'azzurro intenso dei suoi occhi, elevato dalla scintilla di comprensione e fiducia che soltanto lui gli riservava. Escluso dal Consiglio, si era allontanato sempre più dall'Ordine per rifugiarsi - metaforicamente - tra le sue braccia, in cerca di un conforto platonico, ma tanto efficace da riuscire a risollevare il suo spirito anche nei momenti più difficili. Nonostante le differenze di anni, politica e capacità, aveva sviluppato con lui un legame sincero e profondo, molto più forte di qualsiasi altro. Gli aveva confidato segreti che neanche il maestro conosceva, sicuro che avrebbe ricevuto in cambio una stretta sulla spalla colma di un affetto che nessun altro era in grado di riservargli. Era stato l'unico a non fargli colpe per il suo amore, ad accettarlo come naturale e umano. Un giorno di qualche mese prima, era scoppiato a piangere nel suo ufficio, durante una delle loro solite chiacchierate. Era bastato un complimento, uno dei tanti che sentiva uscire solo dalla sua bocca, per farlo crollare sotto il peso di una felicità incompleta: era contento per l'orgoglio che l'uomo dimostrava nei suoi confronti, ma voleva di più, senza avere il coraggio di ottenerlo. La paura di rovinare quel rapporto così importante era più forte del desiderio che aveva di farlo evolvere ed era finito bloccato nell'incertezza. Tra i singhiozzi nascosti dietro le mani, però, l'aveva visto sorridere in quel modo bonario, mentre allungava una mano per toccargli la spalla: l'unico contatto che gli avesse mai concesso, ma abbastanza da farlo calmare. «So quello che provi per me», gli aveva detto. I suoi occhi erano rimasti fermi, fissi nei suoi; poi aveva sospirato, come libero da un peso, e aveva continuato a sorridergli. «Ma non te ne devi vergognare: è normale». La questione era stata chiusa lì, saldata in un limbo che non era né un rifiuto né un permesso.
E poi aveva scoperto le sue carte, rivelandogli di essere il Signore dei Sith che tutti cercavano e temevano. Gli aveva offerto potere, un degno riconoscimento, e lui si era sentito tradito, ma anche tentato dalla promessa di una vita migliore, al suo fianco, da suo pari. La spada si era accesa a quelle parole, per istinto, e la lama azzurra aveva illuminato i suoi occhi dello stesso colore, così intensi e familiari. Non l'aveva visto distogliere lo sguardo nemmeno mentre lo minacciava, con la fronte aggrottata: sapeva, con una certezza disarmante, che non avrebbe mai avuto la forza di ucciderlo. Il Sith si beava, al sicuro, dell'amore nutrito per lui, per anni. Si era sentito sfruttato, per questo, e lusingato al tempo stesso: lo conosceva bene, era l'unico a conoscerlo così a fondo. «Vi avverto, vi consegnerò al Consiglio dei Jedi», aveva provato a dire. Era il modo più facile per compiere il proprio dovere senza sporcarsi le mani del sangue dell'uomo che amava. Con un sorriso: «Sono certo che farai la cosa giusta», era stata la risposta.
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La ballata dell'amore cieco
FanfictionAU dove Padmé non esiste o, comunque, si fa i fatti suoi su Naboo e non incappa in un destino crudele. Anakin si strugge d'amore per qualcun altro. Il titolo è ripreso dalla celebre canzone di De André perché non avevo voglia di inventarmi qualcosa...