Capitolo 2

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- Mamma, ti prego! Tutti vanno a quella festa, perché io no? - Era da un'intera settimana che Sara non faceva che assillarmi affinché io la mandassi ad una stupida festa in discoteca organizzata dalla sua scuola.

- Perché l'ho deciso io.

- E da quando in questa famiglia c'è una dittatura? Non eri forse tu che sostenevi che la nostra era una famiglia democratica e aperta a tutto, dove chiunque può esprimere se stesso senza discriminazioni?

- Ho detto una cosa del genere?

- Sì, mamma! - Urlò Sara.
Eravamo a tavola, e quella sera non avevo voglia di cucinare così ordinai del cibo cinese. Per il piccolo Lucas, invece, presi un hot dog.

- Che parole saggie che ho detto, ma resta comunque un no. Hai preso il debito in matematica questo quadrimestre, quando mi avevi detto che avevi recuperato la materia. Mi hai mentito e quindi non andrai alla festa. -

- Lo so perfettamente che ti ho mentito e mi dispiace, ma mamma questa è una festa importantissima. Ci sarà una band famosa che ha accettato di esibirsi visto che uno dei componenti è un ex studente e questa è l'occasione perfetta per incontrarli senza farti spendere centinaia di dollari.

- Non mi sembra giusto, i premi vengono dati a chi si impegna e non a chi non ha fatto nulla per meritarseli. E tu non te lo meriti. - Ero stanca non avevo proprio voglia di discutere, e sapevo che Sara non avrebbe ceduto, ma almeno volevo farla sentire un po' in colpa prima di mandarla a quella festa. 

La sera dopo mia sorella venne da noi per occuparsi di Lucas mentre ero via per accompagnare Sara alla festa.

- Sono pronta, mamma! - Urlò lei entrando in cucina con indosso un abitino nero scollato davanti. I capelli bruni erano legati in una coda alta e in faccia aveva così tanto trucco da essere irriconoscibile.

- Dove pensi di andare conciata così? Ti sto portando ad una festa non ad un night club.

- Ma che dici, mamma. Tutte si vestono così. In discoteca non ci posso mica andare in t-shirt e jeans. -

- E neanche vestita da sgualdrina, se è per questo. Sali in camera tua e mettiti qualcosa di più decente. - Asserii decisa.

- Ma mamma...

- Niente ma, decidi o sali di sopra e ti cambi e vai alla festa oppure ti tieni quel vestitino ma non ti muovi da qui.

Alla fine scelse saggiamente la prima opzione. Per tutto il tragitto in macchina mi tenne il muso guardandomi male di tanto in tanto.

- Questo vestito è più carino dell'altro. Ti sta decisamente meglio. - Dissi spezzando il silenzio.

- Già il vestito rosso, il famoso vestito rosso di Sara Harris, quello che indossa a tutte le occasioni. Hai idea di quanto mi prenderanno in giro? - Rispose acida.

- Ma non è vero che lo indossi in tutte le occasioni.

- Davvero, mamma? Alla festa di fine anno dell'anno scorso, al matrimonio di Kate, al banchetto di beneficenza della signora Adams, alle feste di compleanno delle mie amiche, posso andare aventi per ore. -

- E allora perché non ti sei messa un altro vestito? Ne hai altri quattro nell'armadio. -

- Sì, così mi scambiano per una ragazzina delle medie. -

Sbuffai esausta. - Ho afferrato il concetto, la prossima settimana ti porto a fare shopping, se vuoi. - Ero convinta che così avrei placato la sua ira.

- Preferisco andarci con le mie amiche, potresti darmi i soldi, però. -

Sulla lingua avevo una risposta velenosa che ingoiai insieme al mio orgoglio. - Certo, tesoro. Va benissimo.

Una volta arrivati in discoteca Sara non perse tempo a salutarmi e scese giù dalla macchina, feci appena in tempo ad urlarle: "Passo a prenderti a mezzanotte!" 

Misi in moto e andai via, dopo neanche qualche isolato mi fermai di nuovo. Spensi la macchina e presi il telefono.
Volevo chiamarlo, sapere come stava. Sapevo che non avrei dovuto ma era più forte di me. Non avere sue notizie mi uccideva. Mi mancava terribilmente, il letto vuoto senza di lui era come un buco nero, pieno di solitudine. Era difficile per me staccarmi da lui, avevo passato gli ultimi vent'anni della mia vita insieme a Duncan, un futuro senza di lui mi spaventava anche se il nostro passato insieme mi aveva fatto soffrire.

Digitai il suo numero e lo chiamai.
Segreteria telefonica. Chiusi la chiamata.

Non mi ero neanche resa conto che stavo piangendo. Ero anche in ritardo, Lucas e Molly mi stavano aspettando per andare al cinema.

Misi in moto ma non feci in tempo a entrare in strada che una macchina si buttò addosso a me lanciandomi dall'altra parte della strada. La macchina girò su se stessa fino a schiantarsi con un albero e poi il cofano esplose. Avevo già sbattuto la testa contro il finestrino quando l'air bag mi si aprì in faccia. Un ramo dell'albero cadde sopra il parabrezza distruggendolo.
Non sentivo più il mio corpo, la mia mente era andata così come la mia vista che si era offuscata. Le mie orecchie sentivano suoni spezzati e confusi, alternati a silenzi lunghissimi.

Fu un attimo e da lì iniziò tutto.

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