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Detroit, 20 settembre anno 2038

Sono arrivata.

Il mio ufficio si trova dall'altra parte della città, raggiungibile solo con la mia fidatissima macchina, datata 2010, una carcassa blu che è in procinto di abbandonare la sottoscritta.

Ho accarezzato Thor prima di uscire di casa, come tutte le grigie mattine di questa città, sorridendo al mio dolce pastore tedesco; di grandi dimensioni ma buono come il pane.

Parcheggio vicino all'entrata, sbuffando per la lentezza della mia auto.

Mi avvicino alla reception, pronta a mostrare il mio documento digitale per permettermi di entrare a un androide di fattezze femminili.

Queste macchine super evolute fanno parte della nostra società da circa dieci anni: le si possono incontrare ovunque, nei ristoranti, nei parchi o negli uffici come questo.
Possono avere varie funzioni, molti sono gestori domestici o operai, mentre altri sono modelli speciali (ho sentito dire che è in corso lo sviluppo di un nuovo prototipo detective).
Sinceramente, sono una di quelle poche persone che si trova a disagio con queste meraviglie della tecnologia; posso dirmi immune al fascino robotico.

Cosa mi turba degli androidi?

Beh, la loro incredibile somiglianza a un essere umano (dall'aspetto, i gesti fino alla voce) che si contrappone alla loro freddezza; dimostrandosi semplicemente pezzi di plastica che cercano di imitare la vita umana (fallendo miseramente, se posso esprimere la mia opinione).

In questo periodo ho sentito storie molto preoccupanti sul modo in cui gli androidi possono far crollare il tasso di occupazione in qualsiasi parte del globo, anche se sembra che i governi chiamati in causa non ne siano minimamente interessati.

Se vi interessa leggere riviste di ogni genere (dal sociale, al politico fino al mero gossip) potreste venire a conoscenza che la presenza di questa forma di vita artificiale abbia ribaltato ogni tipo di "confine etico e morale": si parla di affidare vite umane in balia delle macchine o ascoltare musica prodotta da robot e addirittura (potrei vomitare) veri e propri rapporti consenzienti tra androidi ed esseri umani; come se la plastica sostituisse il calore della vera carne.

Scuoto la testa e stringo le labbra.

"Tenente Venere Flawer. Benvenuta in ufficio." mi sorride l'androide al bancone.
Le borbotto un freddo "Buongiorno" mentre mi accingo a raggiungere la mia postazione.

La mia scrivania è sul lato sinistro della sala, mi muovo velocemente tra i miei colleghi che ridono e scherzano, godendosi un buon caffè di prima mattina.
Mi sento ancora sonnolenta e decido di occuparmi di alcuni file sul mio computer.
Non sembra esserci niente di nuovo o niente di benché minimamente eccitante sullo schermo, solo vecchi casi già risolti oppure archiviati per sempre.

Do un'occhiata veloce al tavolo dove poggio le mani: è un disastro.

Non riesco a trattenere un sorrisetto divertito mentre osservo una tazza di caffè rimasta in quell'esatto posto per ben due giorni o una disgustosa ciambella mangiucchiata da un lato.

La mia parete è tappezzata di vecchi distintivi o vecchie foto con amici; sono passati solo un paio di anni da quel vecchio scatto con il Capitano ma risulta un'eternità per come il nostro rapporto, basato sul rispetto, sia precipitato in qualche saluto forzato quando capitava.

Morsi il labbro dal fastidio di questa amicizia sgretolata e passo avanti.

Ah, ecco le mie prime manifestazione anti-androidi.

Alcuni stupidi slogan appaiono sulla mia bacheca, non aggiornata da anni.
Partecipavo attivamente a questi eventi: mi sembrava di avere un ruolo politico all'interno della mia società e di contare qualcosa ma le proteste non sono servite a niente.

Mi sembra ieri quando mi misi nei guai con le stesse forze dell'ordine.

Sghignazzo con malizia a questi piacevoli ricordi e ritorno concentrata sullo schermo, perché in quel momento arriva una notifica sul desktop.

"Tenente Flawer, nel mio ufficio. Immediatamente. Capitano Fowler.".

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