#Chapter 7.

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Arriva l'ora di pranzo ed io sono ancora qui a sparare colpi ad un manichino ormai devastato.

Suona la campana e la cosa non mi rende per nulla felice.

In queste due ore sono riuscita a tenermi lontana dai miei amici e familiari, cosa che sarà difficile fare quando arriverò al tendone e Zack ed Elias mi tartasseranno di domande e di proibizioni. Per non parlare di mia madre, sicuramente Elias avrà già fatto la spia.

Cerco quindi di arrivare al tendone prima degli altri, mi affretto a prendere il vassoio e scappare lontano dalla mensa. Non voglio che mi si pongano domande, né tanto meno sgridate.

Mi allontano, per quanto sia possibile, dal tendone e vado verso gli alberi adiacenti al bosco, quelli più vicini all'accampamento che danno sul campo di allenamento.

Vado a sedermi all'ombra di un grosso albero, circondata da fiori e giocattoli per bambini: è il posto dove di solito le mamme portano i loro figli a distrarsi dai continui eventi.

La breve passeggiata ha già fatto raffreddare la zuppa che, anche a temperature alte come oggi, è stata preparata da mia madre e le altre donne del campo.

Gusto la zuppa di carote e qualche crostone di pane raffermo da giorni, beandomi della leggera brezza che fa vibrare le foglie dell'albero, in totale silenzio.

A fine pasto allungo le gambe nell'erba alta e mi faccio solleticare dai fili che ondeggiano. Chiudo gli occhi immaginandomi di essere al vecchio parco vicino a casa mia con i bambini che giocano, i passerotti che cinguettano e i pesci che nuotano nel piccolo laghetto che c'era sotto un ponticello di legno, dove ho dato il mio primissimo bacio.

Non ricordo nemmeno chi era quel ragazzino, è passato tanto tempo.

Ma aprendo gli occhi niente di tutto questo è reale, è solo un ricordo e vicino a me non c'è nessuno.

Mi concentro sui suoni intorno a me, e quando sto per richiudere gli occhi e ritornare a rilassarmi, uno scalpiccio dietro di me accende tutti i fari di allarme.

Spalanco gli occhi e mi alzo lentamente. Mi giro verso il bosco, ma non vedo nessuno. Impugno la mia pistola e la punto di fronte a me.

"Avanti vieni fuori! So che sei lì."

"Sono io! Non sparare!" dopo pochi secondi esce dalla selva Zack, con le mani alzate a livello delle spalle.

"Ma quanto sei scemo? Potevo spararti!" gli dico rimettendo la pistola a posto e rilassando completamente il corpo.

"Menomale che non l'hai fatto allora." Sorride maliziosamente e si avvicina al mio corpo. Sospiro al tocco delle sue mani fredde sulla pelle delle mie braccia, mi accarezza dolcemente seguendo con gli occhi i movimenti delle sue mani.

"Stai bene?" mi chiede.

Annuisco, mentendogli. So che non mi crede, ma sembra non voler infierire nel discorso. Gli basta essere qui vicino a me, e anche a me basta.

Vedo nei suoi pensieri immagini possibili di me e lui, lontani da qui, liberi. Liberi di vivere la vita come meglio crediamo, insieme.

I nostri occhi s'incontrano.

Passano secondi interminabili, dove a poco a poco lo vedo avvicinarsi sempre di più al mio corpo, mentre mi spinge contro il tronco dell'albero. Secondi interminabili dove il tocco delle sue mani si sposta dalle braccia al mio collo, per poi arrivare ad accarezzarmi il viso.

Secondi interminabili dove vedo i suoi occhi spostarsi dai miei, alle mie labbra e di nuovo ai miei occhi, come a chiedermi il permesso di poterlo fare.

Blossoming. (#Wattys2018) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora