Prologo

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Rowan

In volo verso il New Jersey, incastrata tra due uomini che odoravano di nauseante tabacco e dopobarba fin troppo pungente, il mio pensiero correva alla povera Roxy.

Il bellissimo esemplare di pastore tedesco, di due anni, che viaggiava chiusa in un vergognoso trasportino nella stiva dello schifosissimo aereo, i cui sedili erano così stretti che i gomiti dei passeggeri seduti ai miei lati avevano trascorso più tempo conficcati nelle mie costole che sui braccioli.

Avevo impiegato ben due settimane a cercare una compagnia aerea che trasportasse animali di grossa taglia, a detta del sito 'in tutta comodità', non riuscivo a non preoccuparmi per la sua incolumità.

La presenza di Roxy nell'ignota realtà a cui andavo incontro mi sarebbe stata di enorme conforto, però era anche un buon promemoria di ciò che mi aspettava dopo il diploma: il sospirato ritorno in Texas, luogo in cui viveva la mia migliore amica, Annabeth Chase.
Inoltre, detto tra noi, avevo la terribile sensazione che la cagnolina sarebbe morta di fame aspettando che la mia smemorata zia hippy si ricordasse di lei.

Dopo quasi due anni di pace e serenità nella favolosa città di Austin, ospite di mia zia Angie, mi toccava fare ritorno nel tremendo paese natale in cui avevo vissuto le peggiori esperienze della mia adolescenza.

Mio padre era un ex alcolista che, da qualche mese, aveva recuperato un po' di stabilità e trovato un nuovo lavoro ma, con la sua dipendenza, andava tenuto sotto stretta sorveglianza per il timore di una ricaduta. Il suo sponsor Joel, nonché intimo amico di famiglia, si era preso cura di lui come aveva potuto finché la prospettiva di un nuovo incarico a Boston, dove abitava la sua fidanzata, l'aveva spinto a telefonarmi per chiedere di prendermi le mie responsabilità in quanto figlia.

Peccato che avesse pensato bene di avvertirmi dei cambiamenti avvenuti nella sua vita nel bel mezzo di una fila chilometrica, quando da ore attendevo di acquistare i biglietti per il Festival musicale estivo, un evento a cui volevo partecipare più di ogni altra cosa al mondo.
Appartandomi in un angolo, mi ero tappata un orecchio per sentirlo raccontare con fin troppo entusiasmo la proposta ricevuta, mentre il mio stomaco si ribellava all'idea di partire e la mia mente era già rivolta a tutto ciò che avrei perso.

Non ero scoppiata in lacrime solo perché ero in compagnia del ragazzo che mi piaceva: Calder Chase. L'avevo conosciuto da piccola durante le vacanze estive trascorse con i miei genitori a casa della zia e la nonna materne. Lui era più grande di me di un solo anno e, all'epoca, giocavamo insieme nella piscina gonfiabile in giardino. 

Bei tempi quelli in cui l'idea di stare in costume davanti ad un maschio non mi atterriva ancora.

A metà del secondo anno di liceo, quando mi trasferii ad Austin, del figlio dei vicini ricordavo solo quanto, ai miei occhi di bambina, sembrasse fragile e pallido, con le occhiaie scure e le braccia piene di lividi e cerotti, i capelli tagliati cortissimi che erano tanto biondi da farlo sembrare calvo. Mi faceva un po' di paura, ad essere onesta. Sembrava un fantasma.
Poi una volta cresciuta avevo capito le ragioni del suo aspetto cagionevole: purtroppo era malato di cancro.

Dopo tanti anni, Calder era finalmente tornato in salute, diventando anche molto carino. Inoltre era l'unico ragazzo che non mi avesse mai giudicata per il mio aspetto, la timidezza o il fatto che tendenzialmente fossi diffidente con chiunque mi circondava.
In principio credevo che le sue attenzioni fossero merito delle raccomandazioni di mia zia o che si sentisse in qualche modo costretto ad aiutarmi e farmi da balia perché troppo dispiaciuto per me. Conoscendolo meglio, avevo capito che invece era semplicemente...buono.

Una qualità più unica che rara nel ventunesimo secolo.

Aveva avuto un'infanzia terribile, sempre dentro e fuori dagli ospedali, circondato da pochi amici e tanti pregiudizi, ma tutto ciò doveva averlo reso in qualche modo più sensibile degli altri.

Avrei voluto ricevere il mio primo bacio da lui, la sera del concerto.

Mi vergognavo ad ammetterlo ad alta voce, quasi fosse un'illusione troppo estrema che un tipo come lui potesse interessarsi a me. Forse era così, ma sognare non costava nulla.

La mia migliore amica aveva programmato tutto, schematizzando perfino le fasi del bacio con tanto di disegni esplicativi e dettagli su dove tenere le mani, come inclinare la testa etc...
Non che l'avessi presa sul serio, speravo sarebbe stato un gesto più naturale, eppure aspettavo con ansia il momento fatidico. 

Alla fine non avevo ottenuto un bel niente.
Era stata una fregatura cosmica, come diceva sempre Annabeth.

Mi ero dovuta imbarcare sul primo volo per il New Jersey, abbandonando in Texas le fantasie adolescenziali su me e Calder. Quest'anno lui sarebbe stato una matricola al college, mentre io avrei frequentato l'ultimo anno di liceo nel posto più odioso al mondo. 

Non mi restava che stringere i denti e racimolare le briciole di coraggio che ancora possedevo per far fronte alla miriade di situazioni umilianti e destabilizzanti che mi avrebbero accolta al mio ritorno ad Irvington.

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