Capitolo 23_Take a chance on me

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Adam

Il bruciore alla guancia durò più a lungo di quanto mi aspettassi, considerando che era stato provocato da una ragazzina con i polsi che erano la metà dei miei e senza uno straccio di muscoli nelle braccia. Persisté il tempo necessario a farmi smettere di respirare con affanno e realizzare che Rowan era uscita come una furia dalla porta della dépendance, sbattendola tanto forte da far tremare i muri.

Cristo, avevo avuto uno sclero senza senso.
Le avevo urlato cose crudeli per ferirla intenzionalmente. E per cosa? Fottuta gelosia.

Mai provato prima un simile senso di possesso nei confronti di qualcuno.

Non appena aveva socchiuso gli occhi, preparandosi a lambirmi con la sua voce dolce, neanche stesse parlando a un leone pronto a divorarla, sapevo che avrebbe detto qualcosa che non mi sarebbe piaciuta. Quando il nome di Calder era scivolato via dalle sue labbra, la mia testa era partita per la tangente. Ero impazzito all'idea che avesse chiesto a lui di accompagnarla.

Imbecille.
Naturale che l'avesse fatto. Lo conosceva da anni, era stato il suo confidente e migliore amico molto prima che io la sentissi anche solo nominare.

Presi un respiro profondo, assicurandomi di essere più calmo e uscii a cercarla. La valigia era ancora nella mia auto e immaginai che non fosse andata via senza recuperare i suoi vestiti.

Difatti se ne stava là fuori, nel parcheggio dopo il vialetto principale, a prendere a calci la mia povera Chevrolet. Fosse stata un'altra persona, e in qualsiasi altro frangente, l'avrei probabilmente fatta arrestare. Ma quella era la versione vendicativa della ragazza che mi piaceva e in fin dei conti lo meritavo.

L'afferrai per le spalle allontanandola dalla macchina e la tenni saldamente stretta a me, mentre cercava di picchiarmi e imprecava ad alta voce.
Sorrisi. "Ringrazia il cielo che i Moore sono fuori città o ti avrebbero già denunciata per disturbo alla quiete pubblica" le sussurrai all'orecchio, mentre si divincolava tra le mie braccia.

"Non m'interessa se qualcuno mi sente, apri quel dannato bagagliaio o ti uccido!" urlò, paonazza in volto, colpendomi con i suoi pugnetti d'acciaio. Non mi scomposi e la lasciai sfogare, poi me la caricai in spalla – in puro stile uomo delle caverne – e la riportai all'interno.
"Non fare promesse che non puoi mantenere"

"Ma quali promesse? Questa è una minaccia seria e sono capacissima di mantenerla!"

Scoppiai a ridere scrutando i suoi capelli arruffati, una volta tornata in posizione eretta. Compresi troppo tardi quanto fosse sbagliata la mia reazione e dovetti ricorrere ai miei migliori riflessi per evitare che il suo ginocchio ossuto mi colpisse i gioielli di famiglia.

Allora sì che mi avrebbe freddato sul serio.

La placcai, bloccandola sul divano, in una posizione – io sopra di lei – che normalmente avrei trovato eccitante, ma che al momento serviva solo a tenerla buona.

"Togliti di dosso, razza di cafone ignorante, pesi un quintale!"

"Tra un secondo, tesoro" replicai, mellifluo, sistemandomi meglio tra le sue gambe. Evitai di poco l'ennesimo schiaffo, segno che non apprezzava il nuovo epiteto.

"Riesci a stare ferma un secondo e ascoltare le mie dannate scuse?" dichiarai ad alta voce. La mia resa attirò la sua attenzione, così Rowan smise di dimenarsi e scalciare. Incrociò le braccia al petto e mi lanciò uno sguardo di sfida dal basso.
"Guarda il lato positivo, almeno ora non piangi più per quella stronza di tua madre" azzardai.

"Non stavo piangendo! E poi queste sarebbero le tue scuse?" mi riprese.

Capii che faceva sul serio quando tentò nuovamente di spingermi via. "D'accordo, hai vinto. Sono stato un bastardo della peggior specie, Scott. Mi dispiace tanto"
Il suo cipiglio contrariato sembrò vacillare, così continuai.
"Apprezzo che tu abbia voluto parlarmi di New York, so quanto abbia significato per te e non avrei dovuto infierire quando eri più vulnerabile"

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