00. the dead boy

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Australia, 2018

 
Allungo le dita, sfiorando con delicatezza le piccole piume colorate appese sopra il mio letto, sorridendo mentre ne sento la carezza morbida.

Si dice che le piume degli acchiappasogni servano per aiutare i sogni a volare nelle menti delle persone, mentre la ragnatela di fili colorati intrappola quelli cattivi, salvando così gli uomini dai loro mostri più nascosti.

Mio padre mi regalò il mio primo acchiappasogni a due anni, ed era di colore rosa con le piume bianche: aveva inciso sopra il nome di mia madre in lettere dorate.

Mi sono sempre chiesta se lo avesse fatto perché sperasse che facessi bei sogni su di lei, o, magari, perché intrappolasse il mio dolore, liberando così la mia mente.

Lui non mi ha mai risposto, non l'ho mai sentito una volta pronunciare il suo nome, e poi, semplicemente, ho smesso di chiedere.

E così, di lei, mi è rimasto solo un ammasso di fili ed un paio di lettere dorate, che ogni notte osservo penzolare sopra la mia testa, sperando che serva davvero a qualcosa.

Abbasso la mano, appoggiandomela sul petto e corrucciando appena le labbra, stanca.

E' l'una del mattino e mio padre sarebbe dovuto arrivare almeno cinque ore fa dal suo solito giro quotidiano: questa cosa non mi piace affatto.

Volto il viso verso la finestra vicina, notando il cielo stellato che, come un manto dipinto, ricopre la pianura australiana.

Mio padre descrive questo posto come una vecchia zia che, certe volte, ti allunga di nascosto una manciata di soldi, mentre altre smaschera i tuoi peggiori incubi davanti ai parenti.

A me, questo posto, è sempre sembrato per quello che è: erba, desolazione, cavalli e sabbia.

Un posto dove certe persone ancora si rifiutano di tenere una televisione in casa e che preferiscono avere un unico medico di fiducia piuttosto che permettere agli industriali di costruire un nuovo e tecnologico ospedale.

Un posto che sa di storia, di libertà e di tremenda solitudine.

Sicuramente, io mi sento sola.

Sgrano gli occhi quando vedo una luce fioca colpire il mio viso e subito sorrido, capendo che cosa questo significa: mio padre è finalmente tornato.

Scendo dal letto, correndo verso la finestra, pronta a fargli una delle mie solite ramanzine sui suoi ritardi incredibili, ma, non appena il mio sguardo cade verso il basso, ogni più vana idea scompare dalla mia mente.

Non è solo.

Afferro velocemente una felpa e me la infilo sopra il pigiama leggero mentre scendo le scale in legno, arrivando in cucina, dove subito mi blocco quando noto che il tavolo è stato completamente liberato e che, al posto dei centrotavola, un ragazzo svenuto sta imbrattando tutto di sangue.

"Oh, Christine." Mio padre nemmeno mi guarda mentre continua ad aprire i cassetti, forse cercando qualcosa. "Sai per caso dove sono le forbici?"

"Chi è questo?" Chiedo, invece, indicando il ragazzo vestito con una strana tutina rossa e blu, completamente lacera.

Sembra quasi che qualcuno gli abbia dato fuoco, eppure, nonostante il sangue, nemmeno una ferita rovina la sua pelle abbronzata.

Questo non ha senso.

"L'ho trovato sulla strada del ritorno," ribatte lui, tornando verso il ragazzo con le sue forbici in mano, passandosi le mani fra i capelli castani, già sudato. Michael Pierce alza i suoi occhi blu, scrutandomi con la sua solita attenzione.

L'ho già visto tante – troppe – volte quello sguardo, e so perfettamente che cosa significa.

"Non sappiamo nemmeno chi è," esclamo, sinceramente sconcertata. "Se fosse una persona pericolosa?"

"E' ferito, Christine," mi corregge mio padre, duro, togliendomi subito ogni possibilità di replicare. "Mi ha chiesto aiuto ed io non posso non aiutarlo, chiunque lui sia."

Stringo le labbra, osservando il ragazzo steso sul tavolo in legno, ormai macchiato di sangue, e noto subito la linea dura della sua mascella comparire dal vestito bruciato.

Avrà forse quindici, sedici, anni, e, già dal primo sguardo, si capisce che non è di queste parti.

Mi chiedo come diamine possa essere finito qui e, soprattutto, in queste condizioni.

"Ti ha davvero chiesto di aiutarlo?" Chiedo, infine, rialzando gli occhi su quelli di mio padre, ancora in mia attesa.

Si inumidisce le labbra, teso, mentre mi scruta attentamente, quasi stesse studiando le mie reazioni, così da decidere se dirmi o meno la verità.

Dovrebbe aver capito che, ormai, mi accorgo subito di quando mi mente.

"In realtà, l'unica cosa che mi ha detto è che pensava di essere morto," spiega, brevemente. "Poi è svenuto."

Pensava di essere morto.

Sbatto le palpebre, sinceramente sconcertata, oltre che perplessa: questa è una delle peggiori idee mai avute da mio padre e, di cattive idee, ne ha avute davvero tante.

"Io gli taglio la tuta, tu preoccupati dei suoi parametri vitali," dico, infine, e subito mio padre sorride, fra l'orgoglioso ed il vittorioso.

"Sapevo che lo avresti detto."

Alzo gli occhi, prendendogli poi le forbici dalle mani, avvicinando con cautela le mie mani al braccio del ragazzo, sentendolo insolitamente caldo.

Non so perché, ma quasi mi sorprende il fatto di sentirlo ancora così vivo.

"Deve essersi perso," commenta mio padre, mentre prepara con cura la flebo da somministrare al ragazzo, sperando che questa lo aiuti a riprendersi.

Taglio un lembo della tuta, strappandone poi tutta la manica, iniziando a portare alla luce il fisico ben delineato dello sventurato.

"Beh, vorrà dire che lo aiuteremo a tornare a casa."

Angolo

Buonasera a tutti e benvenuti🌼

Avevo in programma questa storia da un bel po', ma mi sono convinta a scriverla solo ieri sera parlando con alcune di voi e chiedendo la benedizione in giro, quindi siate clementi haha

La storia sarà ambientata dopo infinity war, ma si capirà tutto più avanti :)

Spero che come prologo vi abbia intrigato e di sapere se come idea vi può piacere :)

A presto,
Giulia

The lost hero || spider manDove le storie prendono vita. Scoprilo ora