Il telefono squillava già da mezz'ora ma non risposi, sicuramente era mio padre che come al solito doveva riempirmi di porolone, per via della mia condotta. Ormai avevo afferrato il messaggio dei miei, ero la "pecora nera" della famiglia, questo perchè ovviamente non ero alla loro "altezza". Non ero una studentessa modello come mio fratello Tom, che frequentava una delle più prestigiose università del paese, ottenendo sempre il massimo dei voti, a scuola la mia condotta abbassava automaticamente i voti finali, non ascoltavo mai ciò che mi veniva detto perché preferivo sbatterci la testa per capire i miei errori, in pratica per loro, ero un disastro in tutto ciò che facevo ed ero quasi... come dire!? Un'annullità?? Si ecco loro la pensavano proprio così. Spesso quando ero nervosa, mi rifugiavo in un casale antico abbandonato da varie generazioni e solo lì trovavo la mia pace. A dir la verità le loro ramanzine non mi toccavano più, anzi, mi scivolavano addosso, ma nulla toglieva il mio perenne stato di nervosismo... Non appena il suono del cellulare cessò, controllai le chiamate, erano circa una ventina, tutte di mio padre e 2 di Kate, la mia migliore amica. Rimisi il cellulare nello zaino e continuai a fissare il soffitto nero, e a pensare quanto la mia vita fosse senza senso, ma come ogni giorno mi creavo delle convinzioni, che oltretutto mi avevano sempre aiutata ad afforntare tutto con prontezza. Sapevo per certo, che temere tutto ciò che ci accade, è come temere la vita, e chi ha paura della vita è morto a prescindere. Ne ero certa perchè era ciò che avevo imparato nel mio percorso di vita, che per mia sfortuna-fortuna, mi aveva presentato tantissime situazioni di merda. In questi casi, ci si sente stanchi, afflitti e non gratificati, ma fuggire o abbattersi non serve a nulla, anzi da ogni problema bisogna imparare la lezione e tornare più forti di prima ed è proprio quando vorresti arrenderti, che devi lottare. Mentre pensavo e ripensavo a tutto ciò, sentii dei rumori che mi fecero sobbalzare. Mi affacciai all'enorme finestra che era alla mia destra, ma non vidi nulla, così decisi di avviarmi verso le scale per controllare se ci fosse qualcuno. Camminai silenziosamente e non appena arrivai alla porta notai un ragazzo, che in un batter d'occhio sferrò un pugno violento al muro. Era nervoso, forse anche lui come me, veniva al casale per scaricare le sue tensioni. Rimasi lì, impalata e l'osservai, poco dopo si sedette al suolo pieno di frammenti e detriti, si accese un sigaretta e si passò una mano tra i capelli. Era davvero carino. Il suono del mio cellulare ci fece sobbalzare entrambi, infatti lui alzò lo sguardo perplesso e mi vide. Rossa in viso corsi a prendere il cellulare dallo zaino e riposi "Cosa c'è?" "Cazzo Giada ma che fine hai fatto?" "Arriva al dunque Kate" "Sono circa 3 ore che ti cercano i tuoi. Vuoi tornare a casa o vuoi far perdere la pazienza anche a me??" "Non sono in vena Kate. E poi sono viva e vegeta, mi sono rotta di..." mi interruppi non appena mi voltai e vidi il ragazzo che prima stavo osservando, sulla soglia della porta. "di??" "Lascia stare domani ne parliamo. Ora..devo andare" "Giada vai a casa per favore" "Siiii" chiusi la chiamata ed afferai velocemente lo zaino per andar via. "Problemi?" "Come scusa?" "Anche tu qui per problemi?" "Beh a dir la verità..si" "Capisco" i nostri sguardi si incrociarono ed il verde dei suoi occhi mi suscitò una strana sensazione. "Emm...ora vado" gli passai davanti e scesi di corsa le scale. Non appena uscii sentii la sua voce echeggiare nell'aria "Comunque mi chiamo Sam" mi voltai verso di lui e gli sorrisi, per poi andar via. Durante il tragitto, pensai a quanto bello fosse Sam e a quale problema lo affliggeva così tanto. Non appena misi piede in casa, uno schiaffo arrivò deciso sul mio viso. "Si può sapere che fine avevi fatto?" "Mi ero trattenuta in giro. Non posso?" "Non rispondermi in questa maniera. Perché non hai risposto al cellulare?" mio padre aveva uno sguardo truce ma non m'importava per cui risposi con voce ferma "Non l'ho sentito" "Non prendermi per il culo. Anzi ora dammi il tuo cellulare e lo riavrai tra una settimana" sapevo che era inutile controbattere, così lo presi e glielo porsi "Contento?" mi voltai e corsi in camera. Avevo voglia di spaccar tutto e di urlare. Urlare fino a quando la mie corde vocali si sarebbero arrese ma non potevo. Mi tuffai sul letto, presi l'mp3 e misi le cuffie nelle orecchie, perchè era solo quello lo sfogo migliore al momento. Mentre le varie canzoni risuonavano nella mia mente, sovrastando il rumore dei miei pensieri, crollai in un sonno profondo. Sentivo dei rumori e delle voci in lontanianza ma i miei occhi rifiutavano di aprirsi, dopo circa 10 minuti mi risvegliai e notai che l'mp3 era ormai spento. Guardai fuori dalla finestra e c'era un buio pesto, decisi così di accendere il Pc ed avvisare Kate, che mi avevano sequestrato il cellulare. "Giada" "Si??" "Scendi... è pronta la cena" "Non ho fame" "Forza scendi" "Mamma ho detto che non ho fame. E sto studiando" "Fa come vuoi. Ma poi scendi per pulire!" "Ok" alzai gli occhi al cielo per via di quell'affermazione. Come al solito io dovevo fare l'inserviente in casa per poi non essere nemmeno apprezzata. La rabbia riprese il sopravvento su di me, ma cercai di opprimerla messaggiando con Kate. Purtroppo però, non era Online, ma le mandai ugualmente un messaggio.
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~Voglia di urlare~
General FictionNon aspettare di finire l'università, di innamorarti, di trovare lavoro, di sposarti, di avere figli, di vederli sistemati, di perdere quei dieci chili, che arrivi il venerdì sera o la domenica mattina, la primavera, l'estate, l'autunno o l'inverno...