20.37. Il sole sta calando, che poi uno si chiede cosa voglia dire che "il sole cali". Lo guardi, lui sta, inarrivabile nella ciclica quotidiana perfezione, e d'un tratto - stupore, ogni volta - ti accorgi che si è abbassato al tuo livello, che si rende visibile, tanto che potresti stare lì a guardarlo, e il più delle volte lo fai, con impeto di sfida – di star sfidando il sole e la natura tutta – perché gli occhi non bruciano più così tanto, perché lo guardi e quasi riesci a vedere il cerchio che brillando gli dà un limite, solitamente custodito e nascosto da luce accecante. Lo guardi, forse lo immagini, e già cominci a covare l'impressione che ti si stia aprendo davanti chissà quale spiraglio, che ti si stia svelando un segreto, che in quel momento non conta dove tu sia o cosa stia facendo, ma non riesci a smettere di stamparti nella cornea quel bordo, quella circonferenza, quel sottile tratto che per te è promessa, arroganza, infinito. Il segreto del sole.
Continua a calare. Raso al suolo lo osservi mentre cede colore, si indebolisce, si annienta all'orizzonte e quasi pensi che davvero l'uomo possa, che la vita sia sua, che tutto quanto sia al suo servizio – uso e consumo-.
E poi, come a rimetterti al tuo posto, il tramonto. Il sole cala e, nel farlo, ti lascia lo spettacolo della sua eredità. Un'esplosione, che non c'è altro modo di definirla. È lì, che nel mostrarti il suo segreto, nel mostrarsi fragile, ti lascia davanti agli occhi l'immensità dei suoi colori. Cinque. Cinque sfumature, che vanno crescendo e diminuendo di intensità, che si mescolano tra loro con una precisione quasi millimetrica, quasi scientifica, quasi artificiale, ma che artificiale proprio non può essere, così perfetta che non vorresti guardare altro per il resto della tua vita. Impercettibile scambio di ruoli, in particolar modo per chi passasse di lì e osservasse da fuori la scena. Ma tu sai in quel preciso istante, con la certezza che solo le cose non dette possono darti, che la natura ti ha battuto anche oggi. Morissi in questo momento, avresti negli occhi per sempre, per l'eternità, quel tramonto e nient'altro, e questo sarebbe abbastanza. Hai smesso di cercare segreti che non troverai e tutto ciò che ti resta da fare è lasciarti investire da quell'esplosione, prenderla tutta, uscire dal cerchio dinamico tutto umano del vedere -domandarsi – sentire - sperare, con uno sguardo che non è lì per prendere, ma per ricevere quel tutto nella cornea, sottopelle e poi in ogni singolo brivido che ti scivola lungo la spina dorsale, e veloce sulle braccia. Implodi con lui. Tu sei lì, il tramonto davanti - attorno - dentro - e non stai più vedendo: lo stai vivendo e lo stai facendo entrare.
Mai sopportata la pelle d'oca, ma avrei fatto uno sforzo anche questa volta.
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Microcosmo di un occhio che guarda
CasualeIllogica cronaca e aleatorie osservazioni.