Giorno 2 (pt 2)

3 0 0
                                    




1.15 PM

Finalmente sento il suono della campanella, afferro svogliatamente lo zaino e attraverso il corridoio sotto lo sguardo indagatorio di tutti gli studenti. Sensazione spiacevole quella di stare al centro dell'attenzione, non fa decisamente per me.

Varco la porta che mi conduce fuori dall'edificio. Sto scendendo gli scalini quando una voce familiare mi richiama. Mat è difronte a me con il resto dei ragazzi che ho "conosciuto" stamattina.

-Allora come è andato il tuo primo giorno di lezioni? – fortunatamente il suono di uno schiaffo desta l'attenzione di tutti in modo che io possa non rispondere con la solita alzata di spalle.

La rossa, Victoria, ha tirato uno schiaffo al ragazzo che stamattina stava fumando nel cortile. La situazione sembra aggravarsi visto che i ragazzi del gruppo le si avvicinano.

-Cristo santo Kristian stai fottutamente scherzando?! Avevi promesso cazzo- il ragazzo in tutta risposta le ride in faccia. Negli occhi di Victoria riconosco un sentimento che conosco bene, non la rabbia, no. La delusione.

La delusione, a parer mio, è la peggior sensazione che un essere possa provare. La delusione è mancanza, non adempimento ad una promessa. La delusione permane, ti entra dentro, passa dal petto e arriva dritta al cuore. La delusione ti fa sentire incapace di fare qualcosa. Ti distrugge, ti rende debole. Fa male la delusione. La rabbia passa da un giorno all'altro la delusione permane sempre, questo almeno per me.

Mat prende in disparte il ragazzo mentre la ragazza bionda e Grethe si precipitano da Victoria.

Mat discute animatamente con Kristian che però si limita a dondolarsi sui talloni e ridere divertito dalla situazione.

Che idiota, mi ritrovo a pensare mentre sovrappensiero sorrido amaramente.

-Cosa hai nel cervello? Diamine Kristian è tua sorella non puoi farle questo, non di nuovo-

-Non penso siano affari tuoi Mathias- la voce del ragazzo è roca e pungente.

-Ti prego vai a casa- mormora sua sorella con lo sguardo vuoto e perso nel nulla.

La risposta del ragazzo si limita ad un alzata di spalle menefreghista finché non si volta imboccando la strada di uscita per il college.

Ed ecco Victoria che si lascia andare, una lacrima le solca il volto come se fosse scappata dai suoi occhi mentre tutto il suo corpo cerca di ricacciare il dolore. Stando in silenzio inizi a capire le persone anche semplicemente dai piccoli gesti che fanno. Victoria guarda un punto fisso, sta pensando a qualcosa. Forse sta pensando che non è una buona sorella o forse che è di nuovo punto e a capo o forse che non vuole tornare a casa. Mathias si avvicina a lei abbracciandola. Non ricambia subito il gesto del ragazzo, si volta e mi guarda come se volesse qualcosa da me, come se pretendesse qualcosa da me. Forse perché sono l'unica che non prova pena nei suoi confronti un po' perché non ce ne è bisogno un po' perché anche la pena è un sentimento che odio, un sentimento inutile e spiacevole.

Stacco il contatto visivo con i suoi occhi nocciola e l'abbandono lì tra le braccia di Mat.

****

4.30 PM

Il rientro in casa è stato normale immagino, Mari aveva cercato di rendermi a mio agio cucinando molti cibi diversi e cimentandosi nella cucina italiana per essere sicura che avrei mangiato qualcosa. In realtà non ero più abituata a mangiare molto, quando ero piccola ero letteralmente un pozzo senza fondo, una ragazza con poche pretese sul cibo, mangiavo veramente qualsiasi cosa ed ero aperta a provare ogni tipo di cucina.

Ora tutto mi sembrava dannatamente uguale. Avevo mangiato il minimo indispensabile solo per non far insospettire Mari del mio malessere.

Salgo le scale per andare in camera mia, decido di indossare qualcosa di comodo visto che ho voglia di andare a correre ed uscire per non sentirmi ulteriormente in bisogno di mentire con sorrisini falsi rivolti alla donna che mi ospita.

Il mio armadio pullula di vestiti, la me di un tempo sarebbe impazzita. Adoravo i vestiti, truccarmi, sembrare femminile, apparire e prima di tutto piacere a me stessa. Mentre vado in bagno per cercare un elastico per i capelli faccio l'errore di specchiarmi.

Il top che indosso mostra gran parte delle cicatrici che ho sulla pancia, i lividi viola stanno iniziando ad attenuarsi e diventare via via gialli. I tagli in parte sono ancora rossi, altri sono cicatrizzati e lasciano lo spazio ad una linea bianca e spessa.

Mi tiro attentamente su la zip della felpa. Scendo le scale e saluto con un cenno della mano Mari giusto per non farla preoccupare. Lei si assicura che abbia con me il cellulare e mi lascia uscire tranquillamente.

Inizio prima con un passo lento poi aumento il ritmo finché non mi ritrovo a correre. Decido di tornare nella radura. Il sentiero di questa mattina si apre davanti a me, senza esitazioni lo imbocco proseguendo nel boschetto. Le fronde verdi degli alberi lasciano passare quella poca luce a chiazze. Provo a cercare il ruscello che avevo visto dal tetto della casa che avevo visitato questa mattina ma ogni tentativo è vano.

Ho perso la cognizione del tempo quando sento i miei polmoni bruciare così decido di fermarmi un attimo. Alla mia destra si erge la casa abbandonata. La porta bianca è spalancata ma non pensando minimamente che ci possa essere qualcuno entro lo stesso nell'abitazione come se qualcosa mi risucchiasse al suo interno.

Salgo gli scalini attentamente evitando appositamente quelli marci. Ora che dalle finestre entra la luce pomeridiana tutto sembra più vecchio. Arrivo alla botola, la scala è già disposta in modo che possa salire tranquillamente, probabilmente l'avevo lasciata così dalla mattina. Dal lucernaio rotondo entra la luce che illumina una parte della stanza, dei fiocchi di polvere volano luccicando. Mi perdo per qualche istante in quell'immagine.

Decido di uscire sul tetto speranzosa di ritrovare il pacchetto di Marlboro e l'accendino. Lancio uno sguardo alla canna fumaria e trovo tutto lì. Solo il cuscino manca all'appello. Mi siedo contando le sigarette rimanenti, ce n'è una. Senza pensarci due volte la afferro e la immobilizzo tra le mie labbra. Sposto lo sguardo sull'orizzonte mentre porto la fiamma vicino al mio volto. Inspiro facendo uscire un po' di fumo, ripongo l'accendino al suo posto e mi concentro sul fiume.

Noto che si trova più lontano di quanto immaginassi e dalla parte opposta rispetto alla casa dei signori Hansen.

Prima che possa finire la mia sigaretta una goccia d'acqua mi colpisce in pieno viso. In pochi secondi l'acqua inizia a cadere copiosamente. Il tempo norvegese è così, un minuto di sole e cinque minuti di pioggia ma non una pioggerella leggera, no un intero acquazzone. Cerco di rientrare velocemente in soffitta anche se ormai sono completamente bagnata e la sigaretta che tengo ancora stretta circondata dalle mie labbra è spenta.

La felpa e i pantaloni sono incollati al mio corpo dandomi una sensazione di prurito. I capelli sono bagnati, non mezzi ma comunque bagnati. Subito sento il telefono vibrare nella tasca della felpa

    Da: Mari Hansen

"Vuoi che ti passi a prendere?"

    A: Mari Hansen

"Non importa"

Mi rendo conto della freddezza del mio messaggio così aggiungo un "grazie". Levo la felpa strizzandola cercando stupidamente di togliere un pochino dell'acqua che l'ha bagnata. Un oggetto cade da una delle tasche probabilmente ho tolto l'accendino che era sul tetto dal suo nascondiglio. Forse l'ho fatto a causa dell'abitudine non rendendomene nemmeno conto. Lo appoggio su una delle coperte azzurre. Lancio il mozzicone di sigaretta a terra.

Esamino il tempo dalla finestra, la pioggia batte ancora sul vetro ma comunque sembra essere una pioggerella estiva, l'acqua cade leggera. Mi volto sentendo il pavimento scricchiolare alle mie spalle.

Un ragazzo è al centro della stanza, gli occhi studiano il mio corpo. La sensazione del suo sguardo su di me mi fa sentire nuda così, velocemente, afferro la felpa che avevo lasciato cadere a terra. Inizio ad indossarla quando i suoi occhi si puntano nei miei.

È il ragazzo del cortile, il fratello di Victoria. Il volto è corrucciato, i lineamenti tesi. Sposto lo sguardo sui suoi occhi. Vorrei non averlo fatto, velocemente lo supero imboccando la via d'uscita. Scendo frettolosamente gli scalini incurante del loro stato dirigendomi fuori. Quando finalmente sono all'aperto il mio respiro torna normale. Corro a casa dei signori Hansen sperando di dimenticare al più presto quegli occhi.

100 DaysDove le storie prendono vita. Scoprilo ora