Parte 3 [Iron Man]

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‹‹ You can either
keep yourself safe
and not feel anything

or you can take the risk of
taking down the walls

letting others came closer
and starting love again

You can still be happy

Why don't you see it? ››

Che il destino sia scritto o meno ognuno lo troverà sempre ingiusto, non sarà mai soddisfatto di ciò che la vita gli ha proposto ma in verità dovremmo lamentarci delle occasioni presentate ma mai colte. La vita è dura, come darvi torto, ma il destino è qualcosa che contribuiamo a stabilire, possiamo avere voce in capitolo e prendere il controllo della situazione. Spesso però preferiamo convincerci che sia qualcosa al di fuori della nostra portata perché arrendersi è più facile che tentare di nuovo, di provare a cambiare le carte in tavola e trarre una vittoria da una caduta. Le batoste più grosse arrivano quando meno ce le aspettiamo, senza preavviso, cogliendoci impreparati e dandoci l'impressione di essere impotenti e incredibilmente fragili di fronte all'immensità dei problemi. Magari fino al giorno prima ci credevamo invincibili, potenti, ma è bastato un attimo a far crollare il piedistallo su cui ci eravamo posti ed avendo un assaggio amaro della realtà, ben diversa da come noi ci ostiniamo a illudere mentendo a noi stessi. Non esiste fato, predestinazione, solo uomini che con le loro scelte hanno segnato la loro e la nostra storia, non arrendendosi quando si sono visti toccare il fondo ma trovando nella sofferenza la forza di rialzarsi e splendere più di prima. Ogni sfida è una lezione che ci deve essere impartita, preparandoci a ciò che verrà dopo, insegnandoci a combattere, il più delle volte noi stessi.

Dell'assalto, Tony ricordava gli spari più che gli avvenimenti, il rumore degli ordigni e le grida lontane dei soldati colpiti a morte dal fuoco nemico. Si era risvegliato in una caverna senza sapere come ci era arrivato, quanto fosse stato svenuto e quando avesse perso i sensi. I ricordi tornarono alla mente tutti insieme in un groviglio assordante di suoni e odori, del sole accecante e di lui che cadeva supino a terra dopo la detonazione di una bomba. Tutto gli sembrava surreale, solo un orrendo incubo da cui non si era ancora svegliato ma a destarlo da quel sogno furono le vertigini, che lo colsero quasi all'istante, il rimbombo nella testa che gli faceva pensare che gli spari non si fossero ancora placati, ed un dolore atroce al petto che non poteva essere altro che reale. Realizzo di essere su una vecchia branda con addosso abiti che non erano i suoi, assieme a molti strati di bende che gli fasciavano il busto, da lì sputavano una serie di cavi collegati ad una batteria. Le scostò con irruenza, non curante dei danni che avrebbe potuto causare, strappando il bendaggio e lo spettacolo che gli si parò di fronte gli tolse il respiro, come se qualcuno gli avesse assestato un calcio nel costato, all'altezza dei polmoni. Non si era trattato di un incubo, quello che ricordava era reale ed ora il reattore nel suo petto era forse l'ultimo dei suoi problemi.

Durante la prigionia Tony considerò più volte l'ipotesi di farla finita e porre una fine al dolore, alle torture e alle fitte al petto che lo costringevano ad accasciarsi a terra per diversi minuti faticando a riprendere fiato. In un modo o nell'altro sarebbe morto, le prospettive non erano molto favorevoli ma una cosa era certa: non avrebbe costruito ciò che gli chiedevano. Non gli avrebbero fatto cambiare idea, le torture avrebbero solo intrattenuto i suoi aguzzini ma non avrebbero portato a nulla se non a sofferenze fisica ed emotiva. Quando aveva ripreso coscienza credeva di aver passato l'inferno, ed in parte era vero, ma ciò che aveva visto erano soltanto i primi gironi. Ricordava di aver riconosciuto il suo marchio sull'ordigno che gli era esploso di fronte, quasi uccidendolo, e ne ebbe la conferma quasi una settimana dopo - i giorni cominciavano a confondersi e non sapeva scandire, se non approssimativamente, lo scorrere del tempo, che sembrava fosse rallentato e certe volte perfino fermarsi. Gli era stato mostrato il campo base, rivedendo il sole dopo quelli che gli erano parsi secoli, constatando suo malgrado ciò che aveva temuto. I suoi rapitori erano in possesso di parecchie armi e, cosa peggiore, erano gran parte sue. Il nome delle Stark Industries spiccava su parecchie della casse accatastate caoticamente sotto i teloni. Quella era stata l'ennesima pugnalata, una secchiata di acqua gelida che lo colpiva in pieno viso, la consapevolezza improvvisa di essere parte di quello stesso sistema che credeva di combattere ma di cui era un fornitore. Tutte le certezze gli erano crollate addosso assieme a tutto il resto, non riuscendo ad immaginare nulla che avrebbe potuto peggiorare ulteriormente la sua condizione. Se quello era davvero il fondo le cose non avrebbero potuto che migliorare. Nessuno sarebbe venuto a cercarlo, anzi, sicuramente lo stavano cercando ma dubitava l'avrebbero trovato vivo. Era questione di qualche settimana prima che il rudimentale reattore che lo teneva in vita smettesse di funzionare, segnando la sua ora. Avrebbe potuto arrendersi all'inevitabile, scegliere di lasciarsi scorrere tutto addosso ed attendere la sua morte ma non fu così e per questo deve il merito al suo compagno di prigionia, l'uomo che gli aveva già salvato la vita impiantandogli il reattore ed impedendo così che morisse dissanguato, e che a quanto pare era destinato a farlo una seconda volta. Ho Yinsen.

ᴀᴜɴᴛɪᴇ ᴘᴇɢɢʏ  | |  ᴛ⎊ɴʏ sᴛᴀʀᴋDove le storie prendono vita. Scoprilo ora