CHAPTER 3.

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“Guarda che potevo venirci anche da sola a casa”, mi lamentai dai sedili posteriori della Range Rover nera. Non mi rispose, intento a chiacchierare con il suo amichetto.“Parlo con te, idiota!”, gli dissi, tirandogli un pugno sulla spalla.

“Meg, la conosci la regola”, rispose infastidito, girando di poco la testa verso di me per riattaccare subito dopo a parlare con il moro seduto al posto del passeggero. Sbuffai sonoramente, appoggiando la schiena al sedile. Che noia, tutti i miei amici si ritiravano da soli e io ero l’unica a dover tornare a casa con il fratellone. Iniziai a osservare lui e il suo amico. Guardai le braccia di quest’ultimo, piene di tatuaggi. Li avrei voluti anch’io, erano davvero bellissimi. Anche mio fratello li aveva. Ma se chiedevo a mamma se potevo farmene anch’io il prossimo anno, la risposta era una sola. “Sei piccola”. Dannazione, loro erano solo un annetto più grandi di me! Okay, forse non proprio. Ne avevano appena compiuti venti, mentre io ero ferma ai diciassette. Ma cosa importa? I tatuaggi avevano senza dubbio iniziato a farli appena diventati maggiorenni! Arrivati a casa, scesi velocemente dall’auto. Zayn -si chiamava così- andò via, lasciando me e mio fratello soli. Non appena buttai la mia giacca sul mobile accanto alla porta, vidi qualcosa svolazzare sul pavimento. Mi abbassai per raccoglierlo, era un bigliettino. 

Ragazzi, nemmeno oggi sono a casa: altro colloquio di lavoro. Tornerò stasera sul tardi, non aspettatemi. Baci, manma xx

“Jay, mamma non c’è nemmeno stasera”, urlai, dato che lui era già in sala sul divano.

“Un colloquio, scommetto”, rispose, mimando delle virgolette con le dita. Sorrisi scuotendo la testa, era sempre così. Ultimamente aveva impegni su impegni. Non c’era mai. Ma guardando il lato positivo, James stava imparando a cucinare. O meglio, a scongelare. Salii di corsa le scale. Dovevo prepararmi per stasera. Mi feci velocemente una doccia e asciugai subito i capelli, ricordandomi di dover inviare un messaggio alla mia parrucchiera. Indossai un paio di leggins neri, una canottiera da basket dei Chicago Bulls e una felpa larga sempre di colore nero, forse di James - non ho la minima idea di come si trovasse nel mio armadio. Oh, e le Vans che portavo già da stamattina. Erano le scarpe più comode per quello che avrei dovuto fare di lì a qualche ora.

“Meg!”, sentii la voce di mio fratello dal piano di sotto.

“Cosa c’è?”, gli chiesi sistemandomi il piccolo dilatatore colorato che portavo sempre.

“Mi serve aiuto!”, urlò. Corsi al piano di sotto, cosa aveva combinato ora? Una nube di fumo mi avvolse completamente, appena entrata in cucina. Lo sentii tossire e poi la sua figura emerse dalla specie di nebbia puzzolente.

“Ho provato a cucinare i bastoncini di pesce..”, iniziò a dire, tossendo ancora.

“James, sei un idiota”, risposi. Perfetto, ora profumavo di merluzzo andato a male. Aprii il forno, facendo espandere un’altra nube di vapore. Fantastico, cosa c’è di meglio di pesce e altre schifezze unite da una polverina arancione, tra l’altro, carbonizzata? Andavo anche di fretta. Nervi, nervi, nervi. Non c’era altro, così fummo a costretti a mangiare quegli attentati alla salute. Rigirai la forchetta nel piatto, osservando con quanta naturalezza mio fratello infilasse in bocca in svariati modi quelle cose disgustose.

“Maiale”, sbuffai. Lui rise, facendo ondeggiare il ciuffo biondo caramello e sputando pesce ovunque. Bleah. 

“.. comunque”, continuai, cercando di ignorare il suo comportamento vomitevole. “Stasera c’è un street -fight.”

“Ah ah..?”, mi incoraggiò a continuare lui, con la bocca strapiena.

“E devo andarci, ovvio no?”, dissi dopo. Era scontato.

BROKEN HEARTED.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora