Time

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La valle attorno a Smeraldopoli era inondata di luce. Il sole, alto, vegliava da sopra la cima delle montagne.
Un dolce fruscio di foglie si librava nell’aria, proveniente dal silenzioso bosco a sud della città.
Erano passati ormai vent’anni dall’ultima volta che Red aveva messo piede in quella piccola oasi di tranquillità; aveva deciso di viaggiare in tutto il mondo, visitare quanti più luoghi possibile, conoscere culture, tradizioni, persone.
La città non era cambiata di una virgola, al suo ritorno: graziose casette in legno e mattoni proiettavano piccoli spazi d’ombra sull’immensa distesa verde della città. Una staccionata e due bidoni diventavano una porta per un gruppo di ragazzini che giocavano col pallone e il vento fluiva leggiadro attraverso le chiome degli alberi, nei vari cortili.
Il ragazzo fece un gran respiro e inalò quanta più aria riuscì, pura e fresca.

Sembra che il tempo abbia abbandonato questa città…

Camminava, il ragazzo, lungo i sentieri di ciottolo che si inoltravano nei frutteti e nelle campagne attorno alla cittadella. Ogni tanto uno sbuffo di vento muoveva i suoi capelli mori.
Osservava il paesaggio: un manto di colori estivi ricopriva le alte montagne, dove era solito allenarsi da ragazzino. Stormi di Pidgey volavano liberi in quel meraviglioso cielo limpido, tracciando traiettorie stravaganti.
Davanti a lui si erigeva una distesa di filari di vite.
Red si fermò per un istante, posando le sue iridi vermiglie sulla piccola figura femminile che lavorava minuziosamente tra i filari: un cappello di fili intrecciati copriva la chioma bionda della ragazza dal caldo pomeridiano e una cintura di pelle marrone le stringeva un vestito del medesimo colore attorno ai fianchi delicati. Le sue mani erano protette da un paio di guanti da lavoro neri, sporchi di terreno.
Sentendosi osservata, quella si girò, detergendosi con la manica il sudore sulla fronte.
Squadrò una, due, tre volte il ragazzo dalla testa ai piedi: giacca di pelle marrone, maglietta nera, jeans rovinati e scarpe consumate.
Occhi rossi.
Lo riconobbe.
Nel suo petto, il cuore cominciò a battere freneticamente.
Riconobbe quell’espressione seria che dava luce a un sorriso.
Riconobbe quel sorriso.
Quando fu davanti a lei, riconobbe il suo profumo. Abbassò la testa e fu investita dai ricordi degli anni passati assieme.
Fu lui ad alzarle il viso, incrociando le iridi paglierine e vedendo le lacrime colare lungo le guance rosee.
- Ti ho trovata…
- Red… Sei tornato…
Sentiva il cuore in gola; le parole non riuscivano a uscire, e le mani lasciarono scivolare le grosse cesoie dai manici di legno.
Quando le braccia di Red la strinsero, poggiò il viso sul suo petto. Si riabbracciarono, dopo tanto tempo.
- Ho tante cose da raccontarti… Mi sei mancata…
Lei annuì e sorrise, emozionata. – Vieni, andiamo.
Quello la prese per mano e assieme cominciarono a camminare verso la piccola magione immersa nel verde, le cui mura di ciottoli ospitavano delle graziosissime finestre in legno.
Yellow preparò del thè, come era solita fare quando aveva ospiti a casa. Si sentiva emozionata, le mani tremavano leggermente, tant’era che la ragazza lasciò che qualche goccia d’acqua bollente le balzasse sulle mani, scottandola.
- Ahi! – gridò, attirando l’attenzione di Red.
- Tutto bene?!
- S-sì, n-non è niente. Mi sono solo scottata. – mormorò, sentendosi improvvisamente imbarazzata.
Si guardò attorno, cercando nei piccoli scaffali dal gusto rustico, che ornavano le pareti di mattone della cucina, le migliori tazzine che potessero offrire.
Decise di prendere le sue preferite: erano di porcellana azzurra, con una rosa disegnata in prossimità del manico; le posò delicatamente sul grazioso tavolino in legno di fronte al divano.
Red la osservava sorridendo. Non era cambiata di una virgola: quando era emozionata si agitava, faceva le cose velocemente e appariva imbranata.
Era ancora la sua Yellow.
La vide avvicinarsi cautamente.
“Sembra abbia paura…” pensò, vedendola poi prendere posto vicino a lui sul morbido divano rosso.
Yellow presa da un’improvvisa nostalgia, si lasciò scivolare tra le braccia del ragazzo, assaporandone gli odori.
Percependone il calore.
Lui rimase un attimo stupito ma subito dopo la strinse dolcemente a sé.
Lasciarono sedimentare un paio di sospiri nell’aria.
- Sai… Ho visitato molte regioni… una più bella dell’altra! Ho lavorato come insegnante, ho fatto l’allevatore, il fotografo… ma ti ho sognata tutte le notti. Guardavo le stelle e pensavo a te…
Red poggiò delicatamente la fronte su quella della ragazza.
- Mi dispiace non averti portato con me… Sono stato un egoista…
- Ci siamo sentiti spesso… Non avresti dovuto stare così in pensiero a causa mia.
- Non mi bastava sentire la tua voce. Ti volevo tra le mie braccia… volevo sentire il tuo respiro sulla mia pelle, le tue mani sul mio corpo… il sapore delle tue labbra…
I due incrociarono gli sguardi, prima di scambiarsi un bacio incandescente.
La sera arrivò veloce, facendo calare in un silenzioso concerto di friniti la piccola valle di Smeraldopoli. Un mare di stelle inondava gli sguardi dei due ragazzi, distesi l’uno affianco all’altra sul prato, mano nella mano, immersi nella quiete della campagna.
- Ti ricordi quando da ragazzini venivamo qui a guardare le stelle? Il cielo non è cambiato da allora…
- Tutto è rimasto come prima… sembra che il tempo abbia smesso di scorrere.
- E tu? Anche tu sei rimasto quello di un tempo, Red?
Una folata di vento sospese per un istante l’atmosfera.
- Io non sono mai cambiato.
Yellow sorrise sommessamente e addolcì lo sguardo. Vedeva soltanto la sagoma del viso dell’uomo nel buio diffuso, unito al riflesso dei suoi occhi.
Lui si voltò verso di lei e la tirò a sé, tirandola sul suo corpo e baciandola dolcemente.
La baciava avidamente, assaporando il sapore delle sue labbra e colmando un vuoto che aveva sopportato per vent’anni.
La mano destra dell’uomo andò a infilarsi tra i capelli, mentre la sinistra andò a carezzarle i fianchi.
E rimasero lì, con le stelle a fargli da spettatori.
Almeno per qualche minuto.
Decisero poi di tornare in casa; si buttarono sul letto, gettarono i vestiti per terra e rimasero guardarsi per un lunghissimo attimo.
Sarebbero state tante le parole d’amore che avrebbero voluto scambiarsi quella notte, dopo vent’anni.
Ma no. Quella notte decisero che sarebbero stati i loro corpi a parlare.

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