Le Due Di Notte

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Le due di notte: l'ora perfetta per uno spuntino. Mi alzo dal letto, mio marito che riposa beato. Sono passati tre anni da quando ci siamo sposati e ancora non sono stufa di guardarlo dormire. Quell'espressione tranquilla sul viso, gli occhi chiusi e l'angolo della bocca alzato: è tutto così rassicurante. Cerco di fare quanto meno rumore possibile, dato che anche la bambina dorme nella culla e che per farla addormentare ci è voluto tanto tempo. La guardo per qualche secondo: è così dolce. Ha quel ciuffo scuro e riccio che le ricopre la fronte, gli occhi chiusi e la bocca aperta in un sorriso. Riposa supina, la testa piegata. Noto la copertina spostata di lato, così la copro: queste notti sta facendo freddo, non voglio si ammali. La guardo un'ultima volta per poi girarmi verso la porta della camera. Il corridoio è buio, così come anche la stanza da cui provengo. Non ci piace dormire con la luce accesa, ma in questo momento preferirei averne qualche spiraglio. Mi appoggio alle pareti, per avere un equilibrio e per potermi orientare. Se solo riuscissi a trovare l'interruttore tutto andrebbe meglio. Le lancette dell'orologio risuonano ad ogni secondo, il silenzio che c'è rende questo rumore ancora più evidente e inquietante. Il mio stomaco brontola, distraendomi da quel ticchettio e ricordandomi il perché mi sono alzata dal letto, così scuoto la testa e riprendo la mia avanzata.
"Forse non dovevo vedere quel film horror, prima", penso mentre cerco di smettere di immaginare zombie bloccarmi il passo. Appena raggiungo le scale un brivido mi percorre, mi attraversa la schiena. Probabilmente mi sarei dovuta vestire un po' più pesante, o indossare una felpa, anziché rimanere con gli short e la maglietta a giro maniche. Sono tentata di tornare indietro, ma un altro borbottio del mio stomaco mi ferma, mi dice che il cibo è più importante, così ignoro quei brividi e scendo le scale. Mi è veramente difficile non fare rumore: sono una ragazza abbastanza caotica, chiedermi di fare silenzio sarebbe come chiedere ad una mosca di non disturbare le persone. La cucina è di fronte a me, il richiamo della cioccolata nel frigorifero è forte. Accelero il passo e accendo finalmente la luce. Nonostante il cioccolato sia una delle mie più grandi passioni, in questo momento la mia attenzione ricade su altro: un grosso libro è a terra, ai piedi del tavolo di legno. È rosso, con delle rifiniture nere e un lucchetto argentato in rilievo sulla copertina. Non capisco come possa essere arrivato qui in cucina, ma soprattutto mi chiedo a chi possa appartenere. Mio non è di certo, mio marito non legge libri, se non fumetti e manga, e mia figlia è troppo piccola anche solo per dire "cibo". Mi avvicino e lo raccolgo, per poi riporlo sul tavolo. Solo ora noto una scritta nera, anche questa in rilievo. "La chiave è con te" è ciò che riesco a leggere.
"Uno strano titolo per un libro", è il mio primo pensiero. Mi volto verso il frigorifero, cercando di ignorare quello strano oggetto, quella strana sensazione che sta nascendo dentro di me. Ancora non riesco a capire il come e il perché quel libro sia finito in cucina. Apro lo sportello, ma una strana melodia mi avvolge. È di un flauto, sembra non avere una provenienza. Probabilmente è nella mia mente, la sto immaginando. Sarà solo una impressione. Eppure sembra così concreta, come potrei immaginare una melodia? Chiudo lo sportello e mi volto verso il libro. Mi attrae, nonostante sia difficile per me ammetterlo, è impossibile ignorarlo.
"La chiave è con te", nella mia mente riecheggiano queste parole. Guardo il libro. Sembra quasi sia lui a chiamarmi. Mi avvicino, il passo è lento, sono titubante. Leggo di nuovo quella scritta, mi chiedo a che chiave si riferisca. Mi sposto i capelli dal viso, alcuni ricci mi sono ricaduti sugli occhi data la posizione arcuata del mio corpo, e nel farlo la mia mano tocca il collo. Mi ricordo della collana che indosso, della chiave che indosso. La uso come ciondolo da dodici anni, non me ne separo mai. È una chiave d'argento, presa in un negozio di antiquariato tanto tempo fa, quando ancora ero un'adolescente. L'avevo vista in vetrina e n'ero stata subito attratta. Quella chiave mi chiamava, mi diceva sarebbe potuta appartenere solo a me. La prendo in mano, la guardo, l'ammiro. Tolgo la catenina dal collo, la sfilo. Tocco con le dite la copertina del libro e provo ad inserire l'oggetto nell'apertura del lucchetto. Mi do della pazza se penso abbia qualche collegamento, e penso di esserlo ancora di più nel constatare che entra tutta senza il minimo sforzo. Giro e il lucchetto si apre rumorosamente. Nell'aria risuona ancora quella melodia, quel flauto. Avvicino l'orecchio al libro: il rumore è più forte. Proviene da lì. Senza pensarci su due volte, lo apro, vado alla prima pagina. Inizio a sfogliare quel libro, ma non trovo traccia d'inchiostro da nessuna parte. Sembra essere completamente vuoto. Sfoglio velocemente tutte le pagine, mentre un brivido di paura mi percorre tutta la schiena. Non capisco cosa stia succedendo.
- Sto sognando - dico incredula. Come è possibile che la chiave, la mia chiave, abbia aperto quel lucchetto? E come è possibile che il libro sia vuoto?
Le mie mani continuano a sfogliare le pagine, continuano a toccarle. Sono ruvide, antiche, impolverate.
- È uno scherzo? - urlo, forse anche un po' troppo forte. Sento un rumore provenire dal piano di sopra. Probabilmente ho svegliato mio marito involontariamente. Più che per le pagine vuote, ciò che mi traumatizza sono la chiave e il lucchetto. Noto solo ora come siano nello stesso stile, come abbiano la stessa decorazione. Chiudo il libro di scatto e osservo come la scritta sia cambiata.
- Non tremare. Leggi - pronuncio ad alta voce. Tremo di paura.
- Amore, tutto bene? - mi chiede mio marito - Mi sono precipitato non appena ho sentito la tua voce.
- No, non va tutto bene - rispondo tremando, ma le sue braccia mi stanno già stringendo. Sono la cosa più rassicurante che io abbia mai avuto.
- Cosa è successo? - mi incoraggia a palare. Mi limito ad indicare il libro, il lucchetto con la mia chiave ancora inserita. Dico del cambio della scritta e della melodia di flauto proveniente da lì. Guarda quell'oggetto. Ne cattura ogni particolare con gli occhi. Ha avuto la prontezza di prendere gli occhiali e di indossarli. Per fortuna, direi, altrimenti, probabilmente, sarebbe caduto per le scale non vedendo i gradini. Poi sposta lo sguardo sull'orologio della cucina, che grazie al cielo è digitale, senza lancette che fanno suoni inquietanti.
- Tesoro, sono le due passate. Andiamo a letto, ci penseremo domani, quando saremo più svegli, d'accordo? - chiede sbadigliando. Stasera è tornato tardi dal lavoro, deve essere veramente esausto. Io annuisco, troppo terrorizzata da quella faccenda. Lascio che le sue braccia attorno al mio corpo mi diano protezione, coraggio, sicurezza. Ci incamminiamo verso la porta della cucina, quando mi ricordo della chiave.
- Aspetta un attimo - dico, e ritorno a prenderla. La sfilo dal lucchetto. Cerco di non guardare i dettagli di quel libro infernale, ma fallisco. L'occhio cade sulla copertina, la scritta è cambiata nuovamente. "Non ignorarmi", dice. È l'ultima cosa che vedo, la voce di mio marito che mi chiama l'ultima che sento, le sue mani che toccano il mio braccio l'ultima che percepisco. Una luce avvolge il mio corpo, la mia vista è accecata. Sento in lontananza la melodia del flauto e solo ora realizzo quanto sia inquietante. Sotto il tocco delle mie dita non c'è più nulla. Sono nel vuoto più assoluto, da sola, con la paura di non uscirne più. Chiudo gli occhi, o almeno ci provo. Quando li riapro non sono più avvolta dalla luce, né sono da sola. Mio marito è vicino a me, si sta pulendo gli occhiali, lo sguardo allibito. Inizio a guardarmi intorno. Il paesaggio è scuro, avvolto dalla nebbia. Ci sono degli alberi spogli ai lati della strada, ma, nonostante la vicinanza a questi, è difficile vederli. Incrocio lo sguardo di mio marito. Sto tremando dalla paura, non capisco dove io sia, né come ci sia arrivata.
- Ho paura - sussurro. Lui viene vicino a me, mi abbraccia forte.
- Stai tranquilla, troveremo una soluzione. Insieme - mi risponde continuando a stringermi. Io annuisco. Appoggio la testa nell'incavo del suo collo, così come ho sempre fatto. Sembra quasi essere stato fatto apposta per me. È stata la prima cosa che ho notato quattordici anni fa, quando l'ho conosciuto. Mi allontano da lui: per quanto mi piaccia stare così abbracciati, per quanto io abbia bisogno di quella sensazione di protezione che solo lui sarebbe in grado di darmi, dobbiamo cercare di capire in che situazione ci siamo messi. Lui mi guarda e intuisce i miei pensieri.
- Ricapitolando - inizia lui - hai toccato il libro e siamo finiti in questo posto sperduto e tetro. Hai idea di dove potremmo essere?
- No - rispondo sconsolata. Faccio qualche lento passo in avanti. Scorgo una casa in lontananza. È abbastanza malridotta, sembra essere inutilizzata da anni. I vetri delle finestre sono rotti, il tetto ha dei buchi. Alcune ante di legno penzolano, sospese per un angolo. La porta principale è grande, di legno rosso, se la vista non mi inganna. Il fatto che la luce sia minima non aiuta la situazione. Sento la mano di mio marito prendere la mia. Stringe per darmi coraggio e io sorrido, nonostante sappia lui non possa vedermi. Mi incammino verso la casa, è tutto ciò che posso fare. Ha un qualcosa di familiare, ho la sensazione di essere già stata in questo posto. Accelero il passo, trascinando Carlo con me. Più vado avanti, più la nebbia sembra dissolversi. La casa, ora, sembra ancora più grande e inquietante. Mi ritrovo davanti al portone, lo tocco con una mano, mentre con l'altra stringo mio marito. Appoggio l'orecchio, cerco di capire se è abitata o meno. Sento lo scricchiolio tipico di assi di legno, sembra quasi che qualcuno stia scendendo velocemente delle scale. Mi allontano rapidamente dalla porta, cerco un nascondiglio quanto più in fretta possibile. Mio marito mi segue silenzioso, sembra leggermi nella mente. Ci mettiamo dietro un cespuglio, gli occhi puntati sulla porta. Una donna in pigiama esce di corsa, ha tra le braccia un fagottino rosa.
- Quella sono io - sussurro vedendo la bambina avvolta nelle lenzuola rosa. Non so perché lo dico, non ho prove concrete, eppure sento quella sia la verità. Carlo mi guarda perplesso, poi sposta lo sguardo sulla donna, poi ancora su di me. È confuso dalle mie parole, dalla situazione. Fisso quella signora. Sul volto è dipinta un'espressione di disperazione. I capelli biondo cenere sono raccolti in uno chignon fatto velocemente, dal quale escono alcune ciocche che ne incorniciano il volto. Corre verso il bosco da cui siamo venuti, e non si cura nemmeno del fatto che è in pigiama e pantofole. Tiene stretta a sé la bambina, sembra volerla proteggere da qualcosa.
"O da qualcuno", mi suggerisce la mente. Dopo qualche minuto, dalla porta esce anche un uomo sulla trentina. È ubriaco, la barba sfatta, barcolla nel tentativo di seguire la donna. Ha in mano una bottiglia di birra rotta, la agita quasi come fosse una mazza. La donna inciampa, stringe a sé la bambina cercando di proteggerla con il suo corpo, mentre l'uomo accelera il passo. È sul punto di raggiungerle, negli occhi la pazzia di un ubriaco. Sono vuoti, inespressivi. Mettono i brividi.
- Vuole far loro del male - dico. Mi alzo di scatto, mi precipito verso l'uomo per scaraventarlo a terra. Sento la melodia del flauto e poi mio marito che urla il mio nome. La luce mi avvolge, mi costringe a chiudere gli occhi. Appena la melodia del flauto finisce, sento una voce. All'inizio è un sussurro, le parole sono incomprensibili, ma dopo qualche secondo riesco a capire. "Non puoi intrometterti", dice quella voce.
- Simona! - mi sento chiamare. È la voce di mio marito, ne sono certa. Apro gli occhi: lui è di fronte a me, con le mani sulle mie spalle, che mi scuote cercando di farmi riprendere i sensi.
- Che ti è saltato in mente?! - urla disperato - Sei sempre così avventata nelle cose!
Lo guardo, crollo tra le sue braccia con le lacrime agli occhi. Sento i suoi muscoli rilassarsi, le sue mani stringermi forte.
- Volevo proteggere quella donna... e me - aggiungo alla fine.
- Non essere più così avventata. Non farmi più preoccupare così tanto.
- D'accordo, te lo prometto - dico ancora tra le sue braccia.
- Tu sai che posto è, questo? - mi chiede allentando un po' la presa. È mattina, il sole è sorto da poco, saranno approssimativamente le sei. Guardo dove ci troviamo: siamo davanti un'edicola, il giornale in bella mostra è datato 5 settembre dell'anno 2000.
- Guarda, quel giornale è di trent'anni fa! - esclamo indicandolo a mio marito. Lui lo guarda, osserva ogni piccolo particolare.
- L'unica salva la bambina: genitori uccisi - legge. Si avvicina al giornale, inizia a leggere l'articolo, poi ritorna da me.
- Questo articolo parla di te - dice, e poi si blocca, non riesce più ad andare avanti. Mi avvicino a lui, inizio a leggere velocemente e parole scritte.

Le due di notte ~ One-shotDove le storie prendono vita. Scoprilo ora