Canzone per il capitolo:
-Nervous (Shawn Mendes)
ascoltate la canzone con la riproduzione continua😜Mi alzai da tavola ancora un po' scossa. Stavo per avere un attacco di panico di fronte a una persona ancora sconosciuta, mi avrebbe sicuramente presa per pazza se non mi fossi fermata in tempo. Ringraziai mentalmente Liz circa un centinaio di volte durante quella cena rilassante. Appena finimmo aiutai la mia amica a sparecchiare e James si offrì per passare la scopa e pulire la cucina. È stato molto gentile.
Sospetto, non gentile.
La mia vocina interiore mi ripeteva continuamente questo, anche se in realtà non volevo crederci. Come aveva fatto a capire? Era impossibile.
Scossi la testa cercando di scacciare via questi pensieri, e continuai a portare le stoviglie sporche al bancone, mentre James puliva e Liz caricava la lavastoviglie. E Jace, vi chiederete? Lui stava in camera sua, troppo stanco. Ma per favore!
Appena finii salutai con un cenno del capo entrambi ancora intenti a pulire la cucina e augurai loro la buona notte.
-Notte- mi rispose solo Liz.
Salii le scale con un passo da bradipo, raggiunsi la mia stanza, e, una volta infilato il pigiama, lavato i denti e accomodata sul letto a due piazze, chiusi gli occhi, sperando di prendere sonno il prima possibile.
Come non detto.
Quella notte non dormii per niente, forse solo due orette. L'avevo passata a pensare, pensare e pensare di continuo, senza sosta, ed era una cosa che detestavo di me stessa. Non mi davo pace. Però almeno i miei pensieri mi portarono ad una conclusione, decisamente affrettata, ma lecita. Odiavo James.
Non potevo fare a meno di provare questo sentimento negativo verso di lui. Non mi piaceva il fatto che sapesse, lui doveva rimanere fuori da tutto, ci dovevo essere solo io, senza nessun'altro. E odiavo quel suo sguardo, che sembrava capirmi, quando in realtà non c'era niente di cui dovesse interessarsi.
Doveva starmi lontano, oppure lo avrei trascinato nel mio passato e nei miei casini, e non potevo, non volevo.
Mi "svegliai" dopo la notte insonne che avevo passato, alle cinque e mezza del mattino. Mi alzai lo stesso dopo essermi lamentata mentalmente dell'orario indecente che segnava la sveglia, andai verso il bagno, cercando di fare meno rumore possibile per non svegliare gli altri, mi chiusi la porta alle spalle e mi feci una doccia calda. Almeno potevo rilassare i miei nervi tesi, e far scivolare via tutti i miei dubbi e pensieri. Inevitabilmente però non ci riuscii. Ma dai!
Uscii dal box-doccia e mi avvolsi un asciugamano attorno, mi asciugai capelli e corpo, e indossai una tuta nera e una magliettina bianca. Lisciai i miei capelli scuri, e mi sciaquai il viso per essere più sveglia. In realtà stavo morendo dal sonno. Ma come biasimarmi, avevo dormito si e no due orette. Uscii dal bagno, rinfilandomi le ciabatte e andai in cucina.
Una volta li mi preparai un caffè, nel quale ci inzuppai una fetta di ciambellone che Shane aveva riportato l'altra sera. Evidentemente non l'avevo sentito rincasare dopo la cena. Andai in salotto, intenta a guardare la televisione, così la accesi col telecomando e feci un po' di zapping. Nulla, se non telegiornali. Noiosi, tra l'altro.
Era ancora molto presto, circa le sei e un quarto. La mia prima lezione era alle nove, e gli altri non si sarebbero svegliati prima delle sette e mezza. Bene, che facevo?
Presa da non so quale istinto sportivo, decisi di uscire di casa a farmi una corsa, per sbollire e per scacciare i miei pensieri, che sicuramente mi avrebbero travolto in quell'ora e un quarto di attesa senza i miei amici. Andai in camera e infilai le scarpe da ginnastica, non mi cambiai i vestiti poiché erano abbastanza comodi e adatti per dell'attività fisica. Quasi ridevo. Mentre scendevo di fretta le scale per raggiungere l'atrio, sbattei contro qualcosa, o qualcuno. James.
Mi prese per i fianchi per tenermi ma poi mi rilasció subito dopo aver constatato che stessi bene e non mi fossi fatta niente.
-Dove vai a quest'ora?- mi domandò restando sempre vicino a me. Era una situazione alquanto imbarazzante, o almeno per me lo era.
-Non ti importa- sussurrai improvvisamente senza voce. Decisi dunque di sgaiattolare via dalla sua presa e andare verso la porta. C'era James sveglio? Bene, un motivo in più per andare a correre. Iniziai la mia corsetta, e arrivai fino alla fine del quartiere. Raggirai più volte la recinzione di un parco poco distante dal nostro attico, e solo quando l'orologio che portavo al polso segnò le otto e venti di mattina, ritornai a casa, a prepararmi per andare all'università.
Entrai nell'appartamento, e dalle voci che si sentivano dall'atrio, potevo felicemente constatare che i miei migliori amici più James fossero svegli.
-Sono tornata- esclamai una volta aver richiuso a chiave la porta, appoggiai il giacchetto tecnico sull'appendiabiti e salii al piano superiore in camera mia senza aspettare alcuna risposta. Presi dei jeans chiari e una felpa nera che avevo comprato al concerto dei Linkin Park due anni prima. Mi precipitai in bagno prima che potesse farlo Liz, e mi feci una doccia veloce. Stranamente la corsa non mi aveva affaticata più di tanto, anzi, sembrava che facessi jogging tutti i santi giorni, quando in realtà l'unica mia vera attività fisica era quella di lanciarmi sul divano dopo aver preso la rincorsa per non perdermi l'inizio di un episodio. Uscii dalla doccia ridacchiando fra me e me, risultando anche inquietante con quel sorriso da psicopatica stampato in faccia. Mi asciugai e mi vestii.
Scesi al piano di sotto per prendere la mia borsa, che lasciavo all'atrio, gli occhiali da sole e per salutare gli altri.
-Io scappo alla NYU- dissi sistemandomi una giacca di jeans gigante addosso.
Tutti gli altri mi salutarono senza considerarmi veramente, continuando a mangiare tranquillamente e a spettegolare. L'unico che aveva lo sguardo puntato su ogni centimetro del mio corpo, era James. I suoi occhi lambivano tutta la mia figura, sembrava che mi stesse scannerizzando. Ogni fibra del mio corpo si sentiva impotente e infuocata a contatto con il suo sguardo. Era incredibile come i suoi occhi fossero in grado di mettermi in soggezione. Erano così intensi. Cercai di scacciare il suo sguardo dalla mia mente e mi dileguai in fretta e furia, pur di non stare un minuto di più accanto a colui che avrei dovuto evitare.
Raggiunsi l'università con l'autobus, dato che non avevo ancora un'auto tutta mia e visto che ero troppo stanca dalla corsa mattutina, sempre se stramazzare alla ricerca di ossigeno mentre strusci i piedi senza pace sul cemento, possa essere definito corsa mattutina.
I corridoi erano sempre affollati già all'inizio delle lezioni, e quasi mi facevano venire il malditesta tutte quelle persone già iperattive. Ma cosa vi mangiavate a colazione?! Io proprio non capivo come facessero ad avere tutte queste energie, quando io mi sentivo sprofondare ad ogni passo verso la prima aula. Poco prima di entrare a lezione, anche se era molto presto e non sarebbe cominciata prima di un quarto d'ora, andai a sbattere contro qualcuno.
-Scusa tantissimo non stavo guardando la gente intorno a me e non ti ho visto- cominciai a farfugliare gesticolando con le mani, con lo sguardo basso, per non far vedere il rossore che dipingeva le mie guance. Mi sentii prendere il mento con due dita, e se possibile, quando incontrai quel paio di occhi blu, arrossii più di quanto già non fossi. James mi stava guardando da qualche secondo ma a me sembrava un'eternità. La pelle a contatto con le sue dita bruciava è facevo difficoltà a reggere l'intensità del suo sguardo. Non ce la feci, e distolsi i miei occhi dai suoi, ancora incatenati al mio viso paonazzo.
Cercai di scansarmi senza proferire parola, ma lui rafforzó la sua stretta.
-Oggi non mi hai dato neanche il tempo di offrirti un passaggio che sei scappata via, adesso non mi sfuggi Jane- disse con un tono di voce stabile e sicuro. Io lo guardai allibita, lui non doveva avvicinarsi, e potrebbe sembrare una contraddizione dato che lui era lì a pochi centimetri sa me, e io non stessi facendo nulla per spostarmi, ma doveva essere così. Doveva essere lontano mentalmente e fisicamente. Sulla seconda ci stavo ancora lavorando.
-Cosa vuoi?- gli chiesi distaccata. Non mi fidavo, lui doveva starmi lontana, altrimenti si sarebbe bruciato, e non lo dico perché mi preoccupassi per lui, ma perché non volevo aggiungere altro dolore al mio carico personale già stracolmo. Era un bisogno puramente egoistico.
-Solo... stai lontana dai casini- ammise, alleggerendo la presa sul mio mento e allontanandosi di poco.
-Perché tutta questa preoccupazione? - chiesi io in un sussurro. Stavo diventando vulnerabile, e dovevo impedirlo. Lui tentennó un po', sembrava che ci stesse pensando su. Ma poi rispose, indugiando.
-Nulla, era un semplice consiglio.- e se ne andò via verso la sua aula di lezione, lasciandomi in mezzo al corridoio completamente spiazzata dalle sue parole. Forse volevo sentirmi dire qualcos'altro. Volevo sapere che lui fosse come me, quando in realtà non era così. Forse avevo bisogno di qualcuno che mi comprendesse per davvero. E quindi ci ero rimasta un po' male quando invece capii che i miei fossero solo film mentali, completamente errati e senza connessione. Io ero sola. Non c'era nessuno come me. E dovevo ammetterlo finalmente a me stessa. Forse questo era un motivo in più per detestare James. Mi aveva dato false speranze, o almeno, io me le ero costruite. Ed era da egoisti addossare la colpa a lui, che non mi aveva fatto niente. Odiavo ancora il fatto che potesse sapere come stessi, anche se ero un po' titubante al riguardo. La conclusione quindi era che io odiavo James, però inevitabilmente non potevo fare a meno di preoccuparmi per lui. Si, era un pensiero poco coerente, ma le emozioni contrastanti dentro di me mi obbligarono a ragionare in tale modo. Non riuscivo a pensare di essere da sola a sopportare il mio dolore, ma allo stesso tempo non potevo pensare di non aiutare qualcuno che evidentemente aveva dei demoni da combattere, come me. Ero in conflitto con me stessa, cosa avrei dovuto fare? Ignorarlo per non stare male.
Scacciai questi pensieri e mi diressi verso la mia classe.
Le ore di lezione passarono lentamente, tanto che alla fine della giornata scolastica tirai un sospiro di sollievo al pensiero di poter andare a casa.
Uscii immediatamente dalla struttura, ma non mi sentivo in vena di andare a casa e subirmi le lamentele sul mio umore dei miei migliori amici. Avrebbero aspettato per farmi la predica. In quel momento volevo stare completamente da sola. Attraversai la strada brulicante di auto che sfrecciavano ad alta velocità. Inutile dire che per poco non venni investita, ma le strisce non le vedevano? Mandai mentalmente a quel paese i guidatori incoscienti, e mi fermai in mezzo al marciapiede per decidere dove andare. Sapete quel detto: "segui il tuo cuore e va dove ti porta il vento"?, ecco, nel mio caso lo avevo storpiato in: "segui lo stomaco e va verso Starbucks". E fu così che finii all'interno del bar della catena di pasticceria più famosa del mondo, ad aspirare il dolce odore di frullati e muffin. Salutista, mi dicevano.
Presi posto su una di quelle panche imbottite contro il muro, davanti ad un tavolino appartato. Aspettai giusto qualche minuto, che passai a leggere il menù, anche se sapevo già cosa prendere per pranzo. Arrivò un cameriere giovane, sulla trentina, alto e bruno. Subito raddrizzai la schiena per non sembrare un goblin ricurvo, e alzai gli angoli della bocca di poco.
-Buongiorno signorina, cosa posso portarle?- mi domandò sorridendomi. Aveva un bel sorriso. Ma non bello quanto quello di James, anche se in realtà l'avevo visto sorridere poco fino a quel momento. Mi dovevo togliere dalla testa James dannazione.
-Uhm, un pezzo di torta alla gianduia e un milkshake al pistacchio, grazie- dissi posando il mio sguardo sul menù, giusto per essere sicura di ciò che dovevo ordinare. Conoscendo la mia goffaggine, probabilmente avrei detto tutt'altro, troppo incantata ad ammirare il sorriso del cameriere. Ne improvvisai uno tirato.
-Perfetto- si riprese il menù e sparì dietro al bancone del bar, non dopo aver lasciato l'ordinazione ad un'altro cameriere. Eh no, io volevo che fossi tu a servirmi!
Sbuffai piano, e presi il cellulare per avvertire Liz di non apparecchiare anche per me perché non ci sarei stata per pranzo. Prima di poterle dire tutto però, mi arrivarono una sfilza di messaggi da parte di tutti e tre, strapreoccupati. E anche uno da un numero sconosciuto.
Liz: Jane dove sei?
Liz: Non mi far preoccuparee
Liz: Perché non sei a casa?
Liz: È successo qualcosa?
Liz: Dio, mi odi non è così?
A quest'ultimo messaggio alzai gli occhi al cielo, quanto era paranoica. Risposi come avrei voluto, e aprendo un'altra chat, quella di Shane.
Shay: Liz sta delirando, crede che tu non la sopporti più, ritorna presto ;)
Lo assicurai di essere al sicuro, e di dire a Liz di sclerare di meno.
Poi lessi il messaggio di Jace, che mi fece scoppiare a ridere.
Jacy: Non tornare a casa se non vuoi trovarti con una gamba in meno. Mi farai morire prima o poi!!!
Alcune persone si girarono verso di me, probabilmente a causa della mia risata da tricheco mongoplettico. Mi misi una mano davanti alla faccia e sussurrai delle scuse. Ignorai il messaggio dello sconosciuto, visto che era arrivata la mia torta e il mio milkshake che bevvi ad una velocità impressionante. Si, intanto mi ero congelata mezzo cervello.
Addentai la torta e chiusi gli occhi. Ero entrata in una terza dimensione, mi sembrava di aver assaggiato il paradiso. Peccato che il coro angelico che cantava sulle note di Alleluja, si spense non appena sentii una voce chiamarmi.
-Tu, dannazione, tu Jane ci hai fatto prendere un infarto.- gridò James indicandomi e facendo voltare alcuni presenti verso di noi. Sprofondai dalla vergogna e arrossii. Ma aspettate... James? Che ci faceva lui li? Aveva il fiatone, i capelli scuri più scompigliati del solito, gli occhi carichi di preoccupazione, il petto che si alzava e abbassava velocemente e i muscoli contratti. Mi guardava con un cipiglio sul viso. - James che ci fai qui?- mormorai tra i denti, cercando di avvicinarmelo per evitare che il resto del locale assistesse al nostro discorso.
Lo presi per un braccio e lo feci sedere accanto a me, cercando di far scomparire il rossore dalle mie guance.
-Ti sono venuto a cercare, non avevi idea di quanto fossimo preoccupati!- esclamò allarmato. - E voi che cazzo avete da guardare, riprendete a mangiare- gridò rivolto verso le altre persone, che impaurite dal tono fine e delicato di James, ripresero a fare ciò che stavano facendo prima.
-Ehm, guarda che ho avvertito, non serviva che venissi.- sussurrai abbassando il sguardo.
-Sono venuto lo stesso, e ora andiamo-mormorò vicino a me, inutile dire che questa vicinanza mi causò un'infinità di brividi. Ma non dovevo ignorarlo? Dannazione.
-In realtà dovrei finire la mia torta.- dissi torturandomi le dita delle mani con un filo uscito fuori dal jeans.
-Okay, allora finisci questa torta, però poi andiamo subito dagli altri. Liz stava impazzendo e non era una bella scena- ridacchió alleggerendo la situazione. E in tutto questo lui restava vicino a me senza staccarmi gli occhi di dosso, il ché mi rese terribilmente agitata mentre mangiavo.
-Tu sei sporcata tutta la bocca, sembri una bambina- cercò di trattenere una risata e mi porse un tovagliolino di carta per ripulirmi. Lo passai sulle labbra e lo lancia nel piccolo contenitore sul tavolo.
-Ancora? - gli chiesi girandomi verso di lui. Il suo guardo blu si posò sulle mie labbra, e mi maledii mentalmente per avergli chiesto una cosa del genere. Accidenti a me ora mi sta guardando le labbra. Lui indugió qualche istante ma poi si riprese.
-Sei ancora sporca qui, all'angolo, dammi un pezzo di carta, faccio io- feci come mi disse, e lui si sporse di più verso di me. Okay, la situazione era pericolosamente imbarazzante. E sembrava esserlo anche per lui. Posò il tovagliolino sull'angolo della mia bocca, e fece un po' pressione, mentre con l'altra mano mi teneva ferma per la nuca. Brividi, brividi ovunque. Deglutí dopo essersi reso conto di aver tenuto il dito ancora nella stessa posizione per pulirmi, ma poi buttò il fazzoletto e si allontanò, facendomi tirare un piccolo sospiro di sollievo. - Ecco fatto- disse armeggiando con il casco che aveva preso in mano, per poi metterselo sotto il braccio.
-Adesso andiamo- disse velocemente, dirigendosi verso l'uscita senza aspettarmi. Inarcai un sopracciglio pensierosa, ma lo seguii lo stesso. Appena pagato uscii dalla porta di Starbucks, respirando l'aria fresca di inizio settembre. Vidi James appoggiato alla sua moto, con il casco in mano.
-Non andremo mica con quella lì?- dissi indicando la moto dietro di lui.
-Non parlare così della mia piccola- disse lui montando in sella.
Io approfondii il mio cipiglio sul volto e mi trattenni dal ridere.
-Prendi l'altro casco- esclamò girandosi verso la strada. Io lo indossai e salii impacciatamente sulla moto. Aggrappai le mani sulle maniglie dietro di me, ma lui mi prese le braccia e le legó attorno al suo busto, intimandomi di stringere la presa per non volare via. Decisi di non ribattere, giusto perché in fondo mi piaceva stare così. Ma che diamine andavo a blaterare. Partí, sgommando a più non posso, segnando la data della mia morte certa. Ero spacciata.#AngoloAutrice
Hey, ecco un altro capitolo, scusate se ci ho messo un po' per aggiornare, ma ho cambiato più volte il modo in cui scrivere certe cose. In compenso il capitolo è più lungo, quindi SURPRISE!! 😂❤️Al prossimo aggiornamento🌝
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Whεnενεr Yου Wαnτ
RomanceOrmai, era certo. Jane Anderson era una bugiarda. Sicuramente non è mai stata una persona affidabile e sulla quale riporre la propria fiducia, ma a lei poco importava, non aveva bisogno di nessun altro se non di sé stessa per salvarsi. Piena di sche...