Capitolo quattro

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Louis

Provai ad allacciare il seggiolino sul sedile posteriore del furgone, ma Cristo santo, qualche ingegnere si starà sbellicando dalle risate al pensiero di noi idioti intenti a far funzionare questi aggeggi. Era un groviglio di cinghie e fibbie e nulla aveva senso.
Finalmente, sospirando dalla frustrazione, Harry scansò le mie mani e prese la cintura, la fece girare intorno al seggiolino, e la allacciò. Certo mi sentii un po' stupido.
Provai a ignorare il suo profumo di fragola quando si avvicinò a me. O come ogni mio muscolo si irrigidì quando le sue dita sfiorarono le mie.
Fu come se tutti quegli anni fossero svaniti nel nulla. Essergli così vicino mi fece girare la testa. Avrei voluto fargli così tanto domande che mi venne un groppo in gola, ma non chiesi nulla. Quell'aria di sfida quando gli proposi di mettere a posto la sua macchina mi fece sorridere. Quello era il mio Harry. Sulle prime stentai a riconoscerlo, il che mi spaventò, ma non ci volle molto prima che la scintilla nei suoi occhi, quella che ricordavo, riaffiorasse. Il ragazzo che era sempre pronto a dirmi che sparavo stronzate e, allo stesso tempo, che giurava di amarmi. Dio, come facevo a conciliare quel ragazzino con l'uomo che avevo accanto adesso?
Mi guardò e riconobbi quello sguardo misto di disperazione e di assoluta determinazione negli occhi. Seth aveva lo stesso sguardo quando uscì dal carcere consapevole di non essere stato in grado di aiutare la sorella, Sara. Sarebbe potuta andare sia bene che male nelle settimane seguenti. Andò quasi malissimo nonostante io e Avery avessimo provato ad aiutarlo. Quando andò dal patrigno, pensavo fosse finita. Pensavo che avrei dovuto visitare il mio migliore amico dietro le sbarre per i prossimi dieci o venti anni. Ma Seth riuscì a staccarsi da quella merda che era la sua vita e ora Sara era fuori dalla clinica di riabilitazione e sulla strada verso la vita normale; Seth non aveva più ombre negli occhi. Perché Avery teneva così tanto a lui da fargli capire che anche la sua vita aveva valore.
Tentai di ricordarmi che questo non aveva nulla a che vedere con la situazione in cui mi trovavo.
«Allora dove andiamo?», gli chiesi quando chiuse la portiera e si allacciò la cintura di sicurezza. Harry mi indicò la strada e scoprii con stupore che era a solo mezzo miglio dai Granite Estates. E non era neanche la zona migliore della città. Avrei voluto saperne di più, ma non erano affari miei. Guardai Noah, seduto la centro del sedile posteriore, che cantava la canzoncina dell'alfabeto. Harry appoggiò la testa sul vetro, guardando fuori dal finestrino. Accesi il riscaldamento non appena il motore fu abbastanza caldo.
«Fammi sapere se hai troppo caldo, ok?», gli dissi. Mi fece un leggero cenno con il capo ma non distolse lo sguardo. Se Noah non fosse stato seduto dietro, sarei stato tentato di chiedergli che cosa fosse successo nella sua vita per cambiare così. Pensai avesse a che fare con Noah. Non portava l'anello, e la quantità di cibo che aveva comprato bastava a nutrire loro due, figuriamoci qualcun altro.
Mi sorprese che lui non avesse chiamato nessuno, o che non mi avesse chiesto di prendere il mio cellulare in prestito. Perché non c'era nessuno a casa da poter chiamare? Apparentemente stava facendo tutto da solo. Perche questa considerazione mi fece palpitare il cuore?
«Cos'é quello?», chiese Noah, indicando la scatola degli attrezzi che avevo infilato sotto il sedile.
«I miei attrezzi. Costruisco le cose».
«Anch'io costruisco le cose», esclamò Noah, con orgoglio. «Ho tanti mattoncini e faccio dei castelli alti dove ci passano le mie macchinine. Anche tu hai tanti mattoncini?».
Feci un sorriso. «Si, credo di sì. Ma uso chiodi,martello e sega per costruire case».
Spalancò gli occhi. «Wow. Anch'io ho bisogno di un martello e di una sega».
Harry rise. Il suono della sua risata mi fece venire la pelle d'oca. Dannazione.
«Si, non credo proprio», disse. I suoi occhi incrociarono i miei per un attimo, poi di abbassarono.
«Ma potrei costruire una casa vera, come nella foto che abbiamo», replicò Noah.
Il volto di Harry si rattristò e si girò dall'altro lato. Le sue dita si contrassero in due pugni stretti sulle sue gambe e potei vedere le sue spalle alzarsi e riabbassarsi mentre faceva dei profondi respiri.
Merda. Lo sguardo tormentato era riapparso sul suo volto. Quello stesso sguardo che mi spingeva a desiderare di prenderlo tra le mie braccia e di non lasciarlo andare. Harry aveva sempre avuto questa sicurezza, questa luce che attirava le persone come il fuoco attira le falene. Fu ciò che aveva attratto la mia attenzione tanto anni prima. Anche allora, sapevo avrebbe fatto strada. Non solo perché era molto intelligente ma anche perché la sua determinazione faceva sì che nessuno potesse dubitare delle sue capacità.
Ma non vidi nulla di quel ragazzo nel l'uomo che ora sedeva accanto a me nel furgone.
«Ehi, piccolo, mi puoi aiutare quando vengo a riparare la macchina di papà?», chiesi, cercando di distrarli un po'. Non sapevo cosa, ma era chiaro come il giorno che qualcosa riguardo a una foto la fece chiudere in se stesso.
«Lui si chiama Harry», disse Noah, gonfiando il petto. «E posso aiutarti», rispose eccitato.
Vidi le spalle di Harry che si rilassarono, e le sue dita non erano più serrate in un pugno. Volevo rispondergli che già sapevo il suo nome, che lo conoscevo da un po', ma non mi sembrava il momento giusto.
«Perfetto». Mi girai e gli arruffai i capelli, poi mi chiesi perché diavolo lo avessi fatto. Cosa stavo facendo? "Giocavo con il fuoco", rispose una voce nella mia testa. La ignorai.
«Siamo arrivati?», chiesi mentre ci avvicinavamo a Center Street.
«Gira qui, poi é il palazzo sulla sinistra». Harry si raddrizzò e cercò le chiavi nello zaino.
Fermai il furgone in un piccolo parcheggio. Sembrava ci fossero otto appartamenti, quattro al piano di sopra e quattro al piano di sotto. Il palazzo avrebbe avuto bisogno di qualche lavoro e sicuramente di una riverniciata. Sperai che il suo appartamento fosse al piano superiore, perché più sicuro.
«Sono lì. 3B». Indicò l'ultimo appartamento, piano superiore, e parcheggiai in un posto con un cartello divelto su cui era scritto con una vernice bianca "3B". Harry allungò le braccia e liberò Noah, poi cominciò ad aprire la portiera prima che togliessi le chiavi dal cruscotto.
«Aspetta». Spensi il furgone e mi liberai della cintura di sicurezza, poi saltai fuori e feci il giro per aprire la sua portiera. Quando la aprii, un sorriso divertito attraversò il suo viso.
«Grazie». Saltò fuori e prese Noah in braccio per farlo scendere. Lui si diresse immediatamente verso le scale che conducevano al piano superiore.
Aiutai Harry a prendere le sue cose, tenendo per lui il seggiolino e le buste più pesanti.
Inclinò la testa e mi guardò. Questo gesto mi fu così familiare che mi ci volle un minuto per ricordarmi che non eravamo più dei ragazzini. Questo strano miscuglio di passato e presente mi stava davvero fottendo la testa.
«Posso portarli da solo, sai?», mi disse.
«Lo so. Ho solo bisogno di sentirmi utile». Alzai le spalle e le feci un mezzo sorriso.
Noah era arrivato al balconcino davanti all'entrata e ci stava salutando. «Venite ragazzi?», gridò.
Harry sposto le buste tra le mani e pensai per un attimo che mi avrebbe chiesto di consegnargli quelle che stavo portando per lui, ma con uno sguardo rassegnato si strinse nelle spalle, si girò e mi fece strada su per le scale. Poi lo seguii, cercando di mantenere gli occhi al di sopra della sua vita. Quasi ci riuscii. Sono sempre stato un uomo a cui piaceva il culo, e dannazione, lui ne aveva sempre avuto uno bello che sembrava essere solo migliorato con gli anni.
Scossi la testa.
"Non ci pensare neanche.
Allora perché diavolo lo stai aiutando a portare la spesa, idiota?"
A saperlo...
Si fermò davanti alla porta e Noah cercò nello zaino. Tirò fuori le chiavi e provò a infilarne una nella toppa.
«Ce la faccio, ce la faccio», mormorò.
Vidi lo sguardo di Harry e ridacchiai. Questo bimbo era uno spasso. Non avevo avuto molto esperienza con i bambini, ma sembrava molto intelligente per la sua età. Il che mi fece pensare che non sapevo quanti anni avesse e quale fosse la sua storia.
Lui aveva sempre voluto bambini, ma non fino a quando saremmo cresciuti e avremmo avuto la nostra casa con la porta blu e le rose tutte intorno. Sempre dopo che sarebbe diventato un famoso astrofisico, naturalmente.
Sembrava che i suoi sogni fossero cambiati.
Finalmente Noah aprì la porta con un sonoro tada, e corse dentro. Harry entrò, si voltò, e avvertii chiaramente il suo imbarazzo come se ci fosse un muro fra di noi.
«Posso lasciare queste qui, se preferisci». Avevo capito. Era strano anche per lui. Che cosa avrebbe potuto fare, invitarmi per un caffè? Fingere che gli ultimi sette anni non ci fossero mai stati e ignorare il bimbo che era con noi nella stanza?
Le sue guance arrossirono ma non abbassò lo sguardo. «Si, sarebbe meglio. Non mi aspettavo che venisse qualcuno e la casa é in disordine, oggi. Bé, onestamente lo é quasi sempre, ma Noah si é rifiutato di mettere a posto i suoi giocattoli prima di uscire, quindi é messa piuttosto male».
Dubito che ci fosse così tanta confusione da preoccuparsene. Dopo che mia madre se ne andò, mio padre non aveva neanche l'energia di andare a gettare fuori l'immondizia. Quante volte fui costretto a buttare dei piatti perché erano così incrostati che era più facile sbarazzarsene? Ma non ero lì per fare l'idiota e mettere allo scoperto la sua bugia. «Non c'è problema, devo andare comunque a chiamare il mio amico e riportare la macchina qui». L'avrei rivisto il giorno dopo, allora perché i miei piedi si rifiutavano di muoversi?
«Ehi signore, vuoi vedere le mie costruzioni?», chiese Noah dall'interno.
«Magari la prossima volta, piccolo. E, ehi, cerca di andare a dormire presto sta sera. Il mio assistente non può essere troppo stanco domani».
«Lo farò».
«Mi daresti il tuo numero di telefono?», mi rivolsi a lui.
I suoi occhi si ingrandirono e vidi le sue dita stringere le buste. «Vorrei lasciarti il mio numero nel caso succeda qualcosa o se per caso trovi un'offerta migliore». La sua risata soffocata scuole la tensione intorno ai suoi occhi.
«Noah, dà a Louis il mio telefono, per favore». Sentire il mio nome pronunciato dalle sue labbra non aveva perso il suo fascino. E questo avrebbe dovuto farmi scappare il più lontano possibile come uno squilibrato. Invece, Noah mi portò il telefono e io misi il numero in rubrica. «Dovrei essere qui verso le dieci domattina, se ti va bene».
Annuì. «Va bene. E...». Fece un lungo respiro, come Se quelle parole le facessero male. «E grazie, Louis. Per il passaggio e la riparazione della macchina».
«Sono contento di essere stato lì ad aiutarti». Lo pensavo davvero. Non credevo l'avrei mai più rivisto, ma ora che era accaduto, quasi speravo che fosse stato un sogno. Non avrei voluto rincontrarla così. Non da così vicino da poter vedere quanto vulnerabile e stanco ma determinato fosse.
Perché il ragazzo che un tempo amavo, ora aveva bisogno di aiuto, e io non sarei mai stato in grado di girarmi dall'altra parte.

🌈

Ecco a voi il capitolo, spero vi piaccia. Lucia Xx

Dimmi che ti manco. Larry StylinsonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora