Dello studio

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Dopo quel giorno, si rincorsero mesi tutti uguali, in cui lavoravo sodo sotto Trevila, mentre mia sorella rimaneva a casa, spulciando con meticolosità i quotidiani e gli annunci sul web, sperando ad ogni scorsa di trovare proposte di lavoro. In quel periodo di relativa stabilità, riuscimmo ad adattarci alla vita frenetica di Talassa, sebbene in quell’Area non fosse poi così movimentata come nel suo centro. A volte, dopo avermi mostrato la strada, Trevila m’inviava nel Quadrante sedici, a fare rifornimento di carburante, olio e tutto ciò che veniva a mancare, e ogni volta ne approfittavo per capire meglio quella gente e quella megalopoli.
Il Quadrante sedici era uno dei più ricchi e ospitava ciò che di meglio poteva esserci nel commercio dell’intero Sistema. Nelle linee aeree sfrecciavano a grande velocità le eliauto delle figure più importanti della società, a partire dal Primo Ministro, Lars Dohla. Lo vidi solo una volta, di sfuggita. Lineamenti perfetti e capelli blu intenso, dallo sguardo assorto. Mi sembrò un bravo umano, tutto sommato. Capivo poco di politica, perciò potevo giudicare di lui solo quello che sapevo, e cioè che era stato lui a volere che si formasse una lega fra i pianeti del Sistema, in modo da poter usufruire ognuno delle risorse dell’altro senza pagare, come nei normali rapporti commerciali.
Camminando per quelle strade, in mezzo a quelle persone, mi accorsi della differenza che c’era fra il mio paese, su Plutone, e Talassa. La ricchezza era nei negozi, illuminati a giorno anche durante la notte, che presentavano ai nettuniani le prelibatezze tecnologiche, o le ultime tendenze della moda, o le innovazioni meccaniche del divertimento. Enormi palazzi arzigogolati e bombardati di diamanti e vetro decuplicavano la luce e facevano sembrare tutto uno splendido luogo incantato. E proprio lì, in quel luogo civile ed evoluto, in quel monumento alla ricchezza e agli agi, dove i bambini si divertivano su mini eliauto, dove le donne giravano ricche di gioielli e consce del loro splendore e della loro ricchezza, dove tutto sembrava promettere glorie e gioie eterne, proprio in quel luogo eravamo stati trattati peggio delle bestie, allontanati, discriminati.
Capii in quel momento come in nessun altro, che non era la ricchezza e l’evoluzione della specie a rendere qualcuno veramente civile e intelligente, degno del vero rispetto. Per nessuno di loro avrei fatto qualcosa che non fosse stata ricambiata in qualche modo. Non avrei regalato loro neppure un'unghia della mia mano, per tutto l’idrogeno metallico dell’universo.
Tornando a casa dopo una di quelle uscite, Talia mi accolse senza buone nuove, come tutti i giorni. Mi presentò il pasto e iniziai a leggere il quotidiano, mangiando. Fui colpito dall’annuncio che poco distante da dove abitavamo, si impartivano corsi serali e notturni di ingegneria spaziale, e che era aperto a chiunque, di qualunque età.
«È ottimo, non trovi?» dissi a Talia, dopo averglielo letto. «Potrei pagarmelo con parte del compenso che mi viene da Trevila, e se riesco a certificarmi, potrò cercare un lavoro migliore e sostentarci.» Talia sorrise, un sorriso triste. Abbassai lo sguardo. «Lo so, è lo stesso lavoro di papà…»
«Sei sempre stato portato per queste cose, Rasmenos.» m’interruppe, sorridendomi incoraggiante. «Perché non assecondare le tue inclinazioni?» Il giorno dopo mi andai ad iscrivere ai corsi serali.
Le giornate divennero ancora più pesanti. Al mattino e al pomeriggio lavoravo per Trevila, la sera, subito dopo la prima ora di buio, seguivo le lezioni fino a tarda notte, e nella maggior parte dei casi passavo la restante parte sveglio per studiare. Diventai più sciupato, ero assente e distratto, la maggior parte delle volte nervoso. Quando Trevila si accorse che avevo sbagliato a collegare un cavo in un’eliauto a causa della stanchezza, mi rimproverò aspramente.
«Se non hai le forze per condurre questo stile di vita, conviene che prendi una decisione!»
Non passai i primi esami e questo mi abbatté ancor di più. Sembrava che non avessi le forze per fare più nulla. Per quanto m’impegnassi, non ottenevo risultati.
Una notte, Talia si svegliò. Era la prima volta in vita sua che mi vedeva piangere. Mi fu accanto, abbracciandomi forte.
«Perché non riesco laddove nostro padre ha potuto? Perché non riesco a studiare uno stupido foglio elettronico di duecento pagine, maledizione!» Lanciai un calcio al muro. «Non sono all’altezza di nostro padre…» Mi accasciai contro il muro, nascondendo il viso fra le braccia. Talia mi abbracciò e in lei risentii il calore di nostra madre, che non aveva mai potuto conoscere. Questo mi angosciò ancor di più e piansi amaramente, come un bambino.
«Nostro padre sarebbe orgoglioso di come ti stai sacrificando per mantenerci.» disse, con la sua voce dolce, tanto simile a quella della mamma. «Nessun ragazzo alla tua età avrebbe mai fatto tutto questo. Hai avuto la forza di non abbatterti mai, neppure quando fallivi le prime volte con Trevila, ricordi? Quando sbagliavi le dosi, o quando le passavi una chiave al posto di un’altra. Non ti sei mai arreso, nemmeno quando gli umani ci rifiutavano e ci guardavano con disprezzo.» Alzai lo sguardo su di lei. Mi stava sorridendo, fiduciosa. «Compi il tuo dovere fino in fondo, e vedrai che otterrai tutto ciò che desideri, fratello mio.» Citò appositamente una frase che nostro padre usava ripeterci spesso. La baciai sulla guancia e le sorrisi.
Se possibile, raddoppiai gli sforzi, cercando di organizzare lo studio e il lavoro, trovando anche il tempo per dormire di tanto in tanto. Dopo alcuni mesi, recuperai gli esami persi.
Man mano che venivo promosso ai gradi più alti del corso, i costi per mantenermi aumentavano, finché non ce la facemmo più a sopportarli e fui costretto ad abbandonarli. Fu un grande colpo per me. Cercai delle agevolazioni, ma tutte quelle che c’erano non erano accessibili per la nostra situazione. Eravamo troppo sotto o troppo sopra il limite imposto dalle clausole. Per alcuni mesi, credetti che tutto il sudore lasciato su quei fogli fosse andato sprecato.

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