Let's Hurt Tonight - OneRepublic

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"I coniugi Lemaire, Damien e Josephine, avevano dato alla luce tre splendidi figli, due maschi ed una femminuccia. Jules era stato il primo a venire al mondo, nel 1992, e si era rivelato sin dalla primissima infanzia un bambino dal carattere mite, non avvezzo ai litigi, molto dedito al lavoro e all'impegno, con una grande passione per i saggi della filosofia ottocentesca; dei tre, sicuramente era quello più acculturato, e della sua cultura ne faceva un vanto continuo. Arthur, invece, era giunto ben sedici anni dopo Jules, nel 2008, quando i due coniugi pensavano che ormai fosse troppo tardi per poter dare alla luce un altro pargoletto. Il bambino era l'esatto opposto del fratello: vivace, sempre desideroso di giocare all'aria aperta, grande amante dello sport e, in particolar modo, del calcio (anche se, ad esser sinceri, era l'unico in tutta la famiglia ad amare quello sport). Invece, per comprendere il carattere della secondogenita c'è bisogno di spendere più di qualche parola: la nascita di Noelle è da collocarsi più vicino a quella di Jules, nel 1994. All'epoca, i coniugi Lemaire erano nel pieno del loro sogno d'amore, e quando appresero, negli ultimi mesi del 1993, di aspettare un altro bambino, una femminuccia per giunta, fecero i salti di gioia. Jules, inizialmente, rimase indifferente alla notizia, contrariamente a quanto farebbe qualsiasi altro bambino. Sin dai primi anni di vita, apparve subito chiaro che Noelle si avvicinava molto di più, per carattere, ad un bambino che ad una bambina: non le importava di giocare con le Barbie, né con i peluches, ciò che lei desiderava erano le macchinine, quelle che riproducevano in miniatura le Ferrari, le quali, puntualmente, venivano smontate dalle sue manine curiose ed esaminate con la precisione dei migliori ingegneri. Crescendo, la passione di Noelle ricadde, quasi inevitabilmente, sulla Formula 1, e cominciò a coltivare segretamente il desiderio di potervi lavorare, un giorno, per progettare lei stessa quelle raffinate frecce che danzavano sui circuiti a 300 km/h. Forse, anzi, sicuramente, per quel motivo alla fine del liceo decise di darsi allo studio dell'ingegneria meccanica: voleva a tutti i costi, un giorno, poter lavorare su una monoposto."

Noelle rilesse frettolosamente quelle parole che aveva appuntato disordinatamente su quell'agendina che da anni si portava dietro, in ogni occasione. L'agendina, con la copertina rossa fiammante come una Ferrari, era poco più quande della sua mano, ma al suo interno erano custoditi i pensieri, le riflessioni, i ricordi di una vita (o, almeno, da quando Noelle aveva cominciato a lavorare sul serio con delle monoposto). Mentre si lasciava trascinare dai ricordi degli ultimi anni, la ragazza si perse ad ammirare il paesaggio di Le Castellet, nella sua terra patria, la Francia. Il circuito di Paul Ricard non era certamente tra i suoi preferiti, ma l'emozione che provava nel tornare nella sua terra era sempre la stessa. Il suo percorso all'interno del motorsport aveva avuto inizio appena qualche anno prima, subito dopo la laurea, quando un team della Formula 4 francese l'aveva presa a lavorare con loro, dopo un breve ma soddisfacente stage durante il periodo universitario. Da lì, nel giro di appena due anni, era giunta in Formula 1, dove in quel momento lavorava per la scuderia Red Bull, in qualità di ingegnere di pista del campioncino Max Verstappen, con il quale, inoltre, aveva stretto un ottimo rapporto di amicizia.

Quello era il weekend di gara di casa sua, e doveva riflettere, insieme a tutto il team, sulla strategia migliore per portare Max sul gradino più alto del podio. La stagione, fino a quel momento, era stata abbastanza proficua, dal momento che la monoposto del giovane pilota olandese aveva trovato la vittoria già due volte, a Monaco ed in Australia, circuito dove negli ultimi due anni avevano dominato le Ferrari. Noelle si convinse che il merito fosse un po' anche suo, dal momento che dedicava a quel lavoro tutto il suo tempo, tutte le sue energie, tutta la sua passione. Vedere Max sul podio era la ricompensa più grande, perché significava che il suo lavoro non era stato vano.

"Noe, vieni a farti un'oretta in palestra con me e Daniel?" Max parlava inglese perfettamente, probabilmente per il fatto che era cresciuto sui circuiti - suo padre stesso era stato un pilota di Formula 1.

The importance of being AntoineDove le storie prendono vita. Scoprilo ora