Capitolo Tre

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Tra pochi giorni sarebbe stato Natale, ma Dina non era molto entusiasta della cosa, dal momento che trascorreva il Natale come un giorno normale: per lei non era importante che fosse celebrato o no. Fortunatamente, ogni volta che c'era il suo compleanno, la Signora Clark le preparava una piccola torta per festeggiarlo con lei.
Se non avesse fatto ciò, Dina avrebbe dimenticato persino quanti anni aveva.

«Dal momento che oggi la balia non c'è, facciamo quello che faccio di solito». Pensò Dina. Si alzò dal letto, uscì dalla stanza e cominciò a vagabondare in giro per la casa. Anche se il Signor Clark le aveva vietato di uscire, non aveva mai detto nulla circa il fatto che lei andasse a farsi una passeggiata attorno alla residenza.
La cosa buona era che la casa era enorme, e che la loro famiglia era una delle più ricche della regione; ma Dina non era compiaciuta di ciò. Inoltre, Dina era assolutamente disgustata dalle persone arroganti che si preoccupavano del proprio orgoglio.

La ragazza visitava spesso la stanza delle collezioni del Signor Clark, e lo faceva anche se le era stato proibito. Entrò e si nascose lì dentro. In quella stanza, trascorreva un sacco di tempo, perché lì c'era qualcosa che i suoi occhi avevano puntato: una spada di un bianco candido. La spada era sotto una teca di vetro e isolata dalle altre collezioni, come fosse qualcosa di veramente speciale. Ogni volta che Dina si avvicinava a quella spada, si creava una silenziosa risonanza e la spada brillava sempre di quel colore bianco argenteo. Dina sarebbe stata capace di rimanere per ore a fissarla. Secondo sua madre e secondo la leggenda, originariamente quella spada era appartenuta ad un angelo, ma durante una guerra, la spada dell'angelo cadde accidentalmente nel mondo umano e non fu mai più da lui ritrovata. Tuttavia, da allora, gli umani del mondo l'hanno usata per le più disparate ragioni: venne usata per uccidere, per proteggere, per qualche beneficio personale e per tanto altro. Così la spada fu tramandata per molti, molti anni. Secondo alcuni voci su quella spada, si dice che chi riesca a costruire un buon rapporto con essa, sarò il suo padrone per l'eternità.

«Una spada così meravigliosa ... se solo fosse mia». Gli occhi neri di Dina si riflettevano sulla lustra superficie della spada. Lei appoggiò le mani contro il vetro della teca ed ebbe come la sensazione di sentirti attratta verso l'interno.

All'improvviso, sentì un rumore di passi avvicinarsi, così iniziò a nascondersi. La porta si aprì e qualcuno entrò: era Maisha.
Stava facendo la solita ronda quotidiana. Era ovvio che la stesse cercando, da quando aveva lasciato camera sua senza il suo permesso.
Dina cominciò a guardare la cameriera con uno sguardo carico di odio.
Successivamente, quando la donna lasciò la stanza, uscì dal suo nascondiglio.
. . .

In serata, la Signora Clark tornò a casa con un sacco di cose che aveva comprato ai grandi magazzini; molti dei quali erano solo rifornimenti quotidiani. Sfortunatamente, incrociò il Signor Clark.
Non si presentava spesso alla porta d'ingresso, ma questa volta era lì.

«Che cosa hai comprato?». Disse il Signor Clark, quando afferrò il braccio della moglie dopo averle rivolto quella domanda e facendole cadere alcuni degli acquisiti, inclusi degli spuntini che aveva comprato in segreto.

«Perché hai comprato quel cibo? Sono per quel mostro, non è così?! Come hai potuto comprare quelle cose in segreto?». Colmo di rabbia, il Signor Clark spinse la Signora Clark contro il pavimento, ma prima che potesse sfogarsi contro la moglie, Dina arrivò in tempo per bloccare il padre.

«Padre!! Che cosa stai facendo?!».

«Tu non hai diritto di chiamarmi "padre", mostro che non sei altro! Solo la creatura più perfetta ha diritto di chiamarmi così!». Il Signor Clark le diede uno schiaffo, facendola finire di lato. Lei si rialzò dal pavimento, fulminando suo padre con uno sguardo malevolo, prima che lui sospirasse un «Bah!» e se ne andasse.

Dopo essersi assicurata che l'uomo se ne fosse andata, Dina andò dalla Signora Clark e chiese, «Madre, stai bene?».

«Non ti preoccupare, sto bene. Sigh... oggi sono piuttosto sfortunata. Tu come stai, tesoro?».

«Sto bene... ma non ti avevo detto di non comprarmi quelle cose? Se papà le vede...».

«Non ha importanza... dal momento tu sei la mia unica figlia». La Signora Clark accarezzò gentilmente il viso di Dina, e disse: «Dormiamo insieme stanotte».

La verità era che la Signora Clark non poteva fuggire dal suo legame col marito anche se lo avesse desiderato; aveva pensato l'ipotesi di divorziare, ma non poteva abbandonare Dina, e anche se il divorzio fosse riuscito con successo, era probabile che il Signor Clark non le avrebbe lasciate andare.

«Madre...». La Signora Clark si mise a sedere sul letto, mentre Dina le stava sdraiata appoggiando la testa sul suo grembo.

«Sì?». La Signora Clark passò una mano sulla soffice chioma di sua figlia.

«Madre... tu mi odi? I miei occhi...». Dina guardò sua madre coi suoi profondi occhi neri.

«Ovviamente no... la mamma ama veramente i tuoi unici occhi. Tu sei il mio angelo, dopotutto».

«Angelo...». D'un tratto Dina si ricordò della spada nella sala delle collezioni. «Madre, vuoi scappare? Da questa casa?».

«Sì, l'ho sempre voluto...».

«Allora andiamocene insieme!!». Dina si mise seduta. «Lasciamo questo posto! Troviamone uno dove nessuno penserebbe mai di andarci ad abitare!». Dina afferrò le mani di sua madre.

«Ma Dina... tuo padre è una persona famosa, e conosce un sacco di gente, e se lui ci volesse trovare, finiremmo veramente in una brutta situazione!». Disse la Signora Clark chinando il capo.

«Ma madre... vuoi veramente continuare a vivere continuando a subire i suoi trattamenti? Tu ed io sappiamo bene che un giorno papà ci ucciderá, quindi scappiamo prima che questo accada!».

Negli occhi di Dina ardevano questi appassionati sentimenti e come sua madre notificò i sentimenti che ardevano in Dina, le strinse la mano e disse, «D'accordo». Vedendo che anche sua madre era determinata, Dina disse, «Allora... scappiamo alla vigilia di Natale! Ho già un piano!».

Dina spiegò il suo piano alla Signora Clark, finché non si fece l'alba.

. . .

Il tempo volò e il giorno della vigilia di Natale arrivò. Dina e la Signora Clark sarebbero fuggite di casa quel giorno; quella dimora non era più la loro casa, ma un inferno. Il padre di quella dimora era un giudice e lui era la legge; tutti quelli che si mettevano contro di lui, non vivevano tanto a lungo. Dina aveva aspettato perché arrivasse quel giorno; aveva preparato tutto, e adesso doveva solo aspettare che arrivasse la sera. Guardò il suo orologio: in quel momento, erano le cinque del pomeriggio.

«Hm... è arrivato il momento». Dina tirò fuori un ciondolo; era un ciondolo portafoto. Lo aveva acquistato in segreto, sgusciando fuori di casa furtivamente e andando a comprarlo al nuovo negozio di antiquariato che aveva aperto vicino a casa loro; il negozio vendeva un sacco di cose, incluso quel ciondolo. Da quando si era nascosta fuori, indossando un travestimento, pensò che la gente non si sarebbe accorta di lei. In ogni caso, ora stava andando a consegnare quel ciondolo alla sua amata madre.

All'improvviso, la porta della camera di Dina si spalancò, e la Signora Clark ricoperta di sangue, entrò dentro urlando: «SCAPPA DINA!!». Prima che Dina potesse reagire, il Signor Clark si levò di torno la Signora Clark con uno spintone da dietro e camminò minacciosamente verso Dina, afferrandola. Poi, urlò.

«Tu, dannato mostro! Ti ucciderò! Come ti sei permessa di uscire di casa?! Sai almeno che a causa di quello che hai fatto, qualcuno ti ha scattato una foto sostenendo di aver visto un mostro dagli occhi neri entrare nella nostra dimora?! Ho pensato che fosse qualcun altro, ma adesso il nostro cortile è pieno di giornalisti!». Dopo che ebbe concluso, scaraventò Dina da una parte. Dina, venendo spinta dal padre, andò a picchiare la testa contro lo spigolo del tavolo e perse coscienza.

Judge Angels [Ita]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora