Capitolo 1 - Road for dreams

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È da otto anni che vivo in Giappone.
Cinque anni che suono la chitarra.
Il mio obiettivo è ben chiaro nella mia testa, voglio diventare una chitarrista professionista.
Mia madre adottiva lo sa benissimo, così mi ha dato il permesso per entrare a far parte dell'Accadema di Musica White Ring a Tokyo.
Probabilmente me lo ha consentito solo perchè è il counselor di quella scuola, ma ho accettato di buon grado.
Mi ha permesso sempre di scegliere con molta libertà il mio percorso di studi.
Ci sto ancora pensando... ma credo che deciderò di fare i tre anni delle superiori e cinque del college.
La scuola ha anche un dormitorio, a quanto so, e anche se non ho ancora visto la scuola in sè, una volta mentre passeggiavo ho dato un'occhiata per caso all'entrata.
Ho visto una enorme scalinata di marmo che portava a tre grandi porte con decorazioni barocche su tutti i lati, due alte colonne gotiche, che dividevano le porte e sorreggevano il tetto dell'ingresso dove c'era scritto in lettere corsive dorate "White Ring Lily Accademy".
In questo momento sono in treno, nel viaggio che mi porterà  all'accademia dei miei sogni. Molte persone, in viaggio come me, mi guardano stranite. Oramai ci sono abituata. Del resto non è colpa loro
Vedete, risalto rispetto alle altre persone. Ho dei lunghissimi capelli color platino che sfumano verso il ghiaccio e gli occhi verde acqua con pagliuzze argentate. Theresa dice che sembrano gemme, ma io non le credo. Non sono così bella. Già in Europa potrei essere considerata fuori dal comune, ma qui in Giappone è ancora più accentuato.
I giapponesi nascono, quasi sempre, con i capelli neri e gli occhi scuri,  e ciò mi fa solo attirare più l'attenzione. Qualità più che ricercata nel campo della musica.
La cosa non mi dispiace, anzi sono felice che la gente mi guardi, ma molto spesso è parecchio soffocante e fastidioso. Specialmente perché non tutti mi guardano in maniera cortese. Talvolta vedo anche sguardi perplessi, o disgustati. Abbastanza raramente, in verità, ma so che il mio aspetto mette a disagio la gente.
Ho speso gli ultimi 5 minuti del viaggio a pensare e ripensare al modo in cui presentarmi. Non sono mai stata brava a relazionarmi. Non poter parlare mi costringe a tenere per me i miei pensieri e le mie emozioni. È difficile comunicare come ti senti senza emettere un suono, e non tutti sono abbastanza ricettivi da captare uno stato d'animo da una semplice espressione. Theresa, per fortuna (o talvolta per sfortuna, visto che è impossibile nasconderle qualcosa)  e forse grazie al suo lavoro, ci riesce benissimo.
Comunque sono molto in ansia. Mi è capitato di essere presa in giro, in passato, per la mia malattia. Mi è andata anche bene, i giapponesi per natura sono molto rispettosi e quindi me la sono cavata con poco.
Mille domande affollano la mia testa.
Piacerò ai miei compagni?
Non mi troveranno strana, vero?
Non si faranno problemi per il mio silenzio?

Un uomo urta contro la mia gamba, e ciò mi riporta rapidamente alla realtà.

-Scusa ti sei fatta male?- chiede con gentilezza l'uomo, è molto giovane, probabilmente, come me, è straniero, visto che ha i capelli biondi con gli occhi di un blu scuro, come l'oceano.

Gli faccio cenno che è tutto apposto, e sorrido.
Resisto alla tentazione di ringraziarlo. Grazie ai miei silenzi, sono molto introspettiva. Ho imparato ben presto quanto può essere pericoloso rimanere sola nella mia testa con pensieri come quelli. Essere tornata con i piedi per terra è una sensazione fantastica. Mi ha fatto un favore.
Mi alzo ed esco dal treno, sono finalmente arrivata.
Cerco Theresa girando la testa a destra e sinistra, ma senza risultato. Improvvisamente sento qualcuno stringermi forte da dietro. Per un istante, mi faccio prendere dal panico e un brivido mi corre lungo la schiena.

-Entschuldigung, mein Kleiner, es tut mir leid, dass ich dich vier Tage zu Hause gelassen habe, ich hatte einige wichtige Dokumente, um die ich mich kümmern musste.-
"Scusami piccola mia per averti lasciato sola a casa quattro giorni. Avevo dei documenti importanti di cui dovevo occuparmi". Riconosco la voce e la lingua, e mi rilasso. È Theresa, tra di noi parliamo in tedesco anche se quando ero piccola per esercitarmi nella lingua parlavamo principalmente giapponese.

-Non preoccuparti madre, adesso sono capace di badare a me stessa, d'altronde mi hai cresciuta tu.- scrivo sul mio taccuino, unico metodo di comunicazione attualmente accessibile.

-Oh, sei diventata una signorina per bene, e sei carinissima.- Mi dice pizzicandomi affettuosamente le guance bianche. Lei dice sempre che sono carinissima, ma io penso che lei sia molto più bella di me.
È alta, ha dei capelli ricci rossi come il tramonto, ha un naso a dir poco perfetto, ed un leggero rossore naturale sulle guance bianche tipiche di noi tedeschi. E poi, è mia madre. La persona a cui tengo di più al mondo.
Questo basta e avanza a renderla più che perfetta.

- Madre, mi fai male.- Scrivo mentre lei ancora mi pizzica le guance. Lei mi guarda e mette il broncio. Sorrido. È così buffa quando lo fa!

-Suvvia! Non ci vediamo da quattro giorni, mi sei mancata....solo un po'!-
Mi fa l'occhiolino e ridacchio. Arrossendo un po' annuisco con la testa per farle capire che anche lei mi è mancata. Non solo un po', ma tanto tanto.

-Dai, vieni che andiamo in macchina, ti porto subito alla tua nuova casa.- Dice lasciandomi le guance e prendendomi per mano.

-Anzi, alla nostra nuova casa!-

È vestita stranamente elegante, oggi. Non fraintendetemi, non si veste male di solito, solo che oggi si è messa molto in tiro. Dev'essere proprio un'occasione speciale per lei. Ha una camicetta nera con una corta gonna beige, che le lascia scoperte le gambe dalle ginocchia in giù. Chissà come fa a sopportarlo! È inverno, fa molto freddo in Giappone, e mi stupisco del fatto che non lo senta affatto. Poi mi ricordo degli inverni passati nell'orfanotrofio in Germania, e il mistero si risolve.
Niente batte un rigido inverno tedesco.

Dal canto mio mi sono vestita in modo un po' più adeguato al clima, con una camicia bianca e sopra un cardigan beige, una gonna blu scuro e delle calze nere lunghe, sento sempre freddo alle gambe. Non sono dello stesso temperamento di mia madre, e la cosa mi scoccia alquanto. Limita molto le cose che mi posso mettere rimanendo a mio agio.

Poco prima di arrivare alla macchina una folata di vento mi fa rabbrividire. Accidenti all'inverno, in qualsiasi nazione del mondo.

-Tieni, è tua- Theresa mi porge una busta, sorridendo.

Inclino la testa, non capendo cosa sia.

-È un regalo, sei stata brava a passare l'esame per la White Lily, non tutti sono capaci di farlo.- Al suono di queste parole mi sento alleggerita, e sono felice di aver incontrato Theresa, mia madre. Una sensazione che mi capita molto spesso, e che mi fa sentire estremamente bene.

-Ich liebe dich mama- scrivo sul taccuino, strappo il foglio e lo dò a lei che legge, mentre arrosisco.

Lei sorride e mi guarda, teneramente, come fa ogni madre a cui il figlio ha detto che le vuole bene. Anche se il suo sorriso per me è speciale. -Ich auch, Arte.- risponde.

Ah... il mio nome, una delle cose che più amo, il primo regalo di Theresa per me. Un nome che penso abbia dato una direzione ben precisa alla mia vita.

Apro la busta e trovo una bellissima sciarpa verde scuro con alla fine ricamato in oro Arte.

La indosso subito, e la stringo a me. La sensazione di calore che ne deriva non è dovuta solo alla sciarpa...ma anche ciò che rappresenta. Adoro mia madre, ogni giorno di più....e visto che siamo assieme da un sacco di tempo, beh...le voglio un mondo di bene.

- Ti dona, Arte. Ti piace il regalo?- chiede spostandomi delicatamente una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

Faccio cenno di sì con la testa più e più volte facendola ridacchiare. Mi scompiglia i capelli e si dirige verso la macchina. La seguo a ruota.

Apro la portiera e siedo in macchina, una macchina nuova, ha ancora quell'odore di appena comprato.
Theresa entra dall'altra portiera, infila la chiave nel cruscotto e fa partire il motore. Il rumore del motore è come un ronfare tranquillo. Non me ne intendo di macchine, ma è un gran bel rumore.

-Pronta? Da quì in poi la strada è tutta in salita. E non mi riferisco a quella verso casa!- Domanda lei entusiasta.

-C'è mai stata una strada per i sogni?- scrivo sul mio taccuino.

-Forse hai ragione, la strada per i sogni dobbiamo costruircela noi.-

Il bardo senza voceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora