Nonostante la spada del giovane uomo fosse nel fodero, Mefistofelia non smetteva di tremare. Portò le mai sotto il collo e le strinse come per proteggersi.
—Voi? Ma non fatemi ridere! Siete appena una ragazzina, è già tanto che sappiate suonare il pianoforte. L'uomo che cercano è qui da vent'anni e tu vuoi farmi credere che per tutto questo tempo abbiano cercato una bambina?— tuonò severo.—Siete crudele.— rispose con voce tremante la ragazza, fissando gli occhi sul pavimento. Ancora sperava che fosse tutto un sogno, che fosse irreale.
Avanzó di un passo e con sguardo speranzoso disse: —Ve lo posso provare, signore. Vi posso provare che sono io, quindi, per favore, lasciatemi tornare al mio pianoforte.—La goccia di sangue che prima era sgorgata da quel suo taglio aveva percorso tutto il collo, rovinando quel livido disegnato così bene.
Il giovane uomo aveva uno sguardo glaciale. Gli occhi azzurri erano assottigliati in direzione della giovane pianista, il viso incorniciato da riccioli biondi.
—Non se ne parla, ragazzina. Voi siete in un'ala del castello in cui non dovreste essere, in un orario in cui non dovreste girare a suonare una canzone che non dovreste eseguire.——Non è una cosa che ho deciso, signore. E ve lo mostrerò, basta che mi facciate tornare al mio pianoforte!— supplicò lei sul punto di piangere, con gli occhi umidi e leggermente arrossati. Parlava a fatica e con la voce spezzata per lo spavento. Sentiva che le gambe stavano per cedere, non avrebbe resistito a lungo.
—Con quale coraggio lo chiedete! È solo una scusa per scappare, dite la verità!— accusò lui, avanzando di due passi con la mano destra pronta per estrarre nuovamente la spada dal fodero.
Mefistofelia era con le spalle al muro, indietreggiò e l'occhio cadde sulla scia lasciata da quella goccia di sangue che percorreva il collo fino ad arrivare al solco tra i seni.—Il vestito! Vi prego di guardare le decorazioni del mio vestito. Osservate! Almeno questo!— esclamò la mora, facendo un passo indietro e allargando le braccia per far vedere le vesti.
La gonna dorata che cadeva a terra brillava come fosse il firmamento, sembrava che le stelle si muovessero, che le comete cadessero. Quasi fosse esso stesso il cielo.
Quello spettacolo non poté non stupire il ragazzo che restò una manciata di secondi immobile a guardare quello spettacolo.—Strega...— bisbigliò il giovane — Spero che abbiate una spiegazione, non esiterò a portarvi al patibolo.— concluse. E detto ciò avanzó in direzione di Ofelia con il braccio teso per trattenere la strega. Ella si voltò per scappare, ma il biondo con uno scatto repentino le prese il polso e lo strinse.
—Per favore, non fatelo a voi stesso!— gridò con gli occhi serrati per non vedere, per l'ennesima volta la catastrofe che stava per avvenire.
Non ci volle molto prima che il biondo lasciasse il polso di Ofelia, la quale cadde a terra e si rannicchiò appoggiata al muro, per tapparsi le orecchie e chiuse gli occhi. Udì le campane della Cattedrale, rumorose e forti abbastanza da fargli credere che i suoi timpani si sarebbero rotti da un momento all'altro.Un soffio d'aria gelida spense le candele a muro, lasciandoli al buio in quel tetro corridoio.
Cadde a terra con i palmi ai lati della testa e, per in un singolo momento, riuscì ad aprire le palpebre verso la finestra.
La Luna, che prima era solo un candido astro nel cielo viennese, ora sembrava più un orologio che un satellite. Delle lancette giravano all'impazzata in senso antiorario con quel fastidioso rumore di ingranaggi, passando di volta in volta su dei numeri romani che sembravano a pochi centimetri da una specie di corona gotica.Quando me lancette arrivarono alle tre in punto del mattino ci fu un secondo di silenzio, poi ricominciarono i rintocchi. Questa volta più forti e più vicini.
Non appena le campane cessarono di suonare il biondo tentò di alzarsi. Fallì e dovette restare in ginocchio per un'altra manciata di secondi.
—Che diavolo di stregoneria è?— chiese adirato.Ofelia era ancora rannicchiata vicino al muro, con le gambe abbastanza vicine al petto da schiacciarle il seno e le braccia intorno al capo per proteggersi. Tremava, ogni tanto faceva un verso simile a un lamento.
Non rispose, aprì solo la bocca e fece uscire qualche suono strozzato.
—Io ve l'ho detto! Vi ho detto di non farlo, vi ho detto di non toccarmi e ora anche voi siete in questo incubo! Se mi aveste ascoltata non saremmo qui! Per favore, evitate di urlare. Non risolverete le cose in questo modo.— pianse.—Lo spiegherete all'imperatore quando vi porterò al suo cospetto.— decretò lui in modo autoritario, avanzando fino a essere davanti a Felia. Era a due passi da lei, la sentiva respirare a fatica.
Al che la prese per l'avambraccio stretto sulla testa e la strattonò per farla stare in piedi davanti a lui, ma ella perse l'equilibrio e si vide con la schiena poggiata al muro e con ancora l'arto stretto tra i polpastrelli del biondo.—Non potete. Non siamo a Vienna, non siamo nemmeno più in Austria! Non c'è modo di uscire che non sia spezzare la mia maledizione.— affermò la ragazza liberandosi dalla presa.
Cercò di darsi un contegno, mettendosi con la schiena dritta e dandosi una sistemata alla gonna del vestito. Poi portò la mano destra al petto per indicare se stessa.—Il mio nome è Ofelia von Ruthven, principessa dei Vampiri e duchessa d'Austria. Sono stata maledetta vent'anni fa dalla Strega del Nord per averle rubato il ciondolo d'argento con la chiave di Sol. Da allora sono obbligata a suonare ogni notte la stessa melodia nella speranza che qualcuno mi trovi per spezzare l'incantesimo, ma ciò vuol dire dobbiamo andare nel livello più basso del Mitternacht e restituire la collana. Non è un'impresa facile, altri uomini ci hanno provato e non hanno avuto una morte serena.— si presentò.
Non ci fu risposta.
Il biondo continuava a guardare la ragazza con sguardo severo, poi si voltò verso il corridoio e iniziò a camminare. Aveva deciso che avrebbe fatto rapporto alle guardie su quella strega che girava nel castello, ma si sentì poi prendere il braccio.
—Almeno ditemi il vostro nome, signore! Non so come chiamarvi, e immagino che dovrei saperlo. Dopotutto siamo insieme in questa storia.——Alexander.— rispose e poi non disse più una sillaba. Non importava quanto Ofelia insistesse o lo supplicasse, le sue parole non lo raggiungevano.
Nel buio del castello sembrava seguirlo come un cagnolino, chiedendogli di fermarsi, dicendo che non aveva la benché minima idea di ciò che stava per affrontare.Era tutto inutile e se ne era resa conto. La mora lasciò andare le maniche e aspettò che lui avesse compiuto qualche passo prima di lasciarsi cadere a terra.
I capelli corvini erano cadenti verso pavimento che toccavano a malapena, il capo chino e quel suo pallore le davano un aspetto malaticcio.
—Piangete sempre?— chiese il biondo con durezza guardando Felia con la coda dell'occhio.In fretta, ella si asciugò le lacrime con i palmi e alzò debolmente la testa verso di lui. D'un tratto iniziò a battere i pugni contro il pavimento in legno finché la pelle non divenne rossa e dolorante.
Venne interrotta da Alexander che le prese uno dei polsi.
—Perché farlo a voi stesso? Se mi aveste lasciata al mio pianoforte a quest'ora non saremmo qui.—
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Bathed in Gold
Paranormal"Tutti gli uomini sono dei mostri. Non c'è altro da fare che cibarli bene. Un buon cuoco fa miracoli." (Oscar Wilde) Vienna, 1855 Ogni notte alle tre esatte, tra le camere dello Schönbrunn, si ode una triste melodia suonata al pianoforte dalla prove...