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Se c'era una cosa in cui eccellevo davvero, questa era la posposizione delle innumerevoli sveglie impostate sul mio cellulare. Altro che ginnastica artistica: posporre sveglie era la mia vera vocazione. Mia madre, tuttavia, non sembrava affatto disposta a farmi coltivare questo talento: dopo aver schiacciato snooze per la quattordicesima volta nell'ultima mezz'ora, fece irruzione nella mia stanza con la delicatezza di un carro armato.

«Tamara Delia Colombo!»

Quello starnazzo mi strappò al mio stato semicomatoso, facendomi schizzare a sedere come una molla impazzita. «Sono sveglia, giuro!»

Mamma, in piedi sulla soglia della mia stanza con un cipiglio assai poco rassicurante, mi puntò contro un indice. «Sarà meglio per te! Ma sai che ore sono?»

«Tardi, suppongo» biascicai, strisciando come una lumaca fuori dal letto. Oddio, che trauma. Mi sarei mai abituata allo shock da rientro a scuola? Soffocai uno sbadiglio nell'incavo del gomito, mentre con la mano libera staccavo il cellulare dalla carica. «Tranquilla, ce la faccio. Mi vedo in piazza con Giulia tra... sette minuti» balbettai, dopo aver visto l'orario sulla schermata di blocco del telefono. Oddio, non ce l'avrei mai fatta. Ciononostante, mi voltai verso mamma con un mezzo sorriso e le mostrai un pollice alzato. «Ce la faccio benissimo!»

«Sarà meglio per te.»

Una volta rimasta da sola non persi tempo: sgusciai fuori dal pigiama e, indossate delle mutande pulite, mi infagottai in un paio di jeans strappati che campeggiavano sullo schienale della sedia girevole da quando ero tornata da San Benedetto del Tronto. Ci abbinai una maglietta a mezze maniche pescata dalla baraonda nel mio armadio e, saltellando su un piede solo per infilarmi una Converse, uscii in corridoio. Almeno non dovetti lottare per l'egemonia del bagno: Giacomo, una volta tanto, aveva fatto prima di me.

Mi spazzolai in fretta i denti, mentre con la mano libera tentavo di infilarmi l'altra scarpa, poi mi spruzzai un po' d'acqua gelida in faccia e mi catapultai in cucina.

«Ta-dah!» esclamai, facendo un giretto su me stessa. «Pronta! E sono pure in anticipo di tre minuti.»

Giacomo, seduto a capotavola con la sua solita tazza di latte e cereali, mi rivolse un ghigno canzonatorio. «Sì, e sembri appena scappata dal set de L'alba dei morti viventi

«Almeno io non mi sono affogata nel dopobarba» lo rimbeccai, entrando in sala per recuperare lo zaino dal divano. Avevo trascorso buona parte della nottata a tentare di porre rimedio alla mia poltroneria, ma tutto ciò che avevo ottenuto era stato un cerchio alla testa e la consapevolezza di essere proprio fregata.

Mamma mi seguì in sala con una barretta energetica ai frutti di bosco, scrutandomi con il solito cipiglio di disapprovazione. «Mangia questa sull'autobus. E che sia l'ultima volta che salti la colazione, intesi?»

«Agli ordini, caporale.» Infilai la barretta nella tasca esterna dello zaino e, richiudendo la zip, le lanciai un'occhiataccia. «Comunque non è giusto che accompagni soltanto Giacomo. Anch'io sono tua figlia, razza di madre snaturata.»

«Mica questo è il tuo primo anno al liceo» bofonchiò mio fratello dalla cucina, una nota soddisfatta nella voce. «Perciò ti attacchi.»

«Giacomo! Cos'è questo linguaggio?» Mamma lanciò un'occhiata di puro veleno verso la cucina, poi mi diede una spintarella verso la porta. «Ci vediamo a mezzogiorno e mezzo. In palestra ti ci accompagno io, contenta?»

Afferrando le chiavi dalla bacheca all'ingresso, mi voltai per scoccarle un bacio volante. «Ti sei fatta perdonare. Buon primo giorno, scherzo della natura!» aggiunsi a voce più alta, prima che mamma mi chiudesse senza remore sul pianerottolo.

Cacciatori di Leggende - Ombra di LunaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora