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Quando mi risvegliai, una luce grigia e distorta penetrava dalle tende accostate. Mi mossi sotto il copriletto, cercando di districarmi dall'intreccio di stoffa che mi legava le gambe, e scoprii di sentirmi in gran forma: nulla a che vedere con il brutto senso di stordimento che mi aveva colto la sera prima, rischiando quasi di farmi svenire. Fortuna che Guglielmo mi aveva preso in tempo...

Oh, mio Dio, Guglielmo!

Mi tirai su a sedere di scatto e, ignorando la fitta di protesta alla spalla sinistra, scandagliai febbrilmente l'ambiente circostante. Ero sola.

Mentre spingevo via il copriletto a suon di calci, mi ritrovai a chiedermi se per caso non mi fossi immaginata tutto. Possibile che tutto quello che ricordavo della sera prima non fosse mai successo? Possibile che fosse solo frutto della mia fantasia?

Be', ancora una volta, il dolore alla spalla era fin troppo reale. Quell'essere... quel vampiro mi aveva davvero morso. Non avevo immaginato un bel niente.

Un improvviso acciottolio di piatti in cucina mi strappò un singulto. Erano tornati i miei? Che gli avrei raccontato? Dov'erano Guglielmo e Vittoria?

Con un vorticare incessante di domande ad agitarsi nella mia testa, uscii dalla camera in punta di piedi e imboccai il corridoio senza fare un fiato. La stanza dei miei genitori era vuota, così come quella di Giacomo. Tornai velocemente sui miei passi per controllare il cellulare: oltre alle solite notifiche sui social, c'erano una decina di messaggi su WhatsApp e il primo di questi era di mia madre.

Ci stiamo mettendo in marcia ora, lascio papà in ufficio e torno a casa con Giacomo. Le scuole restano chiuse per maltempo. Come stai? Tutto ok con la corrente?

Il messaggio risaliva a dieci minuti prima, perciò era proprio ragionevolmente impossibile che si trattasse di loro, in cucina.

Uscii nuovamente in corridoio e restai in ascolto. Oltre allo sbatacchiare di stoviglie, ora, sentivo anche un vago fischiettare ovattato.

E se è il vampiro? E se vuole concludere il lavoro iniziato ieri sera?

Il pensiero era assurdo, ma presi comunque precauzioni: passando davanti al mobile in fondo al corridoio, afferrai la statuetta di bronzo della Madonna che mia madre aveva vinto a una pesca di beneficienza, qualche Natale prima. La brandii dritta di fronte a me come una spada e, facendomi coraggio, entrai in cucina.

Oh, accidentaccio.

Ai fornelli non c'era il vampiro, bensì Guglielmo, il grembiule rosa di mamma legato in vita e le mani impegnate ad avvitare una caffettiera. Quasi quasi avrei preferito il vampiro.

Mossi un passo all'indietro, determinata a riordinare le idee – e a liberarmi della statuetta – prima di doverlo affrontare, ma lui fu più veloce: probabilmente allarmato dall'asse traditrice che scricchiolò sotto il mio peso, Guglielmo si voltò verso di me.

«Non dovresti essere già in piedi.» Mollò la caffettiera sul piano piastrellato e aggirò il tavolo, venendomi incontro a grandi passi. «Hai bisogno di riposo, ragazzina. Come dobbiamo dirtelo?»

Io mi passai la statuetta della Madonna da una mano all'altra, guardando qualunque cosa che non fosse lui. Non ero certa di riuscire a nascondere i sentimenti che mi avevano agitato negli ultimi mesi, ora che lo stordimento della sera prima si era dissolto del tutto.

«Sto bene» borbottai, stringendomi nelle spalle. «Solo un po' la spalla, ma...»

«Vieni qui.» Guglielmo mi spinse verso il tavolo e poi giù, su una delle quattro sedie che lo circondavano. Mi scostò il colletto del pigiama a orsetti e, un centimetro alla volta, scollò il cerotto bianco con cui Vittoria mi aveva medicato. «Sta guarendo bene.»

Cacciatori di Leggende - Ombra di LunaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora