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Tutto avvenne gradualmente, tanto da non accorgersene. Oddio, no che non ci siano stati dei segnali prima, ma sono sempre stato uno che sogna ad occhi aperti e pensavo fosse la MIA fantasia e invece... Qualche dubbio sulla mia sanità mentale mi venne il giorno che incontrai Charles Bukowsky al bar: andammo in giro tutta la notte a bere come secchiai quella merda di vino alla spina e riuscii anche a pagare un paio di puttane da scopare sopra un muretto, vicino alla stazione. Il giorno dopo mi svegliai in galera, stupito nel sentirmi dire che avevo fatto nottata con un minorenne. Si, un ragazzo di 15 anni, trovato dalla polizia a fianco a me a vomitare sopra il corpo strafatto di una troia. Per non so che cazzo di ragione lo avevo scambiato per Bukowsky. Comunque me la cavai con una multa, una denuncia, 6 mesi di carcere, una diagnosi di disturbi allucinogeni dovuti a psicosi e, ovviamente, un biglietto d'andata per il manicomio.

Dopo qualche tempo uscii da quelle pareti bianche dove perdevo i miei occhi nel vuoto. I miei disturbi erano quasi del tutto spariti. Me lo poté confermare Freud, una sera a casa di un mio amico; ma (io avevo bevuto un po')devo aver frainteso il discorso che fece su mia madre: mi sembrava dicesse che dovevo scoparmela o che voleva scoparsela lui, non lo so, sta di fatto che non ci vidi più dalla rabbia e lo picchiai a sangue sopra il tappeto del salotto. Da dietro, il suo amico, Jung, rideva come un pazzo, dicendo che forse era proprio vero che la figa è la causa prima di tutti i mali psicologici.

Scappai in strada sporco di sangue e pelle e presi una direzione a caso tutto agitato dall'adrenalina. Mi ritrovai a vagare per il centro industriale. Per alcuni solo vestigia di un passato ormai non più esistente, soppiantato dall'eterea rete Internet, che veicola informazioni così istantaneamente da sfiorare l'ubiquità. Piccoli e inutili intellettuali del cazzo! così presi a cercare di partorire idee con il loro cervello, da dimenticarsi di uscire dalla loro camera e andarle a cercare in un mondo che si industrializza a livelli mai visti, che addirittura sta aumentando il consumo di carbone, e che con la forza di due miliardi di lavoratori salariati, organizzati da e per il capitale, estrae metalli dalle viscere della terra e li lavora per farli diventare processori, da mettere dentro a dei computer, che questi stronzi intellettuali segaioli usano per scrivere cagate su un fantomatico mondo fatto di informazioni. Ebbi modo di approfondire questi argomenti con Marx, che incontrai giusto in quel momento, intento a fare delle foto al paesaggio industriale.

"Stai facendo foto artistiche?" Chiesi simpaticamente. "No" disse lui con tono grave, "Voglio capire la relazione fra la struttura economica e la sovrastruttura ideologica". "Beh, mi ricordo di te, ti ho studiato a scuola, e devo dire che mi trovo proprio daccordo con le tue idee: anche secondo me tutti gli uomini sono uguali", dissi orgogliosamente. Lui mi guardò come fossi un coglione e disse "Sei un coglione". Non si può certo dire che mancasse di limpidezza il ragazzo, ma non poteva trattarmi così, come se fossi.... un coglione. Incoraggiato dall'adrenalina ancora nel sangue, presi la rincorsa per colpirlo alla nuca mentre stava inginocchiato a fotografare, ma lui riuscì ad afferrarmi stretto il braccio. Si alzò con tutta la sua imponenza (non lo facevo così grosso), si girò e mi spaccò un pugno in faccia. Caddi a terra instupidito muovendomi come un bambino nella culla. Fu sempre lui ad alzarmi in piedi. "Bisogna conoscere il nemico per batterlo" mi disse sollevandomi, e proseguì "Dai, vieni che ti offro da bere".

Entrammo al bar e da buon tedesco mi offrì una birra, che bevemmo insieme al suo amico Engels. Dopo aver discusso di grammatica comparata e di slavo antico, mi accorsi che era una mezzora buona che non capivo una sola cazzo di parola. Marx mi accompagnò alla porta dicendo che doveva scappare. Urlò al suo amico di pagare perché lui era senza un soldo, diede una palpata al culo della giovane cameriera e se ne andò via ridendo. Guardai Engels seguirlo con una pazienza quasi paterna. Ai rivoluzionari bisogna volerci bene, sono persone normali, che non possono a fare a meno di essere straordinarie; sono la natura dell'uomo che ha preso finalmente coscienza della continua mutevolezza della vita.

La lanterna rossa e altri raccontiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora