2. Il passato ritorna

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Era mattina presto quando Federica si alzò.
Non sapendo che ora fosse aprì gli scuri della sua casa.
Quando aprì la finestra di camera sua si trovò davanti uno spettacolo magnifico.
Dietro le montagne innevate si vedeva il cielo con i colori pastello dell'alba, la foresta al di sotto delle montagne era dipinta di sfumature che davano dal nero al marrone.
Venne distratta dalle campane delle mucche che andavano al pascolo e dell'abbaiare dei cani dei contadini.

Si ricordò perché aveva deciso di vivere lì.
Voleva dimenticare il suo passato in cui aveva sofferto moltissimo.
I genitori erano morti in un incidene e lo zio la aveva accolta lì, in casa sua.

Ad un tratto una folata di vento le fece venire i brividi e le accarezzò i capelli castani, lunghi e mossi.

Dopo richiuse la finestra e si mise a ripensare all'incontro con Ermal.
Si ricordava quell'uomo premuroso e gentile.
Il suo volto gli era rimasto impresso nella mente.
Il suo sorriso la catturava.
Lei adora quei ricci spettinati dal vento quel giorno ma quello che le rimase impresso di lui erano gli occhi.
Così dolci e premurosi.

La sveglia suonò alle 6.30 interrompendo i suoi pensieri.

Si alzò, andò allo specchio e indossò la sua divisa.
La divisa era verde ovviamente.
Quello era il suo colore preferito.
La divisa si intonava ai suoi occhi risaltandone il colore.

Quando uscì di casa per andare nel suo studio di veterinaria della forestale notò che aveva ancora tempo e dato che non aveva fatto ancora colazione decise di fermarsi al  bar dove lavora Emma.

"Ciao Emma!" Dissi aprendo la porta.

Era dietro al bancone a servire dei clienti.

"Ciaoooo Micetta!" Disse usando il suo modo di chiamarmi.

"Ti porto il solito?" Chiese mentre mi sedevo.

"Sì, grazie."

Quando mi mise la tazza di caffè sul tavolo sentì una voce familiare dietro di me.

"Alla ragazza offro io" disse con voce premurosa a Emma.

Mi voltai e vidi Ermal.

"Non ti permetto di pagare dopo quello che è successo ieri"

"Non è colpa tua e non ti devi scusare"
"È libero?"

"Sì. Sono sola."

Si siede vicino a me e dopo qualche minuto ordina.
C'era un silenzio imbarazzato.

"Ti va di fare una passeggiata al lago o sei troppo impegnata a inseguire orsi che attraversano la strada, dottoressa?"

Doveva aver letto il cartellino che c'è nel taschino della camicia.

"Tranquillo. Oggi non devo inseguire altri orsi." Guardai furtivamente l'orologio.

"Stranamente mi avanzava un' ora."

"Fantastico!" Commentò lui eccitato.

Bevemmo i nostri caffè e andammo al lago.
Durante il tragitto parlammo del più e del meno.

Ci sedemmo su un tronco davanti al lago.
Lui aveva con sé la sua inseparabile chitarra.

"Sai suonare?"

"Ho imparato qualcosa da piccola."

"Puoi suonarmi qualcosa o ..."

"Ti va se suono l'Halleluja di Leonard Cohen?"

"Certo!"

afferrai la chitarra e suonai la canzone, trasportata dal ritmo mi misi anche a cantare e lui fece lo stesso.
Avevo notato la meraviglia nei suoi occhi quando mi ascoltò cantare e suonare.

Appena terminata la canzone mi arrivò un suo applauso.

"Sei bravissima!"

"Tu sei troppo gentile!"

"No, no. Hai mai pensato di studiare al conservatorio?"

"Veramente no."

Ci fu un silenzio poi lui lo interruppe.

"Sei una mia fan?"

"Da sempre! Ti adoro. Sei il mio preferito."

"Mi lusinghi!"

Ad un tratto udii le campane rintoccare le 9.00.
Dovevo correre al lavoro.

Ermal capì la mia fretta quindi mi abbracciò salutandomi.
Quall' abbraccio non lo avrei mai scordato intutta la mia vita.

Quando ci lasciammo gli diedi la chitarra e mi incamminai per la strada verso lo studio.
Mi girai e lui mi sorrise poi se ne andò.

Sempre saraiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora