Dear, Dear Life

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Devo scrivere, VOGLIO scrivere con quel poco di forza che mi rimane perchè la gente sappia cosa sia realmente accaduto qui questi ultimi giorni. Sappiate che non potevamo evitare ciò che è successo, tutto ci è collassato sopra in un tempo così breve da prenderci di sorpresa.

Forse, forse è meglio che cominci tutto dal principio.

Era una domenica, lo ricordo bene, ero lì buttato come uno straccio sapendo di dover riprendere, dopo neanche un mese di stop, quella che era la mia normale routine quotidiana all'università. Sempre la stessa mancanza di voglia per lo studio. Non capisco ancora perchè avessi accettato tutto ciò. Il giorno dopo ricominciai subito ad arrivare con il mio solito ritardo di un quarto d'ora circa. Sbottai come al solito prima di sedermi, ma quella mattina c'era qualcosa di diverso, lo sentivo. Una sensazione nuova, un prurito allo stomaco che crebbe così velocemente da farmi scappare nel primo bagno che trovai all'università. Cristo non credo che l'inserviente sia stato felice di entrare in quel bagno dopo di me a pulire il casino che ho combinato.

Tornai a casa, ero troppo malconcio per finire di ascoltare la lezione. Avevo le mani che tremavano, ero a malapena riuscito ad aprire la porta che dovetti correre in bagno un'altra volta.

La cosa andò avanti per alcuni giorni finchè finalmente decisi di farmi accompagnare da mio padre in un ospedale, ero troppo scassato per guidare. Arrivai in ospedale barcollando insieme a mio padre e un'infermiera ci accompagnò in una stanza per la radiografia che avevo prenotato tempo prima. Aspettai diverse ore sdraiato su uno squallido lettino d'ospedale; non mi sono mai piaciuti questi schifi, mi hanno sempre dato l'idea di qualcosa di orribilmente solitario e triste. Infine arrivò. Qualcosa che non avrei mai voluto sentire in tutta la mia vita: una neoplasia allo stomaco. Inoperabile. Mi crollò il mondo addosso, così come ai miei genitori.

Iniziai il primo ciclo di chemio dopo un paio di giorni e dopo all'incirca una settimana mi fu concesso di poter tornare ad una vita quasi normale.

Mi alzai una mattina con il classico senso di nausea che mi accompagnava ogni giorno, mi diressi in cucina dove vidi una montagna di piatti e pentole non lavate. Gridai al mio coinquilino di essersene dimenticato in quando la sera precedente era il suo turno. Neanche mi ascoltò quel grandissimo figlio di una cagna. Diedi un calcio alla sua porta tanto forte da spaccare la serratura e spalancarla. Gli intimai con estrema freddezza di andare ad adempiere ai suoi compiti. Con un aria stupefatta e gli occhi sbarrati andò senza neanche fiatare qualcosa di diverso del tipo: "Sta calmo adesso ora vado". Che idiota. Mi vestii in fretta e furia e stavolta per andare all'università decisi di prendere il bus. Appena arrivato alla fermata notai un ragazzo poco più grande di me biascicare una gomma peggio di qualunque altra persona. Mi voltai per dirgli un paio di volte di non rumoreggiare come un condizionatore anni cinquanta, ma non mi ascoltò.

Mi avvicinai dopo un paio di secondi gli presi gli occhiali e li buttai in mezzo alla strada. Come fece cenno di voler andare a raccoglierli gli diedi la classica spintarella di nascosto. Lo vidi cadere, vidi anche la sua testa finire terribilmente schiacciata dalla ruota anteriore del bus che stava frenando. Sorridevo in un delirante divertimento tra le urla delle persone scioccate. Decisi così, specialmente per evitare eventuali guai giudiziari, di chiamare un taxi. Arrivai in classe con il mio solito quarto d'ora di ritardo. Non riuscii a togliermi di dosso quella sensazione, quella di avere ucciso un uomo. Era così tremendamente bella. Per la prima volta in vita mia potevo dire di sentirmi veramente vivo.

A fine lezione uscii dall'università e mi diressi in centro. Senza accorgermene passarono all'incirca due ore e mezzo. Mi fermai di colpo. Dannazione mi ero fatto prendere troppo dai miei pensieri. Dovetti richiamare un taxi per farmi portare a casa. Appena arrivò salii insieme ad un altro tizio. Sicuramente più anziano di me. Non credo ci sentisse bene in quanto parlava al suo cellulare con un tono di voce talmente tanto alto che non avrebbe potuto neanche usarlo, il cellulare. Siccome la via dove abitavo era più lontana, il tassista decise di accompagnare prima l'altro passeggero. Scesi insieme a lui e lo seguii per diverso tempo prima che si fermasse davanti a un cancello. Appena lo aprÌ lo raggiunsi. Presi la sua testa, la poggiai vicino al cancello e iniziai a spaccarcelo sopra. Dopo diverse urla di dolore, capii che stavo schiacciando ormai solo umidi frammenti di ossa. Così lo presi e lo trascinai per diverse decine di metri prima di arrivare in un giardinetto. Scavai la tomba con le mie stesse mani prima di buttarci quel che rimaneva di quel demente. Ancora quella magnifica sensazione, presi una sigaretta dal pacchetto che avevo in tasca e iniziai a fumare. Poi pensai, dove avevo preso le sigarette? Io non fumavo... La gettai per terra e iniziai a tornare a casa, oramai era quasi sera.

Arrivato a casa mi accasciai sul letto, senza neanche cenare. Mi svegliai il giorno dopo, controllai l'ora: erano le 18:45. Cazzo quanto avevo dormito? Mi scaraventai giù dal letto e trovai quel distributore automatico di stress del mio coinquilino che mi rigirò la mia predica del lavaggio piatti. Lo ascoltai per un paio di minuti prima di mandarlo al diavolo. Mi diede un pugno talmente forte da farmi barcollare. Quel demente credeva di mettermi al tappeto. Sorrisi nuovamente prima di ricambiare il favore e farlo cadere a terra, gli presi la testa e, dopo averla sbattuta a terra per un paio di volte, iniziai a fargli male veramente. Gli infilai i miei pollici negli occhi finchè non furono ridotti ad un laghetto di sangue viscido sul pavimento. Presi il suo corpo e lo misi nella vasca. Iniziai a farlo a pezzi abbastanza piccoli da poterli scaricare nel cesso. Iniziai a tossire. Solo dopo un paio di minuti capii che quello sulla mano non il era sangue del mio ex coinquilino ma il mio. Svenni subito dopo.

Mi svegliai qui, in questo ospedale. Avevo accanto i miei genitori, alquanto scossi. Gli dissi che in quel momento mi sentivo meglio, e una volta che l'orario delle visite fu finito restai solo.

Ora lo sapete, dovevo scriverlo da qualche parte o dirlo a qualcuno, chiamatelo rigurgito di coscienza o come volete. Ora sapete come e perchè. Spero che Dio possa perdonarmi per queste terribili azioni.

Addio.

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