86. Hospital

2K 98 4
                                    

ELENA
Passai il resto della giornata in compagnia di Penelope. La portai al mare, ad Ostia, mentre Ilenia e Alessandro rimasero a casa a riposare.
Guardavo la mia nipotina intenta a fare castelli di sabbia con palette e secchielli e continuavo a chiedermi come potesse apparire il mondo ai suoi occhi.
Forse il suo era un mondo fatto di favole, dove gli animali parlano, i rospi diventano principi e i "c'era una volta" finiscono con "e vissero per sempre felici e contenti".

Spesso capitava di ritrovarmi con lei seduta sul divano di casa a guardare i cartoni animati.
Era come tornare indietro nel tempo e ritrovare la me bambina. Per un momento entravo a far parte anche io di quel mondo fatato dove la realtà è così distante dalla fantasia e la sofferenza non esiste.
Penelope ogni giorno mi insegnava qualcosa di nuovo ed ero grata a mia fratello e a sua moglie per avermi donato una creatura meravigliosa.

Sotto la doccia continuavo a pensare all'abbraccio che avevo dato a Stephan.
Lui mi aveva stretta a sé così forte da far riaccendere di nuovo quella fiamma che da quando se n'era andato, avevo cercato di spegnere. Avevo provato ad uscire con altri ragazzi dopo Daniele, ma nessuno era riuscito a farmi dimenticare Stephan.
Io dovevo andare da lui. Dovevo capire se anche lui era ancora innamorato di me, se era vero che non gli interessavo più perché quando un ragazzo ti stringe a sé in quel modo significa che qualcosa ancora la prova.

Mi vestii velocemente con un vestito lungo a fiori, sneakers bianche, la mia borsa nera di Gucci che Stephan mi aveva regalato al mio ventesimo compleanno e partii diretta verso la mia meta.

Casa di Stephan, ore 20.41

Mi precipitai di corsa a casa sua, arrivandoci in un attimo nonostante il traffico sul raccordo.
Suonai il campanello più e più volte ma lui non rispose.
E se fosse uscito? Impossibile, ogni volta che tornava da una trasferta mi ribadiva sempre quanto fosse stancante spostarsi da una città all'altra, figuriamoci da un continente all'altro con sei ore di fuso orario!

Iniziai a preoccuparmi così decisi di prendere la copia delle chiavi di casa sua che avevo in borsa. Stephan me le aveva date quando stavamo ancora insieme perché dormivo sempre da lui. Risi pensando al possibile trasferimento che mi aveva proposto mesi fa. Se solo lo avessi accettato, forse non mi sarei ritrovata in questa situazione.

Quando aprii la porta rimasi spiazzata da ciò che mi si presentò davanti.
Stephan era disteso per terra, con gli occhi chiusi e in una pozza di sangue.
Il viso era gonfio di lividi per non parlare di braccia e collo, anch'essi tracciati da segni di violenza.
Era una scena raccapricciante.

«Stephan! Stephan!»
Mi gettai al suo fianco e iniziai ad urlare il suo nome mentre scuotevo più e più volte il suo corpo sperando che prima o poi aprisse quegli occhi.
«Amore, ti prego, guardami. Sono io, Elena. Ti prego, apri gli occhi.» , urlai tra le lacrime.
Continuavo a schiaffeggiarlo e a scuoterlo, sperando che fosse solo svenuto.
«E-Ele.»
Tirai un sospiro di sollievo non appena sentii la sua voce. Lo alzai da terra e con uno sforzo enorme riuscii a stenderlo sul divano.
Gli tolsi la maglietta e notai che aveva dei lividi sparsi per tutto l'addome.
Mi portai le mani ai capelli, incredula di quello che stavo vedendo.
«Che è successo? Qualcuno ti ha picchiato?»
Il numero novantadue non rispose ma continuò a tossire.
Le immagini di Stephan che veniva preso a calci e pugni da uno sconosciuto offuscavano la mia mente e non mi davano pace.
«Stephan, devi dirmelo. Dobbiamo denunciarlo. Guarda come ti ha ridotto!»
«N-no.»
«Come no? Lo vedi come stai? Sei tutto pieno di lividi, hai perso i sensi e se non fosse stato per me, chissà che fine avresti fatto.
Dimmi chi è lo stronzo che ti ha ridotto così.» , presi il cellulare e iniziai a digitare il numero della polizia, ma lui posò delicatamente la mano sulla mia come se volesse fermarmi.
«Ele, t-ti prego.»
Mi guardò negli occhi con così tanta intensità che non potei fare a meno che soddisfare la sua richiesta. Il suo sguardo era di nuovo riuscito a prendere il controllo su di me e fu proprio in quel momento che capii che il mio cuore era sempre stato suo.
Io ero sempre stata sua.

«Che combini, Ste?»
Iniziai a giocare con i suoi capelli mentre la sua mano era poggiata sulla mia coscia.
Faceva fatica a muovere il braccio, ma sapevo che voleva accarezzarla, perciò lo aiutai.
Lo vidi sorridere davanti a questo mio gesto e così sorrisi anche io.
«Che ci fa-...» , non riuscì a continuare la frase che continuò a tossire.
«Shhh, non parlare. Non c'è bisogno che ti sforzi per così poco.» , lo rassicurai continuando a coccolarlo.

Sarei rimasta volentieri in quella posizione ad accarezzarlo ed ero sicura che anche a lui piacesse essere viziato, ma allo stesso tempo era evidente il fatto che lui stesse male fisicamente e dovevo fare qualcosa per aiutarlo il prima possibile.
«Chiamo un'ambulanza.» , lo informai.
Cercai di alzarmi, ma lui premette la sua mano sulla mia coscia, segno che voleva che restassi seduta accanto a lui.
Stephan in quel momento non riusciva a parlare, ma quello che non riusciva a dire con le parole, lo diceva attraverso i gesti.

Ospedale, ore 4.03

Mi trovavo su una sedia accanto al suo letto con le nostre mani intrecciate.
Lui dormiva avvinghiato al mio braccio e con la bocca semiaperta. Sembrava un bimbo.
Il dottore lo aveva visitato e medicato, ma Stephan avrebbe comunque dovuto rimanere tutta la notte in ospedale per accertamenti.
«Ehi.»
«Ehi. - risposi sorridendo - Buongiorno dormiglione.»
«Che ore sono?» , chiese tutto stordito.
«Le quattro del mattino.» , gli dissi continuando ad accarezzargli i capelli.
«Mmm... perché non vai a casa? Devi riposarti.»
«A casa non riuscirei a dormire sapendo che te stai qua, quindi preferisco fissarti mentre ti riposi.»
Lui si mise a ridere.
«Beh, come vuoi.»
Stavolta ridemmo insieme.
«Come stai?» , iniziai a fargli i grattini sul braccio.
Lui parve rilassarsi al mio tocco.
«Come uno che è stato pestato.»
Risi.
«Perché non mi dici chi è stato?»
«Perché non ne vale la pena, davvero.»
«Si, invece. Ti ha quasi ucciso! Uno così deve finire in galera.»
Lui mi strinse forte la mano e mi guardò negli occhi. «Non farne parola con nessuno, te lo chiedo per favore.»
Come potevo dire di no a quelle iridi verdi che imploravano il mio silenzio?
«Va bene. Ma mi devi una cena.» , lo ricattai.
«Dove vuoi andare?» , mi chiese giocando con la mia mano.
«A Palazzo Manfredi, non mi ci hai mai portata.»
«Quando uscirò da qui sarà la prima cosa che farò.»
Mi sporsi per dargli un bacio sulla fronte e lui subito dopo prese la mia mano e se la portò alla bocca.
«Grazie.»
«Per cosa?»
«Per quello che hai fatto. Sarei morto se non fossi venuta.»
«Lo sai che potrai sempre contare su di me.»

Ci guardammo negli occhi per qualche secondo per poi avvicinare i nostri visi fino ad avere le labbra a un millimetro di distanza.
Lui fece il primo passo eliminando quel distacco.
Le sue labbra erano così calde e morbide che mi era mancato il loro sapore.
La sensualità e la passione che mi trasmetteva Stephan quando mi baciava era imparagonabile alle sensazioni che mi trasmettevano i baci degli altri.

Perché lui non era come gli altri, era diverso e anche io lo ero quando stavo con lui.

Stephan si addormentò poco dopo lasciando le nostre mani intrecciate.

Sapevo che lui aveva bisogno di me, forse perché ero la sola a conoscere questo segreto e quindi l'unica persona che poteva stargli vicino, ma io avevo bisogno di lui per ritrovare quella parte di me che avevo perso da tempo.

«Sei te la mia casa.» , gli sussurrai all'orecchio per poi accovacciarmi vicino a lui e chiudere gli occhi.

Instagram || Stephan El ShaarawyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora