La mia storia è iniziata in modo diverso dalle altre. Mi presento, sono Faith e ho compiuto diciotto anni da un mese. Ho chiesto ai miei genitori un viaggio come regalo, un viaggio in Inghilterra. Ho sempre sognato l’Inghilterra, sin da piccola. Leggevo Shakespeare a dieci anni, per l’amore incondizionato dei miei genitori per i libri. A casa abbiamo una stanza dedicata solo ai libri, e un’altra alla musica. Siamo persone che amano e bramano l’arte, la conoscenza di nuove culture e posti nuovi. E io adoro vivere così. Tornando alla questione del viaggio, nonostante la smania di mia madre e mio padre di non farmi partire, grazie alle mie grandi capacità persuasive sono riuscita a convincerla che me la sarei cavata bene. Ed è andata così.
È una mattina di luglio. Preparo accuratamente le mie cose, e mi accerto di non aver dimenticato nulla. Mentre papà carica la valigia in auto (si, una soltanto perché ho deciso di comprare dei vestiti lì per ricordarmi di Londra) mi guardo allo specchio all’ingresso. I miei capelli non sono mai decenti, troppo lisci, e lunghi. Sono di un castano chiaro che dia l’illusione di essere biondo, ma solo l’illusione appunto, al sole per esempio. Ho la pelle chiara e gli occhi nocciola. Le guance rosee e il nasino all’insù che mamma adora, mentre io sostengo che non stia bene sulla mia faccia. Non so perché, e lei mi prende in giro sui vantaggi dell’avere un naso così.
Dettagli. Decido di raccogliere i capelli in una coda, pensando al volo che mi attende. Al mio primo volo da sola. Mamma mi ha fatto un discorso sulle mie responsabilità, e sulle conseguenze che questo viaggio potrebbe portare. Ma io non so proprio quali conseguenze potrebbero portarmi quindici giorni lontano da casa. Quindici giorni tutti per me. Non ho voluto nessuna delle mie amiche con me, anche perché di vere amiche proprio non ne ho qui. I veri amici che ho sono i protagonisti dei miei libri preferiti, ma non lo dico molto in giro perché potrei risultare strana o che so io. Arrivo all’aeroporto, metto gli occhiali da vista nella borsa e infilo l’iphone e gli auricolari nella tasca dei miei jeans.
«Faith, non mi piace che tu faccia questo viaggio» ha detto mamma, incrociando le braccia. Mentre papà prova a sdrammatizzare. «Dai Anne, sono sicura che si divertirà e ci porterà qualche souvenir o uno di quei libri antichi che solo a Londra hanno»
Mi strizza l’occhio e io sorrido ad entrambi. Mi avvicino alla mamma.
«Mamma, tranquilla» le dico, guardandola negli occhi, pieni di lacrime. Quant’è sensibile la mia mamma. «Siete proprio voi ad avermi insegnato l’arte del viaggiare»
Li guardo entrambi. «E poi potete mandarmi tutti i messaggi che volete, e tu mamma» le sorrido «Chiamami quando vuoi e farò il possibile per risponderti»
Abbraccio entrambi, e la mamma mi scocca due pesanti baci sulle guance, mentre papà uno sulla fronte.
Stringo la mia borsa e mi allontano dai miei genitori, a passi lenti, certa che anche loro si allontanino. Salgo in aereo, presa da un’improvvisa eccitazione riguardo al fatto che è il mio primo viaggio da sola. Wow. Sorrido e mi direggo verso il mio posto. Ne ho scelto uno vicino al finestrino, per la gioia di poter guardare le nuvole passarmi quasi sotto il naso. Sistemo la borsa dove ho i soldi, la cartina per arrivare al mio albergo e le pillole in caso di nausea. Prendo l’iphone e lo metto in modalità “Uso in aereo”. Ho portato un libro da leggere in volo, L’ombra del vento di Carlos Ruiz Zafòn. Papà me ne ha parlato bene, e io sono impaziente di leggerlo. Dopotutto, cos’ho da fare in circa 10 ore? Mi guardo intorno e inizio a studiare i passeggeri. Mi piace osservare le persone senza che loro se ne accorgano, provo a immaginare cosa pensano in quel momento e com’è la loro vita. Noto dei bambini con la loro mamma, probabilmente una donna d’affari (a giudicare dalla valigetta di pelle che si porta dietro straripante di documenti), che stringono due orsi di pezza e hanno il pollice sinistro in bocca. Ci sono delle coppie di vecchietti, e al contrario giovani coppie. Alcuni uomini solitari, e altri con belle donne.
E mi chiedo chi siederà accanto a me. Sbuffo. E mi chiedo continuamente “Quand’è che partiamo?” attirando l’attenzione di una vecchia signora davanti a me, che mi rivolge un sorriso, e io ricambio. Provo a distrarmi guardando fuori, quando vedo sbucare un ragazzo da capo alla fila. Si fa strada tra le hostess e chi sistema i propri averi.
«E levati dalle palle» sbotta, avvicinandosi al mio posto. Io mi ritraggo istintivamente. Guarda il suo biglietto e controlla che questo sia il suo posto. Per un attimo prego che lo sia, non so il motivo esatto. «Bene» Lancia il borsone nell’apposito spazio e si siede nel modo più sgarbato possibile. Mi lancia un’occhiata.
«E tu cos’hai da guardare?» ha detto.
«Non ti sto guardando» rispondo, chiaramente intimidita.
«Peccato» ridacchia, toccando fra le dita quella sembra una bacchetta di batteria.
Provo a rannicchiarmi nel mio posto, formando uno spazio non solo fra me e lo stesso seggiolino, ma fra me e lui. Mi volto e in una frazione di secondo provo a stamparmi nella testa com’è fatto esattamente. Indossa una canotta nera, e un paio di jeans strappati. E ha un cappello di raso nero, grazie al quale mi risulta quasi impossibile guardargli gli occhi. Risaltano i muscoli delle sue braccia, e ha un buon profumo. Un ottimo profumo. Profuma di vaniglia e fiori secchi.
«Peccato?» ho detto, non guardandolo.
«Ah allora non hai perso la lingua» ridacchia.
«A quanto pare» ho detto, voltandomi verso di lui che nello stesso momento abbassa il cappello, poggiandolo sulle ginocchia.
“Signori, siamo spiacenti, ma ci sarà un breve ritardo nella nostra partenza. Scusate il disagio.”
«Che compagnia di merda» mormora il ragazzo accanto a me «Almeno ho qualcosa da fare prima che l’aereo parta»
E mi sento osservata. Mi sento avvampare. Decido di voltarmi.
Quando sorride ha un’irresistibile fossetta che gli si forma ai lati delle guance.
«Io sono Ashton» mi porge la mano «Ashton, Ashton Irwin»
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Just don't fall in love with me || Ashton Irwin
Fanfic«Non dovresti essere quì» ha i pugni stretti, impassibile. «Ti sbagli» ho detto. «È proprio qui che dovrei essere»