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I miei occhi e la mia bocca si spalancano.
C'è qualcuno con più sfiga di me?!
«Lei è qua» continua Paolo, il mio capo, tirandogli uno schiaffetto sulla testa «Presentati!»
«Oh, no, no, no. Non c'è bisogno» rido nervosamente e cerco di decifrare quegli occhi verdi.
Anche perché sono l'unica cosa che riesco a vedere.
E se ve lo state chiedendo non li capisco, sono indecisa se ridano o mi mandino saette e fulmini.
«Già» continua mascherina-boy «Siamo piuttosto intimi»
Anche se la sua bocca è nascosta da quella mascherina bianca, ho la sensazione che sia piegata in un sorriso malizioso.
«Non sarai mica stato a letto anche con lei?!» chiede suo padre nervoso indicandomi con un indice destro super incattivito.
«Cristo Santo! No!» sbotto io e il mio capo si gira verso di me, tira un sospiro e poi si passa una mano tra i capelli brizzolati.
«Scusami tanto Susie, non sono affari miei in ogni caso» poi si gira verso il figlio «Tu inizierai a lavorare qui da domani, sono stato chiaro?! Non voglio sentire nessuna sc-»
«Non può lavorare qui!» mi intrometto io.
Oh cacchiarola!
L'ho detto di getto senza pensarci.
Ha ragione Oscar: perché non mi licenziano?
«Insomma» borbotto in cerca di una scusa «Mi ruberà il lavoro»
«Non preoccuparti non lavorerà qui davvero, gli serve solo di lezione e per imparare la parola impegno» mi tranquillizza.
«Ma ho da studiare per l'università» si lamenta il ragazzo.
«È pieno di gente che lavora e studia, puoi farlo benissimo anche tu, soprattutto se vuoi continuare ad avere soldi, perché io mi sono stufato di darti cose in continuazione e non avere mai niente in cambio!» poi si gira verso di me con tono amabile «Vai pure a casa, Susie, chiudo io»
È un po' bipolare.
Così, senza dire una parola, anche perché mi sento terribilmente a disagio, prendo la mia roba e consegno le chiavi a Paolo.
«Perché zoppichi?» mi chiede prima che io esca.
«Sono inciampata» borbotto e sento suo figlio trattenere una risata.
«Aspetta, ti accompagnamo noi»
«Non c'è bisogno» e scappo via prima che insista.

•••

È passata una settimana e mascherina-boy non si è fatto vedere.
Sto parlando con Vittorio, uno dei nerd più sexy del mondo, squilla il telefono del negozio.
«Wilde Comics World, buon pomeriggio, come posso esserle utile?»
«Sono Paolo, mio figlio si è presentato oggi?»
«Anche oggi solo mare all'orizzonte, capitano» rispondo scherzosa e sia il mio capo che il ragazzo davanti a me ridono.
«Se hai sue notizie chiamami» e riaggancia.
Continuo la conversazione con il moro, che oggi è più disponibile del solito, fino a quando la campana del negozio tintinna.
«Buon pomerig-» non concludo la frase perché quello che ho davanti mi fa gelare il sangue nelle vene.
Matteo si accascia nell'ingresso sporcando il pavimento di sangue.
Senza rendermene conto mi ritrovo a cercare di sollevarlo, ma pesa troppo e la sua puzza di alcol mi deconcentra.
Il cliente con cui chiacchieravo mi viene in aiuto, si mette un avambraccio dell'altro intorno alla spalla e lo alza.
«Dove lo portiamo?»
«In bagno»
Almeno so che lì abbiamo una cassetta per le emergenze e questa mi sembra proprio un'emergenza.
Lo appoggiamo sul water e Vittorio ci guarda spaesato, mentre io faccio un sacco di domande confuse al ragazzo davanti a me.
Cosa gli è successo?
È stato picchiato?
È stato investito?
Da chi?
Perché?
Chi devo chiamare?
Suo padre?
L'ambulanza?
La polizia?
Non riesco a fermare i miei pensieri e le mie mani tremano esageratamente mentre bagno del cotone con l'alcol, deglutisco più volte, mentre il mio cuore batte all'impazzata.
Odio il sangue.
Odio le botte.
Odio la violenza.
«Vuoi una mano?» chiede il moro rendendosi conto del mio stato di panico.
«Non voglio che mi tocchi un uomo. Voglio una bella donna» sbiascica l'altro, poi aggancia con un braccio la mia vita e mi attacca a lui, mi afferra il polso e mi porta la mano dal suo sopracciglio sanguinante.
Le mie dita si sporcano di rosso mentre premo sulla ferita e mi viene da piangere.
«Brucia» si lamenta e poi si rivolge all'altro «Tu puoi andartene»
«Guarda che ti ho aiutato anch'io» ribatte e decido che forse non è il caso di farlo rimanere ulteriormente.
«Vitto» mi trema la voce «Vai pure, me ne occupo io»
Lui esita per un attimo, poi fa come gli dico e mi ritrovo da sola con il figlio del mio capo, che inizia a tossire e mi appresto a togliergli quella dannata mascherina ormai non più bianca.
Il suo labbro inferiore è spaccato, ma non sembra una ferita fresca.

«Vuoi dirmi che hai fatto?» chiedo dopo che ho finito di pulirgli il viso.
Mi sono tranquillizzata, le mani sono ferme anche se il mio cuore galoppa ancora.
«Io niente» fa spallucce «I tre ragazzi che hanno pestato un ubriaco, invece, hanno fatto tanto»
«Perché ti hanno picchiato?» domando mentre tolgo le alette ad un cerotto.
«Perché mi sono scopato la ragazza di uno di loro, o forse di tutti loro, non ho ben capito»
«Devi chiamare la polizia»
«Ma sai, non me l'aveva mica detto che era impegnata. Però per tutti la colpa è sempre mia» mi ignora e continua il suo discorso «Se lo avessi saputo lo avrei infilato dentro ad un'altra»
Che classe.
«Chiamo tuo padre» sentenzio e lui mi blocca afferrandomi il polso.
«No, ti prego» i suoi occhi sono lucidi «Non voglio dargli ancora delusioni»
Il mio cuore si stringe quando gli scivola una lacrima.
Sembra così fragile.
«Ma non puoi rimanere qui» sospiro «Così!»
Minuti di silenzio.
«Portami da te»
«Cos-?! No!»

Entriamo nel mio piccolo monolocale a fatica, lui pesa un quintale, anche se non sembra.
Lo faccio sedere sul divano che si trova ai piedi del letto e mi siedo al suo fianco stravolta.
La mia dose di palestra annua l'ho fatta.
«Hai mica una birra?» Sposta gli occhi sul mio viso.
«Ma sei scemo? Sei già ubriaco, non peggiorare la situazione»
«No, mi sta scendendo e inizio a sentire dolore»
Adesso inizi a sentire dolore?!
Decido di buttarlo sotto l'acqua ghiacciata. Dopo un sospiro mi alzo dal sofà, mi metto davanti a lui e mi chino tra le sue gambe per togliergli le scarpe.
«Sei intraprendente» sbiascica guardandomi dall'alto con un sorriso malizioso «Ma non so se mi si alza»
«Cos-?!» quasi urlo
«Non è per te, tu sei molto sexy e i tuoi capelli fucsia mi arrapano da morire ma ho troppo alcol in corpo per riusc-»
«Non mi interessa prendere in bocca il tuo piccolo pene» sbotto mentre mi alzo dopo avergli levato converse e calzini.
«Non credo che possa essere definito pic-»
«Alza le braccia» gli ordino, ho intenzione di ignorare qualsiasi cosa dica. Lui fa come gli ho chiesto e gli sfilo giacca, felpa e maglietta.
Sono troppo scocciata per riuscire ad ammirare il suo fisico definito.
È la prima volta che spoglio un uomo e sono così arrabbiata.
Poi gli impongo di alzarsi in piedi e slaccio i suoi jeans stretti che faticano a scivolare lungo le sue cosce muscolose, quindi mi abbasso di nuovo per facilitarmi l'impresa.
Il rigonfiamento dei suoi boxer, poco distante dal mio viso, fa una piccola contrazione e subito le mie guance vanno a fuoco.
«Forse si alza» deduce lui, boccheggio per qualche secondo poi tiro via malamente i suoi jeans, facendogli perdere l'equilibrio, mi portò un suo braccio intorno alla spalla e lo trascino dentro il mio box doccia.
Quando apro il getto di acqua ghiacciata, lui spalanca gli occhi e la bocca iniziando a gridare.
«È fredda, cazzo! È fredda!»
Ruoto gli occhi al cielo, chiudo lo sportello del box e vado a prendergli il mio accappatoio e un cambio.

«Perché hai dei boxer da uomo?» chiede oltre la porta del bagno.
«Erano del mio ex» sbuffo stremata «hai finito di vestirti? Quanto ti ci vuole?»
«Provaci tu a vestirti con le mani che ti tremano per il freddo»
Una decina di minuti dopo lo sto aiutando ad asciugarsi i lunghi capelli con il phon.
«Grazie» sussurra e lo sento appena, ma decido di non rispondere perché mi sembra una cosa dovuta.
Suo padre è sempre stato un amore con me, mi ha perdonato tutti i disastri che ho fatto, spesso mi porta una cioccolata calda o un ghiacciolo (dipende dalla stagione) a metà pomeriggio, mi lascia leggere tutti i manga che voglio e mi tratta sempre con gentilezza.
Non potevo rifiutarmi di aiutare suo figlio.
Che, comunque, dal padre non ha preso proprio un cazzo di niente.

Ho ordinato cibo d'asporto per entrambi, tutto pagato di mano sua, io mi sono ingozzata mentre lui ha giusto assaggiato due cose, gli veniva da vomitare.
Mi sta squadrando da qualche minuto con il viso pallido, probabilmente la mia poca finezza gli aumenta la nausea.
«Posso rimanere qui?» chiede e a me va di traverso un involtino primavera.
«Ti prego. Fino a quando non passa il gonfiore all'occhio» le sue sopracciglia si muovo per conferirgli un'espressione da cane bastonato «Non voglio far preoccupare mio padre»
Come se si fosse sentito chiamato in causa, il telefono di Matteo inizia a vibrare e sul display appare la scritta papà. Il ragazzo davanti a me sospira e risponde.
«Pronto?
...mh-mh.
No.
Sto bene.
Mh-mh.
Stasera no, rimango da un'amica»
Il suo sguardo si posa su di me e io sbuffo.
Non ho scelta.
Poi continua ad annuire e negare con versetti fino a quando non chiude la chiamata.
«Dormirai sul divano» sentenzio indicando il sofà dietro di lui con un altro involtino tra le bacchette.
Lui si sporge verso di me e fa passare la sua lingua sul mio involtino in modo decisamente troppo malizioso, poi lo morde di scatto facendomi sussultare e i suoi occhi verdi brillano puntati dentro i miei.
Sacro.santo.Dio.
Qui non sopravvivo.

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