𝟘𝟞 - The Rise...

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Le guardie guidavano, senza troppa gentilezza, l'ex psichiatra verso la cella che lo avrebbe ospitato sino al suo trasferimento all'Arkham Asylum.

Il giullare sorrideva, confidando nel suo uomo: il Joker non avrebbe mai permesso che la sua creatura, la sua magnifica creazione, restasse ingabbiata in un'asettica stanza dall'odore acre e nauseabondo di disinfettante.

Harley Quinn era nato per portare confusione e caos, per uccidere e regnare sulla città di Gotham in qualità di Regina al fianco del suo Re.

«Cammina...!» lo spinse uno dei due uomini, e il criminale lo fulminò da sotto le lunghe ciglia che contornavano i suoi magnifici occhi dalle tinte glaciali.

«Non osare toccarmi, lurida feccia: solo il mio Puddin' può farlo» sentenziò, insinuando un brivido di terrore nei due al pensiero di contrariare in qualche modo il pericoloso pagliaccio. Quello più basso e grassoccio, comunque, si ricompose velocemente, ostentando un'audacia che in realtà non possedeva.

«Il tuo budino però non è qui, squilibrato, perciò fai poco il gradasso!»

Provò a spintonarlo nuovamente, stavolta con più energia, ma la sua mano trovò il vuoto: Harley si era abbassato poggiando i palmi sul pavimento sudicio, i polsi ammanettati, dandosi lo slancio con le gambe e colpendo con violenza il volto della guardia, eseguendo una capriola perfetta ed aggraziata rompendogli al contempo il naso tozzo. Il collega tentò di estrarre la pistola d'ordinanza dalla fondina, ma l'uomo dai capelli argentei era già su di lui, bloccandogli il flusso d'aria grazie alla catena che gli impediva di muovere le braccia a suo piacimento. Il malcapitato tentò di respirare, aggrappandosi al metallo e alla propria vita, ma dopo aver assunto un colorito rossastro dovuto allo sforzo di sopravvivere, infine cedette all'inevitabilità del suo fato. Cadde a terra con un tonfo e il giullare lo scavalcò con un agile saltello, tranquillo e incurante del fatto che avesse appena ucciso una persona che aveva degli affetti o una famiglia ad attendere il suo ritorno. Rovistò, non senza un moto di disgusto, nelle tasche delle loro divise alla ricerca delle chiavi per liberarsi di quella fastidiosa costrizione, trovandole.

Si appiattì contro la parete fredda del corridoio deserto della centrale, sbirciando oltre il muro scolorito alla ricerca di possibili nemici da neutralizzare, la sua mente già rivolta all'Ace of Spades, alla loro casa, al suo amato. Trovò la porta che conduceva al garage che custodiva le volanti della polizia e, ormai sicuro di poter fuggire industurbato, si lanciò verso una delle vetture pronto a lasciarsi quello spiacevole contrattempo alle spalle.

Calò su di lui, silenzioso e improvviso, stordendolo con una scarica elettrica. Batman vide crollare Harley al suolo, privo di sensi, e decise che l'Arkham non era adeguatamente attrezzato per impedire un suo eventuale tentativo di evasione. Per tenere lontano il Joker, nel caso fosse davvero tornato a prenderlo.

Lo sollevò, il capo del giullare reclinato all'indietro e le ciocche argentee a contornare il suo viso innaturalmente pallido, caricandolo sulla Bat-mobile per portarlo in un carcere di massima sicurezza la cui ubicazione era sconosciuta ai più, eccezion fatta per poche persone. Lì sarebbe stato ben sorvegliato e chissà, forse sarebbe persino guarito tornando ad essere il rispettabile Dottor Levi Ackerman, e non più il folle Harley Quinn.

Ma l'amore è un morbo letale e subdolo da cui è quasi impossibile liberarsi...


Era già trascorsa una settimana.

Harley continuava a sperare che il Joker tornasse a prenderlo, che uccidesse chiunque si frapponesse tra loro, che incendiasse quel luogo odioso e lo stringesse a sé mentre sfrecciavano diretti verso la città maledetta di Gotham. Levi, invece, iniziava a nutrire seri dubbi sul fatto che il criminale di cui si era innamorato sarebbe realmente giunto in loro soccorso.

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