CAPITOLO 13

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Matteo mi apre la porta ed entriamo in casa, c'è oscurità e silenzio, d'istinto accendo la luce, talvolta stare al buio non è sicuro per noi e in questo lavoro non riesco mai ad abbassare la guardia.
Lui si dirige verso la cucina, lo seguo,  è silenzioso mentre estrae dal mobiletto bianco due calici da vino.

Io guardo in giro, il grande tavolo ora è libero, imponente, ordinato. Lo accarezzo piano con la mano e sento le venature del legno, poi guardo lui, è inevitabile non pensare all'altra volta, poi raggiungo Matteo e mentre getto il mio zainetto sul divano gli chiedo: "dov'è finito tutto il casino che c'era sul quel tavolo?" chiedo sorridendogli. 

"ho fatto le pulizie". Matteo sembra divertito, mentre versa nei calici del vino bianco.

"che bella casa, hai proprio ordinato tutto, sembra che tu ci stia bene qui, ma ti ricordavo un po' disordinato ai tempi della missione turchese".
"disordinato, sì, ma non quanto te Dafne!" esclama lui.

"ti riferisci alle camere degli alberghi in cui alloggiavamo?"
"sì, abbiamo vissuto più in casa d'altri che in casa nostra, a parte quei week end da te o in quelle case protette che lasciavamo in certi stati, soprattutto la zona notte" risponde lui ridendo mentre mi guarda negli occhi con sguardo penetrante, poi mi porge il vino. 

"Matteo cos'hai intenzione di fare ora?" gli chiedo languida, mentre bevo il vino tutto d'un fiato e lo guardo.

"ora, ti porto in un bel posto, vieni con me".
Mi prende per mano e velocemente, senza lasciarmi il tempo di pensare, mi trascina con energia per il corridoio e poi dopo aver salito tre gradini mi apre la porta di una stanza dalle pareti in pietra, con il soffitto in legno e una grande vetrata sul giardino, deve essere bello qui quando fuori c'è il sole, noto che si vede tutta la campagna fino a casa mia.
All'interno del locale così particolare vi sono numerosi dipinti, schizzi, bozze, colori e ancora tele, pennelli, rotoli e vernici. E' la stanza in cui lui dipinge. Vedo delle fotografie mi avvicino mentre Matteo mi abbraccia da dietro e osserva attento tutto ciò che faccio. Sono foto di quando lui era in Canada mi accorgo che non ride mai. 

"come sei serio qui...non sembri nemmeno tu".

"non ero felice, anzi era il periodo atroce senza di te". Mi dice mentre mi da un bacio sulla guancia.
Lo guardo e cambio discorso, non voglio riaprire certe ferite profonde delle nostre anime che fanno ancora male.

"E' bella questa stanza, e mi piacciono i colori che usi...sei bravo". Gli dico sincera.
"qual' è la sfumatura che preferisci?" mi chiede mentre mi mostra una tela inconclusa.

Lo guardo ho un attimo di esitazione poi rispondo: "non dovrei dirtelo, ma è proprio il turchese".
"certo, lo sapevo" sorride, poi continua analizzando l'opera: "questa l'ho iniziata quando sono arrivato in Canada sconvolto e rabbioso pensando solo a te, solo a noi e alla fine che avevi fatto secondo Muller, riflettendo sulla nostra dannata fine, e non sono mai riuscito ad andare avanti. Volevo sfogare il mio dolore, irreparabile ma era come ricucire l'aria era come gonfiare un palloncino squarciato, così è rimasta qui, incompiuta, e, come vedi, me la sono portata anche qui, in Italia". Lui è triste, nonostante non voglia farlo vedere.

"mi dispiace, Matteo, mi fa soffrire vederti così, tu non sai cosa sento nello stomaco...forse l'hai vissuta peggio di me".
"sì, ma non pensare di cavartela così, ora, questa tela la finirai tu, sono stufo di vederla" mi ordina sorridendo e cambiando subito d'umore.

"ora?" gli dico presa alla sprovvista.
"sì, perché cosa avevi in mente per stanotte? Cosa vuoi che esista di più bello che dipingere?" mi chiede più intrigante che mai sfiorandomi il viso e le labbra in modo dolce con le dita della sua mano.

TURCHESEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora