2

68 23 28
                                    

Spazio autrice: Ciao a tutti! Mi ritaglio questo piccolo spazietto per dirvi che questo capitolo è molto significativo per capire il carattere vero di Anya e vorrei che leggendolo ascoltaste "Bring me to life" degli Evanescence. Spero che vi piacerà! Buona lettura!!

La mattina seguente mi svegliai con il solito sbadiglio da pigrona, prima di guardare la sveglia e di accorgermi che... erano già le 7:45!!!
Mi alzai alla svelta e, con i miei poteri, preparai la colazione mentre m'infilavo l'orribile divisa dell'accademia: camicia bianca, gonna blu, calzettoni e un cravattino a quadri blu.

Non sapevo cosa fosse successo ieri sera, perché i miei poteri sembravano avermi abbandonata, probabilmente non avevo trovato la giusta concentrazione, ma adesso erano tornati.
Scesi in fretta, mangiai il toast con la marmellata, che i miei poteri avevano preparato, e solo dopo mi accorsi che qualcuno mi stava osservando con gli occhi sbarrati: era Ashlynn, la nuova compagna di letto di mio padre, ormai non mi stupivo più di vederle in casa. Era una donna giovane, poco più che trentenne, aveva i capelli più lunghi di Debora, gli occhi più grandi di Roxana, la pelle più scura di Jessica, il fisico più asciutto di Brittany, ma più formoso di Chantal.

Stavo facendo paragoni fra le ex di mio padre? Ebbene si! Non mi restava altro da fare dopo che ne portava ogni settimana una diversa. Ashlynn era già qui da cinque giorni, altre quarantotto ore e ne sarebbe arrivata un'altra. Si presentò fasciata disordinatamente nel suo completo intimo rosso in pizzo, con il quale aveva attirato la speciale attenzione di mio padre nella notte. Come al solito non sapevo dire se fosse più ubriaca o drogata, ma con una netta velocità mi avvicinai a lei e le sussurrai la stessa storiella di quasi ogni mattina.

<<Ciao Ashlynn, non aver paura, è tutto un bel sogno, ti fa tanto male la testa?>> le sussurrai con voce persuasiva.
Lei barcollò e mi mostrò le labbra imbronciate. <<Tu mi prendi in giro, bella Anita, tu fai volare le cose.>> Iniziò a ridere in maniera nervosa e continuò a barcollare, la stessa storia di ogni mattina. E restavo sbalordita dalla frequenza con cui si dimenticava il mio nome: l'altro giorno ero Annie, ieri ero Anila e oggi Anita.
<<Ma no sciocchina, e il mio nome è Anya, comunque dai torniamo a dormire su, è ancora presto e tu hai tanto sonno.>> continuai a dirle con voce languida.
<<Sì, ho tanto sonno.>> E in un attimo era già crollata a terra addormentata. Cercai di portarla come meglio potevo nella stanza da letto di mio padre e, con un piccolo aiuto magico, la adagiai sul letto sperando di non ritrovarla qui al mio ritorno.

Quello era il posto di mia madre, e adesso era solo un accumulo del fango che mio padre portava a letto. La stanza da letto era molto grande, le pareti erano di un acceso verde, unica cosa che qui mi ricordava mia madre. L'armadio di legno era molto amplio e riportava gli stessi motivi del comò, della libreria e della testiera del letto. Quest'ultimo era sfatto e le lenzuola si mescolavano ai vestiti che vi si trovavano ai piedi in una confusa composizione. In quei momenti ero contenta che mia madre non ci fosse più, almeno non era costretta a sopportare una tale indignazione e un tale ribrezzo.

Mio padre era già a lavoro, ovviamente, quindi dovevo occuparmi io della bella addormentata, che una volta sveglia avrebbe preso le sue cose e sarebbe andata dove la portava il vento fino a stasera quando sarebbe tornata di nuovo qui per allietare il padrone di casa. Nei primi periodi mi occupavo io di ripulire e risistemare la camera, ma ben presto mi accorsi di non esserne in grado, che questo andava molto oltre i miei limiti della pazienza, allora chiamavo ogni mattina una donna delle pulizie che facesse trovare tutto pulito al ritorno di mio padre.

Ovviamente arrivai con trenta minuti di ritardo, ma come al solito non presi alcuna nota di demerito, come, invece, l'avevano presa tutti i miei compagni arrivati prima e dopo di me.
La professoressa di lettere mi rivolse il solito sorriso finto che mi rivolgevano tutti gli insegnanti che sapevano chi era mio padre. Quella cosa non mi piacque! Era anche grazie a loro che non avevo amici! Mi odiavano tutti! Venivo sempre agevolata solo per la mia condizione sociale mentre gli altri erano sminuiti e non avevano intenzione di parlarmi.

The feather in the dark Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora