(S)cortesemente, mi presento

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Mentre percorrevamo la strada in macchina regnava il silenzio.

Mio padre stringeva le mani nel volante fingendo di concentrarsi sul percorso, nonostante la voce atona del GPS desse indicazioni chiare. Mia madre era caduta in quel solito stato di apatia e alienazione che adottava quando la situazione diventava scomoda. Io ascoltavo Lana Del Rey sforzandomi di non apparire incazzata. Un po' perché non volevo dargli la soddisfazione del clichè con una fase di negazione rabbiosa, un po' perché alla fine avevo trovato il chiodo borchiato ed ero fiera del risultato finale. Presi in mano il telefono per spulciare la home di Instagram e completare il quadretto della mia bolla felice: fisicamente ero in quella macchina ma con la mente stavo percorrendo avida le immagini del red carpet degli Academy Awards. Niente mi rilassava come l'estrosa haute-couture delle star. Sognavo di poter sfoggiare un giorno le mie idee con disinvoltura, senza le lamentele di mia madre in sottofondo o le occhiatacce oblique dei miei coetanei alle spalle.

Sognavo di andare via da lì, un mondo a cui non appartenevo.

Se il mio lascia passare era un paio di anni di ottima recitazione nelle sedute di analisi, avrei dato il meglio di me stessa.

Tutto pur di scappare da Cremona.

Quando arrivammo davanti il portone, mio padre si fece avanti per suonare al citofono. Mia madre rimase indietro, evitando accuratamente di guardare il mio volto o le mie scarpe. Con la coda dell'occhio mi accorsi che non ci era riuscita, e la curiosità le era costata una sbuffata esasperata al cielo.

La perdonai: non era colpa sua se non capiva il potenziale artistico degli adesivi sulle Converse.

Sentii mio padre rispondere alla voce metallica dell'interfono

"D'accordo, la mando su"

La mando su. Cos'ero, una sonda della NASA?

Si voltò a guardarmi con la solita espressione nervosa. Per lui ero come un problema di matematica scritto con valori numerici non esistenti nella tavola pitagorica.

"Non salite con me?" azzardai per semplificargli il lavoro.

Lui annuì stringendo le labbra.

Non battei ciglio, feci un passo in avanti verso il portone; un suono metallico indicava che fosse appena stato aperto

"E' il quarto piano" sentii mio padre avvertirmi

"Lo so" ribattei meccanica senza voltarmi

Una volta dentro richiusi la porta alle mie spalle, riuscendo appena a sentire l'ultima indicazione

"Ti veniamo a prendere fra un'ora esatta".

Al diavolo i clichè, in quel momento la rabbia era montata dentro di me e rischiavo di sbattergli il portone in faccia.

Marciai verso l'ascensore provando a controllare il respiro: l'ultima cosa che volevo era che le lacrime facessero sbavare il mascara.

Tuttavia, mentre i piani scorrevano davanti i miei occhi e la distanza si accorciava, la frustrazione per quell'imposizione tanto ingiusta cresceva con l'avanzare dei piani.

Arrivata al terzo sentii le guance bagnarsi.

Come si poteva essere tanto egoisti da non volere nemmeno fare lo sforzo di parlare con la propria figlia? Mi sentivo un oggetto difettoso, impacchettato e spedito indietro per essere aggiustato.

E se non ci fossero riusciti, cosa avrebbero fatto?

L'ascensore si arrestò, cercai di asciugarmi il viso con le maniche della giacca. Peccato che la pelle, anche se finta, non assorbe per niente l'acqua.

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⏰ Last updated: Nov 14, 2018 ⏰

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