Prologo

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La città sotto di noi non emetteva alcun suono. Le luci della notte brillavano più che mai ma, lassù, non arrivava il rombare delle auto, né il fastidioso suono dei clacson, né tanto meno la musica dei locali che aprivano le porte al caos delle ore più buie. Riuscivo ad avvertire solo il rumore delle sue scarpe sull'asfalto che lo tracciavano incessanti facendo avanti e indietro alle mie spalle mentre non riuscivo a distogliere gli occhi da quella città viva che luminosa pareva un quadro senza suoni dalla collina dell'Est Sylver Park.

- Bonnie, guardami!

La sua voce mi fece sobbalzare quasi come se non me l'aspettassi. La realtà era che temevo quel momento, non volevo quasi parlasse. Mi stavo crogiolando nel silenzio che mi cullava al sicuro, fermando quasi il tempo. Ma sapevo purtroppo che non sarebbe durato molto. Sapevo perché mi aveva portato lì. Serrai i pugni lungo i fianchi e tirai su col naso. Cercai invano di respingere le lacrime che stavano per fare capolinea dai miei occhi.

- Bonnie, cazzo! - urlò ancora di più.

- Cosa, Jallen? Eh? Cosa? - sputai velenosa perché in quel momento ero solo capace di odiarlo. Stava per spezzarmi il cuore, definitivamente.

I suoi occhi erano folli. Bui eppure ardenti dalle fiamme che lo stavano torturando dentro. Sapevo che poteva esplodere da un momento all'altro.

- Io sono questo, capisci? Non puoi cambiarmi, nessuno può cambiarmi!

- Ah ! - sentenziai sarcastica con le lacrime agli occhi - Notizia del giorno per Jallen Carter, io non ho mai voluto cambiarti! - dissi incrociando le braccia al petto in preda alla rabbia e alla delusione.

- Oh davvero Bonnie? Davvero? E' questo che credi? - mi puntò il dito mentre si avvicinava quasi minaccioso verso di me.

Conoscevo quel Jallen. Conoscevo la sua rabbia e il suo dolore. Era stata una delle prime cose che avevo conosciuto e che, molto probabilmente, mi aveva legata a lui. Non emisi fiato fin quando me lo trovai a un palmo dal viso con lo sguardo che mi incatenava a lui e a noi. Mi importava davvero quello che c'era sull'altra facciata del pianeta dal nome Jallen Carter? Doveva importarmi? Ero io a sbagliare? I miei occhi viaggiavano veloci sul suo viso come a catturare ancora una volta tutti quei dettagli che amavo. Le sue ciglia lunghe e folte, le labbra piccole ma carnose, gli zigomi alti, le ciocche di capelli neri che inevitabilmente gli finivano penzolanti sulla fronte. L'unica cosa che riuscivo a pensare in quel momento era al fatto che avrei voluto tappargli la bocca e perdermi tra le sue braccia.

- Allora dimmi, pensi sia giusto quello che ho fatto? Credi abbia agito in maniera corretta? Pensi davvero sia una persona buona?

Rabbrividii al contrasto che la sua voce, quasi un sussurro, creava con la realtà che le sue parole mi stavano sbattendo sfrontatamente in faccia.

Avrei voluto urlargli si con tutta la voce che avevo in corpo. Avrei voluto dirgli che io amavo tutto ciò che era, che mi piaceva ogni faccia del dado oscuro che era Jallen Carter. Ma non risposi e lui sapeva già quale era la verità.
Rise sarcastico dal naso e fece per allontanarsi dandomi le spalle.

- Questa storia finisce qui.

Non si voltò, avevo ancora di fronte le sue spalle, avvolte nella sua giacca di pelle nera quando pronunciò quelle parole. Trattenni un singhiozzo per non fare la ragazzina e cercai di non piangere a dirotto.

- Non puoi decidere anche per me Jallen io-...

- Ma non capisci?! Io lo sto facendo proprio per te, Bonnie. - sputò d'un fiato voltandosi verso di me e cacciando via una verità che gli stava forse scomoda.

- No... - sussurrai lasciando pure che le lacrime, stavolta, scendessero libere lungo il mio viso mentre agitavo la testa confusa.

Mi fissò a lungo. O comunque a me era parsa un'eternità. Colsi un filo di amarezza nel suo sguardo prima che diventasse, se possibile, ancora più di ghiaccio. Gelido e graffiante.

- E' stata una gran cazzata! - ringhiò a denti stretti allontanandosi, prima di infilarsi il suo casco, salire sulla sua moto e fuggire via dalla donna spezzata che aveva di fronte.

Rimasi lì, a fissare le tracce che la ruota posteriore della sua moto aveva lasciato sull'asfalto. Una donna spezzata che aveva appena perso il suo re dei lupi.
Prima di lui avevo solo sentito parlare dell'amore, quello malato, quello che fa male. Dell'ossessione, della gelosia, della possessione e della paura di rompersi.
Ma mi chiedevo, con la testa calata, le lacrime silenziose e il cuore polveroso, immobile sulla collina dell'Est Sylver Park, come mai, se pur malato, quell'amore lo desideravo più di ogni altra cosa al mondo.

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