Era facile per Percy, capire il momento esatto in cui Annabeth si alzava, lasciandolo da solo sul loro letto matrimoniale. Era facile perché, pur lei non volendolo, lui sentiva sempre quando, delicatamente, si lasciava scivolare verso il lato del materasso, afferrando poi la prima biancheria che trovava (se già non la aveva addosso e, no, quello non succedeva troppo spesso) e trotterellando delicatamente fuori dalla loro camera.
Era facile perché, quando non sentiva più il calore familiare del suo corpo contro al proprio, non riusciva più a dormire bene quanto avrebbe voluto. La sua testa lo costringeva ad un fastidioso stato di dormiveglia fino a che almeno, il profumo del caffé non gli stuzzicava le narici e, così, nonostante la pigrizia che difficilmente si scrollava di dosso subito, si alzava per raggiungerla in cucina.
Annabeth lo aspettava sempre dietro l'isola di marmo che lei stessa aveva tanto voluto. I capelli biondi un po' scompigliati ed una sua vecchia maglietta addosso che le accarezzava dolcemente le cosce.
D'inverno era ancora più carina mentre si affacendeva per preparargli la colazione perché, al posto delle magliette, gli rubava le felpe dai cassetti, indossandole sopra a dei leggins ed un paio di calzini lunghi e sempre colorati.
In quel momento, era pieno inverno. La neve cadeva dolcemente da giorni sull'asfalto di New York e, nonostante tutto, a loro piaceva dormire nudi, stretti tra le loro braccia e sotto al duvet che, ogni settimana, cambiava colore.
Annabeth, un pomeriggio di Settembre, l'aveva trascinato in uno di quei negozi privi di ogni logica, che avevano gli specchi sulla destra e le presine per la cucina sulla sinistra, ed aveva comprato (nonostante le sue proteste delle quali, comunque, lei non si era affatto preoccupata) sette federe diverse e colorate. Annabeth le faceva girare, alternando i colori ogni volta che poteva e, anche se Percy difficilmente l'avrebbe ammesso, gli piaceva. Era un'abitudine solo di Annabeth e quella quotidianeità che rappresentava, loro se la tenevano bella stretta.
Alternare i duvet colorati era un lusso che avrebbero sempre riservato e conservato con garbo. Come lo era ordinare la pizza tutti i giovedì o prendere il take away cinese tutte le domeniche per pranzo.
Erano quelle pillole di normalità che rubavano alla loro vita di semidei e che, seduti sul divano che avevano scelto con Piper e Leo, cercavano di godersi ogni volta con un po' più d'intensità.
Anche se erano cresciuti, anche se avevano ventisette anni, in fin dei conti erano sempre ancora semidei. Non avrebbero mai smesso di esserlo e, arrivare a quell'età con ancora tutti gli arti attaccati al corpo e con la sanità mentale quasi completamente intatta, era un traguardo da non sottovalutare affatto.
Oh no, nossignore.
Era dopo la morte di Jason che avevano smesso di dare così per scontati i momenti in cui passeggiavano tenendosi per mano, guardando le vetrine dei negozi dopo che, per troppi mesi, la loro vita era stata quasi piatta tra una lezione al college che seguivano e quelle che impartivano alle nuove reclute a Nuova Roma.
Jason.
Jason che era uno dei suoi migliori amici. Jason che era puro e di buon cuore. Jason che, tutte le mattine, prima di andare a lezione, gli portava sempre una tazza di caffé con un solo cucchiaino di zucchero, sorridendogli da dietro la montatura scura degli occhiali.
Jason che l'aveva spalleggiato e protetto.
Jason che era talmente forte da sembrare quasi invincibile e che, così ingiustamente, gli era stato portato via.
Era nei Campi Elisi. E lo sapeva perché, una volta al mese, chiedeva a Nico come stesse andando la sua vita laggiù. "Beve Caipirinha e mangia cocco tuttii giorni. È felice. È un eroe" e, no, ovviamente non gli bastava.
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Più di tutti i "ti amo" del mondo
FanfictionE poi, aveva sbattuto le palpebre, guardando Annabeth per davvero per la prima volta da quando era entrato in bagno. Aveva una sua felpa grigia del college che le copriva le mani fino alle nocche, gli occhi grigi, enormi e terrorizzati, velati dalle...