Capitolo II

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Alexander:

Nuova scuola, nuova vita. O almeno era quello che speravo accadesse.
La mia vita scolastica non era mai stata un granchè: sono uno studioso iperattivo con i nervi pronti a scattare ad ogni parola errata della persona con cui stò parlando. La mia reputazione passava velocemente da inosservata a "ora-sei-nei-guai-giovanotto" nel giro di qualche giorno in ogni scuola io andassi, infatti avevo cambiato varie scuole in poco tempo.
Presi una grande boccata d'aria cercando di non farmi prendere dall'emozione e esplodere in mille coriandoli.
Quella era la scuola più grande in cui io mi fossi mai iscritto: era enorme, e quando dico enorme intendo ENORME, piena di ragazzi, classi e stanze.
Camminai velocemente tra gli studenti nei corridoi dei dormitori cercando la mia stanza. La trovai al secondo piano. La porta era di legno colorata di blu con sù inciso il numero 103. Wow, i piani dovebano avere molte stanze per arrivare alla 103 solo al secondo.
Da dentro non proveniva nessun rumore, quindi aprì con il mio paio di chiavi.
La stanza era bellissima con una finestra che si affacciava sulla struttura scolastica e con molto spazio. Aveva due letti uno al lato opposto rispetto all'altro, il pavimento era di mattonelle chiare in tinta unita con il muro bianco.
-Wow, che bello qui- ammisi ad alta voce ammirando tutto quello spazio.
Decisi di aspettare il mio coinquilino per dividere gli spazi, quindi lascia lì le valigie e mi diressi giù per le scale per fare un "giro turistico" della struttura.
Al piano terra c'era una sala comune con una caffetteria adiacente.
Stavo osservando la sala.
Davanti a me un ragazzo era così impegnato ad arrabbiarsi e a massaggiarsi la guancia per notarmi, infatti mi arrivò pienamente addosso
- Lee- schioccò le dita provocando un rumore forte. Alle sue spalle un ragazzo più piccolo di me si fece avanti a passo incerto -Chi è questo?- chiese indicandomi come se fossi un capo d'abbigliamento verde allegato a delle scarpe rosse fuoco.
Ero intenzionato a dire "il tuo peggior incubo, io sono Batman", ma il mio buon senso mi frenò le parole in gola. -Sarà nuovo- concluse Lee. Chissà quante persone doveva conoscere per fare l'identikit di tutti. -Capisco- il ragazzo che mi indicava sembrava deluso, si passò una mano nei capelli bianchi e continuò la sua camminata incazzata per non so mai quale posto.
- Che brave persone- dissi ironicamente trà me e me ad alta voce, forse troppo perchè alle mie spalle qualcuno rispose :-Simpaticissimi...- mi voltai calmo, se concordava con me non c'era motivo di arrabbiarsi. Un ragazzo più alto di me osservava la marcia imperterrita del tinto con espressione distaccata. Era scuro di pelle, ma non troppo, occhi marroni e ben vestito.
- Sono tutti così qui o c'è gente normale?- chiesi per far iniziare una conversazione. Il ragazzo accennò a un sorriso - dipende cosa intendi con "normale"- in effetti qual è la massima della normalità da quale inizia la pazzia? Cresciamo con uno standard omologati, merce fatta in serie per una società opprimente.
-Non saprei...- ammisi pensieroso.
- Non ti ho mai visto, nuovo?- i suoi occhi erano caldi e freddi contemporaneamente, una lotta tra gelo e calore. -Sì, appena arrivato, e tu sei Aaron Burr, giusto?- ora penserete "wow, un indovino", mi dispiace deludervi ma sono solo furbo. -Sono io, come...?- gli troncai la domanda sul nascere
-Il nome sul libro- idicai il libro che teneva in mano. Aaron lo studiò e sorrise -Ah, capisco-
Un silenzio ci mette quattro secondi a diventare imbarazzante e così sarebbe successo se non avessi ricominciato a parlare - Che cosa fai per divertirti?- Aaron guardò la sala bar probabilmente ragionando su i pro e i contro di portarmi in un bar - Ti va un drink?- si girò verso di me convinto. Ovvio che volevo un drink, non bevevo da quella mattina
- Certo, perchè no?- mi strinsi nelle spalle per non dare l'aria da scroccone, insomma uno sconosciuto che ti prosciuga il portafogli con delle bibite non è il massimo.
Aaron si avviò verso la sala del bar facendomi strada tra i tavoli. Molti erano liberi alcuni erano occupati da ragazzi e ragazze che bevevano, giocavano e ridevano, un tavolo sembrava più agitato degl'altri.
Il mio "accompagnatore" sembrava aver notato la mia curiosità perchè mi si avvicinò e studiò il tavolo dove si era fermato il mio sguardo: tre ragazzi ridevano e parlavano piuttosto rumorosamente attirando l'attenzione di tutti gli studenti su di loro.
- I Rivoluzionari- Burr era calmo -È così che gli chiamano- ero rimasto incantato, ma non sapevo nemmeno io cosa stessi guardando precisamente
-Gli conosci?- continuavo a fissare il tavolo come se tutta la loro energia mi avesse colpito in pieno viso. Aaron mi guardò studiando la mia espressione che credo non fosse proprio intelligente
- Sì, ci conosciamo- rispose prendendo un respiro per restare calmo -Cosa vuoi da bere?- mi risvegliai dalla mia trance di colpo -Birra!- gridai facendo calare il silenzio nella sala "sei un genio Alex, davvero bravo".
- Burr, unisciti a noi!- dal tavolo che aveva attirato la mi attenzione un ragazzo dai capelli riccioli si alzò e venne verso di noi sorridente. Aaron non sembrava esaltato all'idea di "unirsi a loro" mentre io volevo assolutamente conoscere i Rivoluzionari.
-E dai Aaron, non può farti male- affermai ottimista, insomma, quando mai avrei potuto conoscerli sennò?
Aaron guardò prima me, poi il tavolo e dopo il ragazzo che ormai era davanti a lui, poi prese un profondo respiro
-Ve bene- mi guardò stanco -Scusami Alex, devo andare-
avevo due opzioni: uno, andarmene e far finta di niente oppure, la due, approfittarne e autoinvitarmi al tavolo.
Bhe, il tavolo era spazioso, un posto in più non sarebbe stato un problema.
Seguii i ragazzi fino al loro coperto e mi sedetti con loro. Non mi aspettavo un accoglienza calorosa o un benvenuto con tanto di festoni e ghirlande, dopotutto non ci conoscevamo, però furono "ospitali".
-Chi saresti?- un ragazzo scuro di pelle con una bandana blu mi indicò con un cucchiaino mentre nell'altra mano teneva una bustina di zucchero.
- Mi chiamo Alexander Hamilton, voi invece siete?- il ragazzo-bandana si alzò gioioso -Sono Hercules Mulligan, il preferito delle ragazze- affermò facendo l'occhiolino -E dei cavalli!- aggiunse un ragazzo dall'accento francese accanto a lui. Era vestito in maglietta a maniche corte blu e pantaloni da ginnastica neri, i capelli erano saldamente legati in una coda alta. -Sono Gilbert, ma puoi chiamarmi Lafayette- si presentò -Quello invece è- il ragazzo che era venuto a prendere Burr lo interruppe
-Sono John Laurens, piacere- aveva i capelli legati in una coda che esaltava il suo viso pieno di lentiggini e con occhi verdi, e se fosse vero che gli occhi sono lo specchio dell'anima quel ragazzo aveva un anima in piena primavera "oddio, ma cosa stò dicendo?!" Forse mi immobilizzai, non ne sono certo, so solo che i suoni si ovattarono e la vista si affilò, mi richiamò alla realtà Burr che offriva un' "altro giro" di bibite super zuccherate.
-Ma dell'alcool no?- Lafayette sembrava approvare il mio quesito -Non lo servono, ingiusto vero?- Hercules rispose un po' triste -Ma non è giusto! Se io volessi ubriacarmi?- Burr mi guardò della serie "sei scemo o lo fai di proposito?". Non sopporto le persone che mi credono stupido, insomma, a me sembra di dire cose intelligenti o almeno furbe
-Alex, è questo il punto. Non possono farci ubriacare, metti che qualcuno finisca in coma etilico? O se facesse cazzate?-
Ottimo punto a suo favore, ma perchè non potevo bere? Insomma, secondo questo ragionamento dovevano abolire le scale, metti che qualcuno si butti giù?
- Cosa servono?- ero rassegnato -Tutto tranne alcool- John mi passò una lattina di red bull che stava bevendo -L'hai mai bevuta?- mi ricordavo di aver bevuto una bibita nervina, ma ho cancellato gli avvenimenti successivi, mi piace pensare che mi fossi semplicemente addormentato. Io reggo bene l'alcool, ma gli zuccheri no.
-No- mentii -Posso?- indicai la bottiglia che mi aveva dato -Certo- mandai giù un sorso, poi due, fino a finirla. Pensavo peggio, magari l'ultima volta fu solo autosoggezione. Mi passaro per la mente flash strani su possibili baci indiretti tra me e John, non so perchè, forse gli zuccheri, ma come chiudevo le palpebre quelle immagini partivano come un rullino.
Lafayette e Hercules mi guardarono con uno sguardo complottista -Dunque?- Burr mi studiava in attesa di una possibile esplosione celebrale
-È buona- ammisi sorridente. Passammo il pomeriggio così, ridendo, conoscendoci e gridando.
-Che ore sono?- chiese John ad un certo punto. Sembrava scocciato, come se dovesse fare una visita dal dottore.
-Giusto! Che ore sono?- tutti gli sguardi si posarono su Aaron che era stato calmo per tutto il pomeriggio. Lesse l'orario sull'orologio al polso -Quattro e venti-
Lafayette si stiracchiò e si alzò dando un'occhiata alle sue spalle notando che la sala si era svuotata
-Dai John, si va al Jersey-
Perchè al Jercey? Eravamo dall'altra parte del fiume, cosa dovevano andare a fare?
E più che altro, perchè in Jersey?
-Come?- domandai confuso
Aaron mi mise una mano sulla spalla
-Abbiamo un muro senza telecamere, lì si creano risse senza avere effettive conseguenze- bell'idea. Non ci ragionai subito, ma se andavano a questo muro voleva dire che avevano combinato qualcosa
-Cosa avete fatto?- Lafayette e Hercules guardarono John in attesa di risposte
-Ho accidentalmente picchiato sua maestà- mentre diceva così disegnò in aria delle virgolette per far capire che fu un'azione tutto tranne che accidentale.
Mi piaceva John, quindi non avrei permesso di fargli fare una cazzata, non sensa di me sia chiaro.
-Dov'è questo muro?- chiesi alzandomi pronto a distruggere tutto
-Alex, per favore, ti metterai nei guai- Aaron cercò di convincermi a non andare, ma ormai ero carico. -Dai, Burr, lo controlleremo noi- lafayette mi prese sotto braccio, cosa facile visto che lui è una stanga e io un tappo di bottiglia.
Aaron si preoccupò ancora di più
-È esattamente questo il problema- Hercules si portò la mano al petto in modo teatrale -Mi ferisci, noi siamo responsabilissimi- John mi si avvicinò e mi prese per il braccio -Lo controllo io- Aaron prese un lungo respiro -John... sei te quello che è finito in questo casino
-John fece fintia di non aver sentito e mi trascinò fuori
-Adieu Burr, lo riportiamo intero- gridò Lafayette con accento francese -Adoro quando parli così- rise Hercules scatenando una risata imbarazzata da Lafayette.

La Nostra Rivoluzione// LamsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora