Agli sguardi addosso, lui, ci è abituato.
E non si può dire che non gli diano un piacere sottile, che non gli lascino una sensazione positiva, alla fine.
Ma lui, lui, laggiù, gli guarda le mani.
Fissa le sue unghie appoggiate al bicchiere, fermo, un'espressione incomprensibile.
Quell'espressione, sì, quell'espressione.
La profondità buia di un abisso, nascosta dietro una superficialità più vuota, più anonima.
I loro occhi si incontrano per un istante.
Seri, composti, quelli dell'altro. Immoti, fermi. E quella fissità lo stupisce, lo sorprende, più di ogni altra cosa. Non gli sorride, non fa alcun cenno. Guarda, e basta.
Poi lo vede voltarsi – in un modo talmente improvviso da farlo perfino sobbalzare, da fargli gettare per un istante la testa all'indietro – e chiamare la cameriera.
Dovrebbe chiamarla anche lui, sì; il suo bicchiere, ormai, è vuoto. E, da vuoto, non può aiutarlo a smettere di pensare. Cerca con lo sguardo la cameriera, adesso sparita dietro il bancone; aspetta che ricompaia per attirare la sua attenzione.
Jérôme, maledetto, sempre lui. E il solo venirgli in mente di quel pensiero, delle parole algide e distaccate con cui si è allontanato – Non essere puerile, per carità. Vattene e basta – del tono sgraziato e della sensazione che qualcosa, in lui, si lacerasse, non fa altro che rafforzare il desiderio di annegare, in un bicchiere se non si può far di meglio, la stessa capacità di pensare.
La cameriera si avvicina, come se, in un gioco di congetture e traiettorie mentali, avesse percepito un bisogno inespresso. E sorride, Lulu, a quell'impossibile congiuntura.
«Glielo manda quel signore laggiù» gli dice lei, invece, appoggiando sul tavolo un bicchiere identico a quello ormai vuoto.
Lulu alza lo sguardo a cercare quello dello sconosciuto. E lo trova di nuovo fermo sulle sue mani, sulle lunghe unghie curate, sul loro appena accennato ticchettio contro il vetro.
Lulu fissa per un istante il liquido ambrato.
Accettare, rifiutare.
Non che il dilemma lo sfiori più di tanto.
Non che una notte possa fare la differenza, nel mescolarsi di altre notti; non che possa lenire quella ferita – la ferita – o cambiare davvero le cose.
Quell'istante, quell'istante di sospensione, per decidere, per dirimere in fretta una questione.
Il desiderio insano del corpo. Una specie di ossessione. Chiedersi che espressione assuma quello sguardo così fermo, in altri contesti. Chiedersi se sia capace di guardare con languore, se sappia manifestare qualcosa di intenso. Se tiene gli occhi aperti o chiusi, durante.E il desiderio della mente. Il desiderio di non pensare, di non rivivere, di non soffrire.
Il tremito delle mani, mentre tira fuori un'altra sigaretta, mentre il ricordo risale lungo la gola e va tossito fuori, mentre l'istinto decide, improvviso.
Prende il bicchiere, lo solleva appena in aria mentre cerca lo sguardo dello sconosciuto. Un brindisi immaginario.
L'altro, il volto ancora immobile, annuisce appena.
E si alza, non senza un attimo di esitazione.
Rimane lì, fermo.
Come a disagio, come se si fosse già pentito del suo gesto.
«Vuoi sederti?» gli chiede Lulu.
Ed è una domanda sgraziata, senza dubbio, una domanda sbagliata, che va oltre le consuetudini non scritte.
L'altro annuisce, ancora, ancora incerto.

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Racconti Proibiti
General FictionRaccolta di brevi racconti erotici. Personaggi ricorrenti, situazioni diverse, stili diversi e intrecci vari.