Il gerarca e la poetessa

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Tu soltanto, io soltanto
E poi i confini vengono meno
Angoli smussati, concavità e convessità
Desiderio di appartenerti e trattenermi.

La smania incontenibile di inginocchiarsi davanti a lei.

Inginocchiarsi, dischiudere quelle gambe accavallate, affondarvi la bocca.

Un desiderio talmente vivo e pulsante da annebbiargli la vista, da condensarsi in fitte dolorose al basso ventre.

Da te nasce la mia follia
Dai tuoi giochi sapienti, da intrecci articolati.

La sua voce è lenta e sensuale, bassa e profonda.

Le sue labbra dipinte di rosso sembrano quasi appoggiarsi al microfono. Sente le parole inframmezzate dal suo respiro.

Ne immagina la sensazione sulla sua pelle sudata, il brivido di freddo che lascerebbe. Le mani dalle lunghe dita sottili che si stringono intorno ai suoi capelli, che lo spingono ancora verso di sé.

Mi insegui, ti inseguo
E anche il pensiero viene meno
Soffocato, inghiottito
Un movimento armonico e disarmonico.

Sbottonare ad uno ad uno i bottoni del suo abito, con una lentezza inesorabile. Scoprirle il seno, accoglierlo nelle mani chiuse a coppa. Sentire il suo corpo contrarsi sotto il suo tocco, protendersi contro di lui, in una supplica silenziosa.

«Continua a leggere», le direbbe.

Inframmezzare i versi ed i gemiti, le parole ed i sospiri.

Non c’è altro, intorno
Rinasco nel nostro congiungerci.

La distenderebbe lì, in quell’angolo, sotto di sé.

Il riflettore puntato sui loro corpi, in mezzo alla polvere, sul legno nudo.

La bacerebbe a fondo, per farle sentire il suo stesso sapore.

La prenderebbe con furia, con un’ansia spasmodica di possederla.

Mi ritroverò, ti ritroverai
Nel confondersi delle sensazioni
Nel distinguersi degli esseri.

Resterebbe ad occhi aperti. Si godrebbe ogni istante.

Guarderebbe ogni minuscola contrazione del suo viso, ogni espressione, ogni smorfia.

«Che svergognata, cavaliere, non trovate?»

La voce dell’oste lo costringe a distogliere lo sguardo da lei.

«Come dite?»

«I giovani del nostro tempo avrebbero bisogno di disciplina! Fosse mia figlia, quella, altro che cinghia!»

«Certo, certo.»

L’oste gli versa ancora mezzo bicchiere di vino, prima di allontanarsi.

Vittorio prende il bicchiere con entrambe le mani, come per scaldarlo. Segue la giovane con lo sguardo, la vede scendere dal palco improvvisato. Il suo posto al microfono viene preso da un’altra donna, decisamente più anonima.
Come ha detto di chiamarsi? Edda, forse?

Perfino il suo modo di camminare è intrigante. Quella gonna il cui orlo impertinente osa mostrare la parte superiore del ginocchio, le scarpe con il tacco alto e la pelle delle gambe nuda, i capelli cortissimi. Cammina verso di loro, evidentemente diretta ad uno dei tavoli in fondo alla sala.

Gli passa accanto.

Incontra i suoi occhi.

Sfrontata. Sfacciata. Non abbassa lo sguardo, nonostante abbia certamente notato la sua divisa nera, i gradi lucidi sulle spalle e sul petto.

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