Capitolo 4

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''Cosa vuoi?''

Il ghigno formatosi sul suo viso cedette il posto ad un'aria annoiata. ''Ho da fare, non vedi?'' continuò mostrandomi il libro che stringeva tra le mani e roteando gli occhi al cielo.

''Tua madre mi ha detto di chiedere a te'' risposi infastidita dal suo comportamento. L'essere gentile non era proprio nella sua indole.

Sembrò arrendersi alle mie parole; di fatti, uno sbuffo lasciò le labbra e abbandonò il retro del bancone, dirigendosi verso uno scaffale colmo di libri.
Lo seguii in silenzio, premurosa di non provocargli ulteriori fastidi.
"Allora?", domandò incurvando le sopracciglia "cosa ti serve?"
"Un libro di letteratura italiana, uno qualsiasi"

''Che ne dici di questo?'', chiese afferrando un libro dalla pila e mostrandomene la copertina.

Era un libro di D'Annunzio; conoscevo molto bene quello scrittore e ne ero davvero affascinata. ''Sì, mi piace.''

Si trattava di ''Il piacere', pubblicato nel 1889 dallo stesso autore e che trattava la tormentata esperienza amorosa e folle di un giovane aristocratico innamorato di due donne; amore tanto devastante che porterà il giovan signore a consideralo totalizzante; ma l'amore ti arde completamente, brucia ogni fibra del tuo corpo lasciando in fine di te nulla se non le ceneri. E ciò era proprio quello che era accaduto al giovane signore del tempo.

Un sorriso prese spazio sul suo volto. ''Anche a me, tanto''

''Lo hai letto?'', gli chiesi incuriosita dalla sua risposta. Davvero non mi sarei mai aspettata che un tipo come lui fosse affascinato dalla letteratura, soprattutto se i libri fossero incentrati sul tema amoroso; voglio dire, non che lo considerassi un ignorante, ma non credevo che ciò facesse parte delle sue priorità. O magari non ne facevano parte ed era soltanto un modo per trascorrere tranquillamente e saggiamente il tempo; infondo, l'otium letterario era celebre per questo.

''Ti stupisce?'', chiese con un velato sarcasmo che però io riuscii a cogliere.

''No, è solo curiosità'' risposi in modo saccente. Il mio sguardo però restò fisso sulla sua figura -illuminata dal piccolo fulgore emanato dalla lampada di fianco- che continuava a tenere tra le mani il volume; la sua espressione era tesa, impegnata a leggere le citazioni riportate nel retro del libro, una piccola rughetta sembrava adagiarsi sulla sua fronte mentre le sue sopracciglia restavano increspate. Il suo viso era spigoloso, la sua mandibola marcata, e le labbra, come da contrasto, sembravano essere davvero morbide. Allora notai un piccolo, quasi impercettibile taglietto su una delle sue gote, all'altezza delle labbra.

''Comunque sì, l'ho letto'', disse fissandomi e provocando così in me la tipica sensazione di imbarazzo e timore in cui ci si cade una volta essere stati colti su un fatto; mi aveva beccata mentre gli fissavo il volto. Accidenti!

Il suo viso sembrava essere criptico: nessuna emozione era data a vedere.

''Bhè, grazie. Io devo andare'', raccattai le mie cose con fretta, afferrando il libro agguantato nelle sue mani, senza mai incontrare i suoi occhi indagatori. Avvertivo in me un presentimento ignoto, arcano, che mi teneva a freno dall'essergli troppo vicino; come un campanello d'allarme che mi intimava di non superare la linea di confine che ci teneva distanti, a meno che non avessi voluto che mi leggesse dentro come se fossi un libro aperto. Sapevo che ne era capace; quando i suoi occhi prima avevano incontrato i miei, vi si erano fermati più del dovuto, come se stesse cercando di capire cosa si celasse dietro le mie iridi chiare.

Lui, d'altro canto, non si protese verso di me neppure una volta. Con passo veloce, raggiunsi la cassa e lasciai i soldi alla signora Mallette che, prima che varcassi l'uscita, richiamò il mio nome. ''Megan, se ti va, sai che puoi venire a studiare qui quando vuoi. C'è il mio studio di là'', disse con un sorriso rassicurante sul volto, indicando un punto indefinito dietro le sue spalle.

''Grazie'', risposi chiudendo la porta dietro di me camminando poi verso casa, consapevole che una dura serata mi attendeva fra le sue braccia soffocanti.

***

La mattina seguente trascorse nella sua più totale monotonia e, prima di quanto mi aspettassi, erano giunte le quattro del pomeriggio. Chiusi il libro poggiato sulle mie ginocchia e lo riposi sullo scaffale; raccolsi i miei capelli in una coda di cavallo e tolsi ai miei piedi le ciabatte, infilando gli stivali neri. Esalai un respiro prima di scendere al piano inferiore.

Mia madre era distesa sul divano; un pacco di marshmallow era aperto sul tavolino di fronte, gli occhiali tenuti in una morsa allentata tra le mani che, penzolanti, cascavano giù dal divano. Stava dormendo. Era raro che dormisse in modo tanto tranquillo così cercai di non svegliarla.

''Dove vai?'', domandò una voce dietro di me mentre ero intenta ad indossare la giacca.

''Ho un appuntamento dalla psicologa'' sospirai voltandomi verso Alfredo in piedi, con le braccia incrociate al petto. Annuì ''Stai attenta'' disse prima di voltarsi e salire le scale che portavano alla sua stanza.

Odiavo andarci e lui lo sapeva bene. Non che odiassi la signorina Lee, ma mi provocava fastidio il suo capirmi con una sola occhiata. Mi sentivo spoglia quando le ero di fronte, come se tutti i miei tentativi di tenere per me ciò che fosse solo mio, andassero al vento. Lei sapeva che non le avessi raccontato tutto di quella mattina, ma non riuscivo a farlo. Alcuni particolari li omettevo poichè dovevano restare miei: mio padre doveva restare mio, nitido nei ricordi dei suoi ultimi istanti che aveva vissuto con me, solo con me.

Presi la mia vettura e raggiunsi il suo studio dopo 20 minuti bloccata nel traffico.

La sua porta era chiusa, così mi accomodai nella sala di attesa. Per ingannare il tempo accesi il mio smartphone e ne lessi alcuni messaggi.

Uno era di Ralph: Hey... che ne dici se usciamo insieme una di queste sere? Vorrei che chiarissimo quello che siamo; ti va?

Mi lasciai sfuggire un sospiro. Era davvero un bravo ragazzo e non volevo fargli del male. Per la testa avevo tutt'altro che pensieri positivi ma magari avrei potuto provarci e vedere come sarebbe andata. Non avevo nulla da perdere. La mia vita faceva già schifo di suo e l'unica cosa che potevo fare, era cercare di migliorarla.
Digitai una risposta veloce dicendogli che avremmo potuto vederci il pomeriggio seguente, dato che il capo della signorina Lee era spuntato fuori dalla porta.

''Vieni, entra'', sussurrò la dottoressa poggiando una mano sulla mia spalla incitandomi a prendere posto sulla poltrona di fronte alla sua scrivania.

''Allora, come stai? È cambiato qualcosa dall'ultima volta che ci siamo viste?'', domandò come sempre con fare professionale.

Scossi la testa ingoiando l'insulto che mi premeva sulla lingua. Cosa poteva mai essere cambiato? Mio padre non c'era più e questo non sarebbe potuto mai cambiare.

''Allora, hai riflettuto sulle mie parole? Ti va di raccontarmi qualcos'altro oggi?'' insistette puntando i suoi occhi nei miei.

''Sì , e no, non mi va''

''Megan'' sospirò frustrata intrecciando le dita sotto il mento ''sai che devi lasciarti andare. Io sono qui per questo, per aiutarti''

Tenni lo sguardo basso e cominciai a giocare con un filo dei miei pantaloni strappati sulle ginocchia. ''Perchè non mi racconti tutto quello che è accaduto quella mattina? Non lo fai perchè vuoi fuggire dai ricordi? Lo sai che l'unico modo per passarci sopra è proprio parlarne? Devi analizzare il problema per poterlo distruggere, non puoi scappare per sempre'', continuò questa volta, però, marcando le sue parole.

Mi alzai dalla sedia senza proferirle parola, cercando di sfuggire alla situazione che mi stringeva la gola e mi annebbiava i pensieri.

Già, non si può sfuggire dai problemi.
Ma io vorrei tanto che fosse possibile.

Alone ||Justin Bieber||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora