7. Urlare

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Blythe cammina per le strade di  North Oaks a grandi falcate. Non è tardi, di solito non esce mai dalle sedute a un orario non consono, ma tutt'intorno è già buio. Nell'aria si sente il forte odore che preannuncia una tempesta imminente e il ragazzo si ritrova a osservare il cielo pieno di nuvole nere. Si stringe il giubbotto di pelle meglio addosso e conficca le mani nelle tasche, maledicendosi per non aver messo anche la sciarpa e i guanti; le tasche del giubbino sono strette e delle sue lunghe mani solo un pezzo è al coperto. Tira in su la cerniera e nasconde il naso nell'incavo del maglioncino a collo alto.

È molto arrabbiato per ciò che è successo allo studio della dottoressa Murphy soprattutto perché non si sarebbe mai aspettato da lei un comportamento simile. È da quando è bambino che si sente dire che deve fare attenzione, che non deve uscire troppo tardi la sera o che non gli conviene fare l'antipatico con gli altri. Ha promesso ai suoi genitori che non avrebbe più scatenato le risse e così e stato, ma proprio non riesce a sopportare che a lui, proprio a lui si dica che deve prestare attenzione a come si comporta con gli altri per non ferirli. In più, Britney gli è sempre piaciuta perché non l'ha mai costretto a condividere nulla né gli ha mai imposto un certo comportamento o gli ha fatto una ramanzina senza tener conto dei suoi sentimenti.

Serra i pugni, stretti nelle tasche, mentre nella mente gli tornano le parole della donna. Mugugna e scuote la testa, come a voler liberarsi da quel pensiero.

La sua marcia verso casa continua inarrestabile, ma d'un tratto qualcosa lo fa bloccare di colpo. È a due isolati di distanza, davanti all'abitazione dei Berkley. Sa che la famiglia che vive lì è in vacanza a Malibù, per cui quando scorge la porta d'ingresso semi aperta un dubbio lo assale. Si dice che è meglio se prosegue dritto senza interferire e soprattutto senza cercare di capire qualcosa di più; ma un'auto che sfreccia con i suoi fari illumina la finestra della casa che dà sulla strada e lui li vede bene: i ladri.

Un groppo amaro gli sale in gola e senza che possa evitarlo i suoi occhi si inumidiscono. In un attimo ritorna a otto anni prima.

È una notte molto simile a quella in cui si trova, ma è in una città diversa, in una casa differente. Fa freddo e i suoi genitori, prima di dargli la buonanotte, l'hanno imbacuccato quanto più hanno potuto.

Blythe è arrotolato nel piumone quando si sveglia di scatto per un forte rumore. La pioggia batte incessante fuori dall'appartamento e l'albero su cui James ha costruito una casetta per il figlio sbatte i suoi rami sul vetro della finestra della stanza. I lampi, veloci, illuminano per qualche secondo la sua camera e il bambino si copre il voto, lasciando fuori solo gli occhi, che vagano incerti per l'ambiente. Prima osservano il tronco, i cui rami, sottili e bagnati, gli paiono degli artigli di un mostro terrificante; poi si spostano sul pavimento, dove a intervalli regolari i lampi proiettano un'immagine che somiglia a una bocca con pochi denti.

Un altro forte tuono e Blythe scosta di fretta le coperte, per poi scendere dal letto. Non vuole restare un secondo di più in quella stanza e anche se è troppo grande per andare a dormire nel letto dei suoi genitori decide di farlo lo stesso. Quando sua madre è venuta a dargli la buonanotte, gli ha assicurato che se avesse avuto paura non avrebbe dovuto esitare a correre da loro, ma che non c'era nulla da temere. "La pioggia è solo il cielo che piange" ha provato a fargli capire Samantha, in un modo forse un po' ingenuo e stupido per un bambino di otto anni; ma a Blythe quella spiegazione è piaciuta e si è detto pronto a rassicurare il cielo, se fosse servito. Eppure, a niente sono valsi i suoi tentativi di parlare con le nuvole: non hanno smesso di piangere.

Così esce dalla stanza per raggiungere quella dei genitori, che è dalla parte opposta al corridoio, ma un rumore proveniente dal piano di sotto lo costringe a fermarsi. Ingenuamente, pensa che sua madre o suo padre si siano svegliati anche loro a causa di quel temporale ed è felice di non essere l'unico ad avere paura. Allora comincia a scendere le scale, ma arrivato a metà percorso si rende conto che ci sono voci che non conosce.

Qualcuno bisbiglia e lui non riesce ad afferrare ciò che dicono. È un bambino e come tutti i bambini è spinto dalla curiosità a voler capirne di più, per cui muove un altro passo e scende un altro gradino.

Le labbra si schiudono piano, finché la sua bocca non è completamente spalancata: due uomini, vestiti con abiti scuri e aiutati solo da una piccola torcia, stanno prendendo tutto ciò che è loro, tutto ciò che è suo.

Blythe è fermo, paralizzato da ciò che i suoi occhi stanno vedendo. Si regge al corrimano e il suo istinto di sopravvivenza gli dice di fare un passo indietro o sarà visto. Quel gradino, però, scricchiola e il bambino sta per essere scoperto.

I due uomini si zittiscono e restano in ascolto di qualche voce che li metta in allerta e che li costringa a lasciar perdere e ad andarsene con quanto già preso, ma dalla gola di Blythe nessun suono viene fuori. L'urlo che avrebbe voluto liberare appena ha capito cosa stava accadendo è bloccato nella laringe, nel profondo del suo animo.

Solo le lacrime gli fanno compagnia quando, seduto sulle scale, si rende conto che i due uomini se ne sono andati. E quelle lacrime, proprio come quelle delle nuvole, non smetteranno di scendere per ore.

E anche in quel momento, quando con orrore il suo cervello gli mostra ancora quei ricordi dolorosi, le sue gote si bagnano senza che possa fare qualcosa per impedirlo. La sua mente è in fermento e ogni impulso gli suggerisce di correre, di scappare via di lì, di non farsi vedere; ma il cuore accelera i battiti a ogni respiro, a ogni tentativo di muoversi. Ancora una macchina illumina la finestra della casa e Blythe non scorge più niente, come se i ladri se ne fossero andati. Spinto da quel dubbio che però potrebbe essere realistico, il ragazzo riesce a compiere un paio di passi in avanti; ma il respiro è sempre più affannoso, le lacrime non gli permettono di vedere bene e il cuore sembra impazzito: palpita forte che quasi sembra voglia rompere la cassa toracica di Blythe. L'unica cosa che potrebbe farlo stare meglio è inalatore, ma non ce l'ha con sé: lo porta sempre e solo quando va a scuola, mai quando esce di casa così, per svago.

Ancora un passo, ancora uno. Ce la faccio, ce la faccio.

E invece no, Blythe non ce la fa: è troppo il dolore che sente premergli il petto, così tanto che è costretto a portarsi una mano sul cuore per avere un po' di sollievo; ma non riesce ad averne. Le sue ginocchia, a quel punto, cedono e lui cade riverso sull'erba della casa dove sta avvenendo il furto. L'ultima cosa che Blythe prova a fare, prima che l'attacco di panico gli tolga il sangue dal cervello, è urlare.     

Buon Natale! Mi dispiace farvi gli auguri con un capitolo così breve e intenso di dramma, ma il destino ha voluto così! Spero vi sia piaciuto. 

A venerdì, 

Mary <3 

Attraverso i tuoi occhiWhere stories live. Discover now