Sull'asfalto lucido del parcheggio si suicidavano grossi calabroni liquidi. Enormi carri armati di antracite minacciavano la città dall'alto del cielo rombando fastidiosi sui loro cingoli nebbiosi. Quello non poteva essere un tempo da maggio, caso mai da febbraio.
Il dottore espirò tutta la pressante monotonia in un sospiro unico sperando di liberarsene almeno per il resto della giornata. Si allontanò dalla vetrata dello studio e riprese posto alla scrivania di legno. In quel momento qualcuno bussò alla porta.
«Avanti!»
«Dave, ho qui la lista degli appuntamenti di domani.» La segretaria entrò e gli porse un foglio. L'uomo squadrò la donna da sotto il cipiglio severo. «E qui c'è la cartella di una nuova paziente. La madre è di là, tra un paio di persone tocca a lei.» Una cartellina gli venne appoggiata sul ripiano accanto al portatile.
«Grazie, Camille.»
«Faccio entrare il prossimo?» Il dottore aveva preso il nuovo fascicolo per sfogliarlo, annuì assente alla domanda.
Toccò all'affranta Muriell, per cui mise da parte il nuovo caso. Poi fu il turno del burbero signor Devito.
«Dottor Crampbers, lei che ne pensa?»
«Dottò, è ancora qui? Mi segue?»
Sempre assensi e mugugni da parte di David Crampbers, perso nei suoi pensieri affollati.
«Prego, signora, si accomodi!» Il dottore indicò la comoda poltroncina trapuntata sul lato opposto della sua scrivania. Fissò la donna stropicciarsi il bordo della borsa di pelle mentre si accomodava. «Signora Bellant, giusto?»
La signora si bloccò a mezz'aria. «McGavin, madre di Sophia Bellant» puntualizzò e sprofondò nella poltrona.
«Certamente, mi perdoni» si scusò l'uomo ancora in piedi. «Dunque, signora McGavin, mi hanno già anticipato qualcosa, ma io preferirei ascoltare lei» suggerì poco arbitrario, «dal suo punto di vista» la incoraggiò prendendo posto a sua volta.
«Vede, dottore, mia figlia... credo che mia figlia abbia bisogno di una mano.»
E fin qui siamo d'accordo, ho la sua cartella. Il dottore annuì comprensivo. Attese che la donna continuasse.
«Mia... figlia, si è suicidata circa un anno fa» prese a raccontare la signora con titubanza «e lei non lo accetta.»
«Signora, mi perdoni, forse faccio confusione io,» palese che la colpa non fosse sua, «però mi sfugge un dettaglio.» Alquanto importante anche. «Sua figlia Sophia ha tentato il suicidio ed è sopravvissuta e...»
La signora McGavin lo interruppe inorridita. «No, no, Sophia sta bene, la mia bambina sta bene. Voglio dire... più o meno. Ayden si è... Ho due figlie, dottore.»
Ora iniziamo a capirci. Facciamo un po' di ordine anche nei suoi pensieri, signora.
«Sophia è già stata in cura, signora McGavin?»
Le rughe invisibili sul viso della donna si manifestarono in una maschera di tristezza. «Sì, una settimana. Non ci sono stati progressi, anzi. Ha morso la dottoressa.» Fece una pausa opprimente. «Non vuole capire di avere un... un...» Iniziò a singhiozzare sommessamente. «Un problema» ammise sconfitta.
«Sophia ha visto Ayden buttarsi da un ponte, ma non vuole ammetterlo a se stessa. Insiste che non fosse lei quella che si è buttata, che lei sia ancora viva» pronunciò l'ultima parola sussurrando. «Dice che siamo tutti ciechi e che finché non ammetteremo che è stata tutta una farsa, con il funerale e tutto, Ayden non tornerà.»
«Capisco. Immagino fossero molto legate tra loro.»
«Sì, Ayden era la maggiore ed era un esempio per Sophia. Voleva sempre stare con lei, ovunque andasse.» Il silenzio scese a fiocchi e si depose sulle due statue umane.
«Signora McGavin, questo attaccamento si potrebbe definire "morboso"?»
Lo spavento deformò il viso stanco e spento.
«Voglio dire, c'era emulazione? Imitazione di quello che Ayden faceva? Magari come si vestiva o quello che mangiava, chi frequentava...»
«No... non lo so, non credo. Non mi sembra. Avevano solo un anno di differenza, quindi a volte si scambiavano i vestiti o gli smalti, ma... insomma, è normale, vero? Tra due giovani della stessa età, due ragazze, l'influenza ci può essere. Ho ragione?» Fissò il dottore piena di desiderio, le scintille di dolore negli occhi, una grande voglia di risposte. Una madre quasi più bisognosa della figlia, e fu quello a far scattare la decisione in David Crampbers.
«D'accordo, signora.» Si alzò deciso, ma parlò in tono dolce. «Possiamo fissare un appuntamento con sua figlia per mercoledì. Può andare bene?»
«No.» Fu perentoria, poi la voce si incrinò. «No, io... credo che non accetterebbe un altro psicologo. Non può tipo attirarla da qualche parte e dirle, non so, magari fare amicizia e aiutarla a capire?» Comprendeva il dolore di una madre, l'impotenza che la bloccava, ma non bastavano a persuaderlo a fare una cosa così poco professionale.
«Signora McGavin, quello che mi chiede è impossibile, non fa parte del mio lavoro, capisce?»
«Ma Sophia non ragiona! Ha bisogno di aiuto!» La donna si alzò di scatto, strinse forte il bordo della borsa che aveva tenuto in grembo e fissò il dottore negli occhi. Era visibilmente furiosa. «Lei deve aiutarla! E se non vuole i dottori, bisogna fare in un altro modo.» David si sentì in trappola. «Non ho problemi di soldi, posso pagare qualsiasi supplemento. La prego.» Ecco di nuovo quelle briciole di lacrime incastrate tra le iridi castane.
«Facciamo così, signora, fissiamo un appuntamento per conoscerci tutti. Potrà essere presente anche lei. Anzi, faremo sembrare l'incontro come organizzato appositamente per lei, per il suo dolore non sopito, e Sophia sarà solo di accompagnamento. Potrà anche non parlare, l'importante è che non inizi a vedermi come il suo nemico personale, d'accordo? E poi vedremo che fare per le prossime volte.»
La donna si lanciò in un abbraccio troppo personale, strinse il dottore come se fosse l'ultima cosa a cui attaccarsi prima di cadere in un burrone mortale. David aspettò che esaurisse la foga, poi si staccò ai primi accenni di scioglimento e tornò dietro la scrivania per appuntarsi la seduta.
Scemarono anche i convenevoli con la signora McGavin, poi toccò a Jeremy e tutti gli incontri per la giornata si conclusero.
Finalmente, pensò David, se si fosse passato la mano tra i capelli e li avesse strizzati, ne sarebbe colato sudore a fiumi.
Raccolse tutte le cartelle, le infilò nella borsa di pelle, spense il portatile, ogni gesto e ogni azione meccanici secondo il più rigido e schematico dei manuali di routine.
Sospirò e buttò fuori il resto della monotonia che pensava di aver già espulso. Era sempre troppa. Pensò al vuoto che lo aspettavano a casa, al silenzio che occupava costantemente il suo divano, steso lì a ridere della sua solitudine, ma ad accoglierlo come il migliore degli amici.
David Crampbers fissò l'ordine dello studio, spense la luce e uscì chiudendosi la storia di mille vite alle spalle.
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Blue 27
Mistério / SuspenseCi credi nei morti che camminano? Il dottor Crampbers sì, e dovrà ammetterlo a se stesso durante la faticosa ricerca di una ragazza morta in circostanze troppo poco sospette perché le persone la credessero più che una vittima della sua mente malata...