Capitolo 2

26 2 1
                                    


Tutto era buio e il silenzio regnava sovrano.

In quella stanza oscura e spaziosa Lia era rannicchiata sul suo letto con la testa tra le ginocchia, mentre i boccoli castani le coprivano lievemente le gambe.
In quella dolce oscurità la sua mente si cullava nell'oblio, e non volendo pensare a niente, trascorse così un tempo indefinibile. Venne però risvegliata da una canzone, la sua canzone. La melodia che accompagna i suoi passi, che fa da sfondo ai suoi sorrisi, che preannuncia il suo arrivo; era una ninna nanna malinconica.
Quel ragazzo le apparve di fianco all'improvviso, come se si fosse materializzato dalle ombre che li circondavano, e le cinse le spalle con un braccio, ascoltando pazientemente il respiro di lei che, nel frattempo, non si era alterato minimamente.
« Com'è andata la tua giornata? », la sua voce era calma e ironica, ma non ricevette risposta.
« Sai, ho proprio voglia di giocare con te oggi. Ti va?», ancora silenzio.
Sebbene Lia continuasse a tacere, il suo compagno non era per nulla spazientito, anzi, il suo divertimento poteva essere ben inteso dai rumorosi sogghigni.

« Beh, lo prenderò come un sì! » e, terminata la frase, la stese di colpo sul letto bloccandole mani e braccia con le sue e rivelando così il viso di Lia solcato dalle lacrime. I suoi occhi erano spenti, vuoti, mentre quelli di lui risplendevano di una luce propria, minacciosa.

Avvicinatosi al suo collo le scostò i capelli con una mano, mentre con l'altra la teneva ancora bloccata, « Hai proprio un buon profumo... ».
Le sfiorò la pelle con le labbra e con le dita percorse, dal basso verso l'alto, il ventre leggermente scoperto.
« Sarò veloce, non preoccuparti. ».
La sua mano continuò a salire, fino ad arrivare alla base del mento dove continuò ad accarezzarla e a stuzzicarla, ma, dopo che si fu posizionato su di lei ed ebbe liberato la mano dalla presa, disse con un ghigno: « Ho cambiato idea » .
Le dita che fino ad allora l'avevano accarezzata strinsero la presa sul collo e Lia, che per tutto il tempo si era mostrata inerme, si destò da quella specie di ipnosi che l'aveva immobilizzata e cercò di divincolarsi dalla stretta che la stava soffocando.
La risata di lui e gli urli asfissiati di lei riempirono la stanza, rivestita di tenebre impenetrabili.
« Andiamo, non puoi morire così presto. Fammi divertire ancora un po'! ».
Le sue mani non cedettero, neanche i disperati pugni di Lia o le sue suppliche riuscirono a farle desistere mentre, nel frattempo, la mancanza di aria cominciava a diventare insostenibile. Ben presto non fu più in grado di continuare quell'inutile opposizione.
La luce rossa di quello sguardo assassino iniziò a sfocarsi, il ghigno divertito perse forma e, con il sopraggiungere di quell'epilogo, l'ultimo ricordo che Lia avrebbe conservato sarebbe stato il viso del suo giustiziere che le sorrideva compiaciuto.

Un respiro affannoso e un brusco risveglio accompagnarono il ritorno di Lia nel mondo reale.
Perle di sudore le ricadevano sulla fronte e sugli occhi e risplendevano alla luce di un sole che aveva da poco ripreso il suo posto nel cielo.
Ancora ansimante, aprì la finestra vicina al letto e, respirata a pieni polmoni l'aria fresca del mattino, cominciò a contemplare il panorama urbano e l'orizzonte ancora chiaro, mentre con la mano si massaggiava il collo ancora dolorante.
Era ormai ogni notte che quel ragazzo appariva nei suoi sogni facendole del male nei modi più terribili; alcune volte, sentendosi clemente, le offriva una rapida agonia servendosi della sua falce nera, la sua fidata compagna di omicidi che vedevano sempre lei protagonista, ma, altre volte invece, quando il suo tormentatore si sentiva attanagliato da una noia insostenibile, dava il via a una lenta tortura, proprio come quella notte. Ciò che cercava infatti era proprio questo, il divertimento; si beava della sofferenza di Lia e delle sue grida, trovava piacevole farla soffrire fino alla morte.
Lei ormai si era abituata ad attenderlo ogni sera in quella stanza buia della sua mente, e come ogni giorno porta con sé un nuovo inizio, la notte generava in lei sempre nuovo dolore.
Da quel pomeriggio in cui l'aveva incontrato nel parco, Lia non l'aveva più rivisto, ma era rimasto invece il loro abituale appuntamento notturno; l'unica cosa che la induceva a credere ancora alla veridicità di quell'incontro era il misterioso biglietto, che ora la fissava dal comodino su cui era posto; lo leggeva continuamente e non se ne separava mai. Il solo pensiero che quel mostro sadico potesse aggredirla davvero l'aveva resa vigile e sospettosa, ma come poteva vivere adesso, sapendo che la sua vita era appesa a un filo?


Con i pensieri di quella mattina ancora per la testa, Lia iniziò a prepararsi per andare a scuola, quell'edificio di pietra austera che si trovava proprio in fondo alla strada dove abitava.
Saltata la colazione vi si diresse, quindi, a passo svelto; l'interno era ancora deserto, dato che era comunque molto presto, ma Lia si incamminò lo stesso verso la sua aula, ovviamente vuota.
Appoggiato lo zaino sul banco, si sedette e avvicinò la testa su quello scomodo cuscino.
Chiuse gli occhi, sperando di recuperare un po' del sonno perduto ma, prima che potesse scivolare tra le braccia di Morfeo, una strana sensazione le impedì di concedersi quel breve riposo ristoratore.
Un freddo bruciante si era impossessato di lei e quella parvenza di gelo perdurò incessantemente; i brividi che le percorsero le braccia si espansero in tutto il corpo e, sebbene fosse ancora la prima settimana di Maggio, e si potesse ancora fare affidamento su quelle fresche brezze che attutivano la calura estiva, una tale ondata di freddo era del tutto inspiegabile.

Colta da un terribile presentimento, Lia alzò la testa di scatto e, fissando incredula la finestra, scorse in controluce la figura tenebrosa del suo incubo divenire realtà.
I neri capelli risplendevano alla luce tenue del sole che, forse spaventato quanto Lia, non osava fare capolino da dietro le nuvole dove si era nascosto.
Il solito ghigno gli si era nuovamente presentato sul volto asciutto e pallido, rivelandone così i denti bianchi tra cui risaltavano i canini particolarmente sporgenti; in mano reggeva la sua enorme falce, grande quasi il doppio di lui, e benché potesse apparire particolarmente pesante, nelle sue mani sembrava divenire più leggera di una piuma.

Lia, dopo essersi nuovamente messa in piedi, lo osservò con attenzione scendere dal davanzale dove si era seduto poco prima e avanzare verso di lei.
Dal canto suo lei era assolutamente terrorizzata, mai si sarebbe potuta immaginare che il loro prossimo incontro si sarebbe svolto proprio in quel luogo; si sentiva soffocare dalle pareti, il soffitto le parve più basso e nel momento stesso in cui era riuscita finalmente a decidere di scappare, i suoi pensieri vennero interrotti dall'improvvisa chiusura della porta alle sue spalle.
« Non ti permetterò di scappare! », la voce di lui adesso si era fatta più seria, ma il suo sorriso non si era scomposto di una virgola.
« C-cosa vuoi da me? », la voce di Lia tradiva tutta la sua agitazione, malgrado avesse tentato, invano, di mostrarsi più composta.
A quella domanda il ragazzo non poté fare a meno di scoppiare in una fragorosa risata, destando nella mente della sua interlocutrice la più assoluta confusione.
Ancora in preda ad alcuni risolini, non tardò a rispondere: « Se pensi che sia qui per ucciderti ti sbagli di grosso, sono venuto qui solo per parlarti, bambolina », e a quel punto le indirizzò un'occhiata maliziosa a cui presto si aggiunse il consueto sorriso diabolico.
Lia non sapeva più cosa pensare, né a cosa dovesse credere, né tantomeno come dovesse comportarsi, e forse per questo fece l'unica cosa a cui riuscì a pensare in quel momento; serrò i pugni e si sedette al suo banco e, con tutto l'autocontrollo possibile, gli rispose di rimando: « Ti ascolto ».

A Lovely NightmareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora