2 · Splendida e Cupo

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La altre ale della serra erano magnifiche come ci si aspettava da degli arborei, con luci e rampicanti che pendevano dal pergolato, sabbia bianca nelle aiuole e graniglia sul pavimento, coleus grandi quanto alberi di limoni e dalie piccole come margherite, piante carnivore che crescevano a testa in giù dal soffitto e rose dai colori impossibili.

Se il goblin arancione non gliela avesse indicata, Caedric non avrebbe mai individuato la fata, immersa com'era nell'ambiente circostante.

Se ne stava distesa su una panchina, la carnagione grigio perla appena distinguibile dal marmo, i lunghi capelli cobalto che si srotolavano fino a terra e un vestito di raso azzurro che la avvolgeva come acqua solida. Fissava i rami degli oleandri sospesi sopra di lei, immobile e splendida come una modella nella composizione del suo pittore.

«Splendida» gongolò il goblin, e questa volta fu lampante che dovessi trattarsi del nome della fata, o comunque il modo in cui si faceva chiamare.

La fata si limitò a girare la testa nella loro direzione con un vago sorriso sereno sulle labbra. Sorvolò sul goblin e fissò Caedric, gli occhi antracite che riflettevano le fiamme blu e verdi.

«Salve» salutò Caedric, per una volta dimenticandosi della propria voce infantile. «Il mio disturbo sarà breve.»

Nessuna risposta.

«C'erano voci, l'anno scorso» intervenne il goblin grattandosi dietro l'orecchio con fare sgarbato e imbarazzato allo stesso tempo. «Sulla chimera che cammina dritta.»

«Divina Proportio» pronunciò la fata, l'espressione appena più interessata.

«Una voce era tua» continuò il goblin. «Dicevi di poter dire, ma poi non hai detto.»

«Nam.»

«Qualcuno la cerca» si intromise Caedric, preoccupato che la conversazione tra i due arborei potesse deviare e protrarsi per ore. «E io la cerco per lui» mentì.

«Quis is?» domandò Splendida sollevandosi con grazia.

«Soddisfarò la tua curiosità se tu soddisfarai la nostra.»

oOo

Erianna seppe che era troppo presto prima ancora di essersi svegliata del tutto.

Poteva sentire la stanchezza ancora annidata nei muscoli e lo spettro di un sogno noioso spazzato via di colpo.

La federa del cuscino puzzava di detersivo al limone. Si portò le coperte sopra la testa e si rigirò su se stessa come un baco nel proprio bozzolo.

Le cuffie stereo stavano ancora riversando rumore bianco nelle sue orecchie e sulle sue labbra c'era ancora il sapore amaro dell'Halcion, ma la sua coscienza si stava inevitabilmente riavviando.

Ancora qualche istante, poi le voci sarebbero riaffiorate. Si stavano già formando, piccole e frenetiche come le prime bolle di una pentola d'acqua sul fuoco.

Anche senza vedere, poteva già intuire che la stanza era completamente inondata di luce. Di solito questo le assicurava qualche ora in più di sonno, dato il suo ritmo circadiano sfasato, ma non oggi.

Tirò il filo delle cuffie, arrotolato intorno al suo collo come un pericoloso cordone ombelicale, finché l'mp3 non emerse dalle pieghe della coperta come un pesce attaccato alla canna da pesca e si depositò nella sua mano. Interruppe la riproduzione del rumore bianco, convinta di potersi godere un minuto di silenzio.

Invece la voce di Esther esplose nella sua testa.

La mutaforma era sempre stata particolarmente rumorosa. I suoi pensieri erano torrenti incontrollati di parole che si infrangevano gli uni contro gli altri, sovrapponendosi e mischiandosi, deviando drasticamente il loro corso senza mai interrompersi.

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