Ingrid seguì Avan fuori dalla stanza di Erianna.
La scala a chiocciola era larga almeno tre metri, con gradini di marmo bianco, un corrimano in bronzo stile art nouveau e uno spazio vuoto al centro da cui si poteva vedere il pavimento quattro piani più sotto. L'ambasciatore le scese saltellando come un ordinario scivolo di plastica.
«Ingrid, giusto? Esther dice che sei qui da mezzogiorno. Hai fame?»
«Sì» rispose lei, come se gli avesse appena confermato che il blu era il suo colore preferito.
«Anche io! Vieni, la mensa è al terzo piano.» Saltò per sbaglio due scalini insieme e si aggrappò al corrimano per non cadere. «Cioè, in realtà ho una cucina mia, ma è Esther quella che riesce a non bruciare il cibo.»
Raggiunsero il pianerottolo e passarono sotto l'ingresso a volta. «Il terzo piano è quello delle aree comuni. Mensa e cucine, sala conferenze, stanze inutili mai usate per i ricevimenti» illustrò Avan. «Il secondo ha le stanze degli ospiti. Ho sempre pensato che siano troppe, ma i miei genitori dicevano che non ce ne possono mai essere abbastanza in un'ambasciata. Il primo piano è quello degli uffici, anche se al momento gli addetti alle pulizie sono più numerosi degli impiegati. Il pianoterra per metà è casa mia e per metà zone di transito. C'è un'infermeria – e sorprendentemente anche un'infermiera che ci lavora. Non ventiquattr'ore su ventiquattro, ma la si può sempre buttare giù dal letto in casi di emergenza. Anche mia sorella se la cava, è brava a capire i sintomi dei pazienti, anche se non è efficiente con il pronto soccorso. E io... io me la cavo con i farmaci. Era mia madre quella ci capiva di più di queste cose. Scusa sto straparlando.»
Ingrid non sembrava infastidita. «Darete una camera anche a me?»
«Sì, almeno per stanotte.»
«Quindi sono un'ospite.»
«Sei la benvenuta finché non avrai un posto dove andare. O finché non infrangi qualche legge.»
«Avrò un posto dove andare?»
«Eventualmente. Prima dobbiamo scoprire chi sei. Tu forse non lo ricordi, ma non puoi essere spuntata dal nulla. Qui sei sotto la mia, la nostra protezione. Ci assicureremo che non ti sia stato fatto del male e in caso ti aiuteremo.»
«Come?» chiese Ingrid, e un attimo dopo: «Perché?»
«Domani Esther ti accompagnerà dagli arborei per farti visitare e eventualmente identificare. È un problema per te?»
Ingrid esibì un'espressione neutra, quasi indecisa. «È un problema?»
Avan non seppe cosa risponde. Si fermò davanti a delle doppie porte e frugò nelle tasche.
«Perché?» ripeté Ingrid.
Avan la fissò direttamente negli occhi – aveva delle iridi ametista e le pupille da rettile. «Perché è il motivo per cui esistono le ambasciate,» rispose, come se fosse la cosa più ovvia e più importante del mondo, come se ne andasse fiero. «Da prima che i mutaforma prendessero il potere, da prima che gli arborei diventassero un'autorità, le ambasciate sconosciute esistono per aiutare le persone quando il mondo umano non può.»
«E se io fossi umana?»
Avan aggrottò le sopracciglia. «Allora cosa? Saresti una specie come le altre.»
Ingrid sorrise e Avan estrasse un badge dalla tasca, lo strisciò in un apparecchio sulla parete e le porte produssero un click.
oOo
Dopo averla sperimentata un dozzina di volte, Dorothy cominciava a pensare che la penetrazione anale non facesse per lei.
Il lubrificante rendeva tutto viscido e non necessariamente più comodo e il massimo del piacere che ne traeva era una sorta di massaggio alle viscere che non aveva ancora imparato a gestire pienamente.
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D'incanti e d'oblio
FantasiNDA: cercasi lettori critici, voglio i commenti peggiori di cui siete capaci. oOo Una mutaforma con un passato da prostituta. Un geco mannaro che cerca di seguire orme dei genitori. Una sensitiva sempre più estraneata dal mondo. Un fuoco fatuo che h...