Parte 13 - Quanto contano i desideri

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Quantocontano i desideri

[Lindsay; Brian]

«Pronto?», quando Lindsay rispose al telefono, non si aspettava di sentire la voce di Justin.

«Ciao, Linz», la salutò lui, dall'altra parte del ricevitore, «come stai?».

Lindsay chiamò con un gesto frettoloso sua moglie, e Melanie, con uno strofinaccio in mano, le fu subito accanto. «Stiamo tutte bene. Aspetta un momento: metto in viva voce», disse mentre Melanie mimava con le labbra "chi è?".

Lindsay premette il tasto del viva voce e il primo suono che si sentì fu l'abbaiare di un cane. «Ecco fatto, Justin. Come stai?».

«Justin?!», chiese incredula Melanie. «Tesoro come stai? Che sorpresa sentirti!».

«Ciao, Melanie», rispose Justin, «io sto bene. Spero di non avervi disturbate».

«Oh, figurati, tesoro», gli rispose Melanie, mentre Lindsay tratteneva una risata: la casa era un disastro, avevano da poco terminato di pranzare e c'erano ancora i piatti in tavola. «Ci fa piacere sentirti, ma a cosa dobbiamo questa sorpresa?», andò dritta al punto l'avvocatessa, guardando Linz come a dirle che c'era qualcosa sotto: Justin non si faceva mai vivo, se non per i compleanni e le feste comandate, e il più delle volte era per scusarsi di non essere potuto andare a trovarle o di non poter essere a Pittsburgh.

Dall'altra parte del filo si sentì di nuovo abbaiare e poi Justin rise, un po' teso. «Hai ragione, Mel. Devo chiedere un favore a Lindsay».

«Certo, Justin, dimmi pure», intervenne Linz, scambiando uno sguardo significativo con Melanie.

«Allora io vi lascio soli», li interruppe la donna, «vado a misurare la febbre a Jenny. Un bacio, Justin».

«Jenny è malata?», chiese Justin, ma Melanie stava già uscendo dalla cucina.

«Nulla di grave, non ti preoccupare», lo tranquillizzò Lindsay, «ha solo preso freddo...» Lindsay si sporse per controllare che sua moglie non fosse a portata d'orecchio, tolse il viva voce e riavvicinò l'apparecchio al capo, «e c'era un compito in classe per cui non si sentiva pronta», aggiunse ridacchiando. Justin scoppiò a ridere.

«Cosa volevi chiedermi?», domandò la donna, riportando la conversazione sull'argomento della chiamata.

Justin si schiarì la gola. Esitò. Lindsay intuì che doveva trattarsi di qualcosa di serio e si sedette, spostando indietro il piatto per poter appoggiare il braccio sul tavolo. «Potresti venire a New York?».

«Cosa?», chiese lei, convinta di non aver capito bene.

Justin sospirò. «Ho bisogno di qualcuno che mi faccia da agente e chi meglio di te, Linz?».

«Ma...», iniziò, interdetta, «ci sono migliaia di agenti a New York», obiettò, sinceramente sorpresa. «Perché io?».

«Voglio tornare a casa per un po'», disse lui, sorprendendola di nuovo, «voglio stare con Brian e con Gus, e se fossi tu a occuparti del mio studio, dei miei impegni, mi sentirei tranquillo», rise nervosamente, «so che ti sembrerà strano, ma sarà la prima volta che lascio tutto in mano a qualcun altro e ho pensato che...», si interruppe, evidentemente in difficoltà.

«Justin», lo chiamò lei, con tono affettuoso, «c'è qualcosa che non va? Tu e Brian state bene?».

«Sì», rispose lui senza esitazione, «stiamo bene». Fece una breve pausa. «Ho bisogno di stare un po' con lui, Linz». Il cane abbaiò di nuovo. «So di chiederti molto, ma preferirei che fossi tu a occuparti del mio lavoro; non posso permettere che qui si fermi tutto: ho delle mostre in calendario e so che tu potresti occupartene come lo farei io. Mi fido di te come di me stesso».

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