La bambina che amava il fuoco

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Amava il fuoco da sempre, Annie, da quando era nata. Le zie affermavano convinte che era venuta al mondo con le fiamme ad illuminarle quegli occhietti vispi, il padre si vantava di avere come figlia l'unica mocciosa in grado di accendere un falò qualunque condizione atmosferica ci fosse, la madre era solo preoccupata per i rischi che la bambina correva ogni volta che si avvicinava, incantata, alla stufa a legna.

Perché non si occupa delle bambole come ogni altra bambina invece di bighellonare sempre intorno al caminetto? si lamentava la donna, costantemente impegnata nell'allontanare la figlia dalle fiamme sempre un attimo prima che ci finisse dentro.

Anche quando iniziò ad andare a scuola le cose non migliorarono.

Disegna solo falò e fuochi di ogni genere, riportavano le maestre perplesse. Nel disegnarli è bravissima, ma non fa altro, neanche quando le diamo una consegna specifica da realizzare. Sembra perennemente immersa nel suo mondo.

E i genitori di Annie iniziarono ad essere convinti del fatto che la loro unica figlia vivesse effettivamente in un mondo a parte, visibile solo ai suoi occhietti vispi. Non che si estraniasse dalla realtà o che fosse meno sveglia degli altri coetanei, anzi: sapeva sillabare e scrivere il suo nome e rispondeva in modo pertinente a ogni domanda che le si poneva, senza neanche storpiare la lettera R.

Certi giorni, però, pareva provenire da un altro pianeta, e l'arguzia e la maturità con cui rispondeva alla madre quasi inquietavano i due genitori.

Annie aveva sette anni, e le fiamme le obbedivano. Poteva far fare loro quello che più desiderava, e il fuoco la proteggeva.

Aveva pochi amici, e i pochi che aveva nutrivano per lei un timore maldestro, soprattutto quando iniziava a giocare col fuoco, letteralmente. Incendiava foglie secche e legnetti con l'ausilio di un vetro o di una pietra, tutti ci avevano provato almeno una volta, ad imitarla, in segreto e senza farsi vedere o le madri li avrebbero puniti a dovere, con l'accusa di aver rischiato un'ustione o peggio, un incendio, ma nessuno ci era mai riuscito.

Perché non ci insegni? propose un giorno un bambino, che Annie non considerava propriamente un amico quanto piuttosto un semplice compagno di scuola.

A fare cosa? aveva risposto la bambina con tono innocentemente ignaro.

Ad accendere il fuoco. Tu riesci con quello specchietto, e voglio saperlo fare anch'io.

È una lente d'ingrandimento, l'aveva rimbeccato lei, ma il bambino aveva solo sbuffato, per nulla intenzionato a farsi distrarre dal suo obiettivo.

Avanti, fammi vedere come fare, aveva insistito, strappandole di mano la lente.

Annie per un momento era rimasta immobile, congelata sul posto, troppo stupita dal gesto repentino del bambino per trovare una reazione adatta a quell'affronto, ma si era ripresa in fretta. Assestandogli uno spintone ben misurato l'aveva gettato in terra; il bambino, per ripararsi dall'impatto, aveva lasciato cadere la lente che era volata a qualche centimetro di distanza e che Annie si era affrettata ad afferrare.

Non farlo mai più, gli aveva intimato, e in quel momento il bambino avrebbe quasi giurato di aver visto delle vere fiamme ardere nei suoi occhi normalmente castani.

La lente è mia e solo io la so usare. Solo io sono capace di farle creare il fuoco.

Allora fammi vedere, aveva balbettato il bambino, osservandola timidamente.

Il tono da lui utilizzato per la domanda doveva aver soddisfatto Annie, perché senza dire una parola la bambina si era seduta per terra a poca distanza da lui e aveva iniziato a muovere la lente di qua e di là, intercettando i pochi e flebili raggi di sole che attraversavano le nuvole.

Nessuno avrebbe scommesso un soldo bucato sull'esperimento, vista la coltre spessa che foderava il cielo quel giorno, eppure dopo appena qualche minuto le poche foglie raccolte sotto la lente avevano iniziato a fumare e si erano quindi accese in un'allegra fiammella che si era trasformata ben presto in un fuoco rosso e scoppiettante, incurante dello scarso materiale infiammabile a disposizione.

Non ci credevi che ce l'avrei fatta? domandò Annie al bambino. Beh d'altronde non ti biasimo, questo, lo vedi, non è un fuoco come gli altri, non diventerà mai un incendio, fa tutto quello che gli dico io.

Annie aveva pochi giocattoli, non le interessavano particolarmente e tutti finivano per essere dimenticati in qualche cassetto, così i parenti avevano pian piano imparato a regalarle oggetti utili o acciarini ricercati, doni che la bambina apprezzava di certo maggiormente.

Più o meno segretamente sviluppava la sua arte e aumentava la conoscenza delle fiamme senza che queste avessero mai intaccato la sua pelle o rischiato di bruciarle gli occhi con del fumo, studiava diligentemente ma appena aveva del tempo libero lo impiegava nella ricerca di informazioni riguardo incendi famosi della storia o studi fisici delle reazioni di combustione. Portava avanti i suoi esperimenti nella mansarda della sua casa, sotto un vecchio lucernario che lasciava passare la luce del sole. Nel tempo aveva anche imparato a celare questa sua passione alle persone in modo da non sembrarne ossessionata e da non guadagnarsi l'etichetta di "strana", rischio piuttosto concreto in un paese piccolo come quello in cui abitava.

Annie aveva otto anni quando l'incendio divampò.

La casa divenne un immenso falò, finestre sbarrate dalle fiamme e porte mangiate dalla loro furia distruttrice, pavimenti che crollavano, scale inagibili, beni mobili e oggetti di una vita distrutti in un solo secondo.

I vicini accorsero, fin troppo presto, i pompieri arrivarono, ma troppo tardi. Quando l'incendio venne finalmente domato, e dovettero passare due lunghe ore per questo, entrambi i genitori di Annie furono trovati pressoché carbonizzati. Non si ebbero mai dubbi sulla loro identità solo a causa del fatto che erano da sempre gli unici inquilini adulti di quella casa. Il padre riparava la moglie in un abbraccio mortale, lei si stringeva al petto del marito, raggomitolata su sé stessa.

Sarebbe stato, quello, l'incendio più difficile nelle carriere di ogni vigile del fuoco presente sulla scena. Sembrava vivo, raccontarono poi, e decisamente determinato a combatterci e a sopravvivere con ogni mezzo a sua disposizione.

Annie fu trovata con le ginocchia strette al petto, nascosta in bagno.

Illesa, se si escludono le piccole ustioni che le intaccavano le mani, come se avesse cercato di aprire una porta resa incandescente dal fuoco.

Tutto intorno a lei era l'inferno, lei era viva, unica sopravvissuta senza alcuna speranza apparente.

Le indagini delle autorità riuscirono a portare a un'ipotesi riguardo il punto d'origine delle fiamme ma non riguardo la causa, e i particolari non vennero mai condivisi con il pubblico; le voci sussurrano però che il luogo d'origine fosse molto vicino alla mansarda in cui Annie trascorreva innumerevoli pomeriggi, incuranti dell'improbabilità della dinamica, i paesani continuarono sempre a sostenere quella versione della vicenda.

Come può il fuoco nascere all'ultimo piano e mangiarsi tutta la casa?

Nessuno capì mai come Annie avesse fatto, nessuno mai scoprì definitivamente e al di là di ogni ragionevole dubbio com'era scoppiato quell'incendio.

La casa venne messa in vendita ma finì per rimanere ben presto disabitata: i diversi occupanti che si avvicendarono sostennero e giurarono di aver avuto troppi problemi con le stufe e i camini, in quella casa. Un'abitazione in cui il fuoco sembra tanto ostile non è di certo un'abitazione sicura.

E dal giorno dell'incendio Annie sparì, nessun parente la rivide più.

Si dice sia fuggita, alcuni giurano addirittura di averla vista, in lontananza, chiedere un passaggio verso la città.

Tutti quanti sono però certi del fatto che il suo amore per il fuoco non si è spento, dopotutto lo amava da sempre, Annie, il fuoco; fin da quando era nata.

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