Φne.Ode to sleep

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«Erano invadenti. Troppi. Violenti. Veloci. Sfocati.

Le procuravano un senso di smarrimento, nausea, confusione totale. Erano cattivi. Irreali. Eppure li vedeva: la circondavano. Lei sembrava quasi una bambina. Una bambina che ha paura dei mostri. E allora voleva crescere, voleva diventare grande per non credere più in quelle figure tremende e farle sparire. Se fosse stato facile non si sarebbe mai trovata lì. E come c'era finita? Lei, una felpa grigia, la notte, un'insegna luminosa, un gruppo di ragazzi. Era come se si fosse trovata per tutto quel tempo in una notte annegata in incubi. Poi accadde. Quel suono la fece risvegliare. Un suono penetrante che accompagnava il suo battito cardiaco, lo incoraggiava ad andare avanti e a tornare in sé. Proveniva da ciò che c'era oltre quella porta accanto a lei. E voleva seguirlo, doveva trovarlo e assaporarlo per curarle l'anima, la mente. E porre fine a tutto.

"Allora? Ce la fai con quel portafogli, Chase? O deve aiutarti la mammina?", gridò Thea trepidante dall'adrenalina contro uno dei ragazzi. Non riusciva a star ferma, teneva le braccia conserte e continuava a fare dei piccoli giri su se stessa, per scacciare via l'impazienza.

Lei nel frattempo osservava quella porta di legno spessa, come un cane che piega la testa quando è attratto da una luce su un muro. La stavano controllando di nuovo, ormai non era più in sé e non se ne rendeva conto. Ma quel battito profondo la trasportava verso l'interno del locale e le parlava. Quella è lingua dei demoni mentali. Una voce che in pochi riescono a percepire.

"D'accordo, andiamo che stanno per cominciare!". Thea la prese per un polso d'improvviso e questo bastò per distrarla da quel vortice di attrazione irreale. Scosse un po' la testa e cercò di stare al passo della sua nuova amica.

"Vedrai, ti piaceranno da morire", la tranquillizzò alzando la voce mentre spingeva la porta. L'unico confine tra lei e quella confusione che avrebbe riordinato il suo cervello era crollato.

Il paradiso in quel momento sembrava così scuro...

... e disordinato...

... rumoroso.

Non sapendo come muoversi nella folla e nel buio, mantenne stretta la mano di Thea che la trascinò per una trentina di secondi verso il fondo del locale. Ma non era decisamente un "fondo", aveva più l'aspetto di un palco. Ma era impossibile capirlo, dato che era scesa una notte pesante all'interno dell'edificio. Ci fu qualche momento di confusione generale, qualche spinta dalla gente, uno strattone dalla sua amica e poi si fermò. Riusciva a percepire un qualcosa di imponente davanti a lei. Poi dei passi sul legno. E, infine, silenzio. Un lungo, interminabile minuto di silenzio. Si potevano sentire i respiri di ogni singola persona e li si potevano ricondurre ai loro proprietari per quanto sembrassero nitidi, anche non conoscendoli.

E fu un istante.

Il primo contatto fra i demoni di due menti differenti nacque per colpa di una canzone.

Suoni sinistri cominciarono a fuoriuscire da grossi amplificatori e strisciarono sul pavimento scuro; si insinuarono tra le centinaia di gambe nella sala, vi si attorcigliavano, le sfioravano con perversione, cercando il loro padrone. Quando l'ebbero in pugno, penetrarono nella sua mente con un esplosione di note nitide e potenti. Le mandarono il cervello in confusione, fin quando una voce si fece spazio nei suoi timpani, quasi opprimendo la traccia musicale, come se fosse più forte e vi si dovesse prostrare. Una voce acuta, non tenebrosa, ma non per questo poco inquietante. Pareva ancora tutto sotto controllo; quando poi la musica si evolvette con la stessa forza di quella voce, l'atmosfera si caricò di inquietudine. Il ritmo aumentò, la violenza della musica divenne più incalzante, sembrava che il mondo stesse per scoppiare. Fu in quel momento che la musica divenne più orecchiabile ed il sollievo sfumò lentamente tra i suoi capillari. Adesso la stava tranquillizzando: si sentì a suo agio, anche se una macchia di diffidenza copriva ancora parte della sua mente. Poi lo vide. Quel baratro profondo dal quale sgorgavano tutte quelle innumerevoli parole che scorrevano impetuose aveva un volto. E lei si accorse di questo nel ritornello, quando la sua voce si fece più alta e lenta. Una lunga t-shirt bianca, dei jeans neri, un cappello nero, dei piccoli tatuaggi sulle braccia non perfettamente riconoscibili. Il viso, coperto dal cappello all'altezza delle sopracciglia, non era davvero distinguibile, la carnagione era indecifrabile date le numerose luci puntate sul palco. Gli occhi erano semplicemente due buchi scuri che dovevano contenere un passaggio per quel baratro senza fondo; e guardarlo dal basso verso l'alto non aiutava a capire che forma avessero il suo naso e le sue labbra. Sapeva solo qual era il suono della sua voce, e cominciava a piacerle. Le piaceva il modo in cui le aveva penetrato l'anima e come le risuonava nello stomaco. Poi l'improvviso ed ennesimo scoppio della base musicale le provocò come una sensazione di piacere, e cominciò ad abbandonarsi a quella piacevole tentazione di sprofondare nelle braccia di quei nuovi demoni. E chiuse gli occhi, ondeggiò con il busto accompagnata dalle parole che si riversavano una sull'altra, velocemente. Si era unita insieme agli altri corpi attorno a lei, come se fossero cadaveri che ballavano ipnotizzati da quella melodia che era la traccia preferita dalle loro ombre.

Poi la rabbia delle note si placò e lei riaprì gli occhi, come se si fosse risvegliata. Lui era lì davanti che, con un movimento impacciato e stanco, si accovacciava al limite del palco: teneva con una mano il microfono alla bocca e, con l'altra, si aggiustava un' estremità del cappello. Ora distingueva qualche centimetro in più del suo viso, ma non abbastanza da ottenere un perfetto disegno di lui nella sua mente. L'unica certezza che ebbe di quella figura misteriosa furono i suoi occhi, che si intrecciarono in uno sguardo solo con quelli di lei. Furono pochi istanti, ma giacché la dimensione della realtà si era spezzata da poco più di dieci minuti, quegli istanti furono più lunghi di una vita intera. Una vita instabile circondata da secondi veloci. Quello sguardo era una responsabilità, ma era anche una promessa.

La promessa che non sarebbe stata la fine di quell'incontro, anche se effettivamente era giunta e lui sarebbe scomparso dietro il palco.

"I'm sorry".

Lei si chiamava Mildred. Un nome complicato, diverso. Tyler era attratto da tutto ciò che fosse diverso, che mandasse in confusione, che era un casino e che risultasse appartenente ad un'altra dimensione. Esattamente come lo definivano.

Mildred non era mai stata come lui. Non si era mai trovata ai piedi di una parete fredda nella sua stanza con i gomiti appoggiati sulle ginocchia e la testa retta dai palmi delle mani. Con i capelli lunghi e sudati penzoloni ai lati del capo, le labbra schiuse a far uscire quei respiri affannosi di un cervello in corsa. Una fuga da ombre sconosciute che, come una malattia contagiosa, che è impossibile concepire come si sia presa, sono comparse di prepotenza e all'improvviso negli emisferi della sua materia. Poi le lacrime che tracciano percorsi spessi e corrosivi su quel poco di carne che le resta da proteggere, che spera un giorno si putrefaccia. Non era mai stata colta da un senso di smarrimento fuori casa, trovandosi a divagare per un vicolo cieco cercando di trovarne una via d'uscita. Non era mai finita per rimanere imbambolata sulla propria sedia, durante la lezione, e non riuscire più ad uscire da quello stato di trance. Oppure davanti allo specchio del bagno di casa, a fissare i propri occhi senza riconoscerne il colore, senza ricordare quanti momenti abbiano accatastati tra le radici. Senza sapere chi fosse diventata.

No, lei non aveva mai avuto questo genere di complesso mentale. Lei era sempre stata una ragazza normale, innocente. E vi dirò che la preda più prelibata e ricercata da quei serpenti trasparenti è proprio la vulnerabilità. A loro non piacciono i pazzi, i ritardati, i criminali, loro vanno a caccia di normalità, perché ne hanno bisogno. Hanno la necessità di trovare una certezza nella loro dimensione di insicurezza e smarrimento e la vanno a ricercare esattamente nella sensibilità e nell'innocenza. La cosa che lasciò aperta la porta del subconscio di Mildred per far in modo che i demoni facessero irruzione nel suo cervello, nessuno saprà mai quale fu. Ma so che sono entrati di notte, strisciando fra le lenzuola ed esplodendole nel sonno.

Da quel momento non se ne liberò più. Ruppe i legami con chiunque e se ne trovò di altri, più simili a lei ma che, in realtà, non avevano nulla in comune.

Conobbe Thea, una ragazza dai capelli lunghi e biondi, abituata ad essere un animale da festa con il suo gruppo di amici e che si era prefissata di dare una svolta alla vita di Mildred. Quel venerdì sera l'aveva portata proprio al Basement e Tyler non si sarebbe mai immaginato di provare tanta attrazione per una ragazza da quando i suoi cari amici scuri avevano traslocato nel suo cervello. Ma era ancor più impensabile che quella scossa energetica che gli aveva dato sotto quel palco, con quello sguardo, sarebbe stato un ponte per raggiungere l'altra sponda del suo baratro. Finalmente. Erano una salvezza reciproca che cercavano da troppo tempo. »

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⏰ Ultimo aggiornamento: Mar 19, 2019 ⏰

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