La sacerdotessa dimenticata

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Girovagavo qua e là tra le casupole addormentate, il mio passo altalenante risentiva della stanchezza del viaggio. Non pretendevo di sapere dove fossi giunto nè che ora si fosse fatta, ma almeno di riposarmi un poco prima di riprendere il mio incedere.

Mi guardai i piedi, stremati a tal punto che tremavano leggermente, o forse era il freddo. Non riuscivo a comprenderlo, oramai non mi ponevo più questi quesiti da così tanto tempo che mi parve insignificante farseli ora.

Alzai lo sguardo verso il cielo, una coltre di cumulonembi cingeva la volta celeste con il suo nuovo abito grigiastro, costellato di scarne macchie bianche, piccoli batuffoli rimasti incastrati qua e là che gli davano quella parvenza di innocenza, se non fosse che avevano inghiottito il sole, quel dolce astro luminoso che ora adornava quell'enorme spettro minaccioso.
L'aria era impregnata di gelide schegge che si conficcavano nella pelle con prepotenza; cercai di coprirmi con il mio mantello lacerato e farmi un po' di caldo, però il tentavo sortito era minimo.
Diedi uno sguardo al paesaggio che si stagliava attorno a me, silenzioso e sinuoso come un pitone che avvolge tra le proprie spire la propria preda prediletta, era muto e non vi si scorgevano che poche dimore abbandonate e dimorate dal tempo.
Decisi che sarei andato a sonnecchiare e passai con lo sguardo i pochi edifici. Non vi era nulla di eclatante se non qualche rovina qui e là. Vidi un tempietto, al cui interno ardeva una flebile fiammella posta in una piccola lucerna, decisi di avvicinarmisi, e curioso per quel particolare dissonante mi incamminai in quella direzione.

Una volta giunto all'entrata vidi rannicchiata, in posizione fetale, ai piedi di una colonnetta, una diafana fanciulla con addosso una veste cerimoniale anch'essa perlacea, aveva sparsi sul marmo i suo capelli argentei, come una degna regina di Chronos. Forse stava dormendo non riuscivo a comprenderlo, tuttavia una cosa la percepivo: il suo delicato corpicino emanava un'aura strana, di antica potenza e ne ero intimorito; questo è il motivo per cui non mi avvicinai e non tentai nemmeno di coprirla. Le mie viscere, non appena ebbi posato lo sguardo su di lei, furono strette da una morsa invisibile e violenta, tanto da farmi allontanare sempre di più da quel luogo strambo.

Eppure ciò non fu sufficiente: silenziosa come una pantera, l'anonima fanciulla mi arrivò alle spalle e con una velocità impressionante mi puntò con la mano destra un coltello che assomigliava molto alla lama netjeri egizia, utilizzata nel rito dell'apertura della bocca, mentre con la destra mi teneva fermo in una stretta ferrea, inconcepibile per una ragazza con quella stazza.
- Hai pochi secondi a tua disposizione per spiegare cosa vuoi da noi.
Dopo che ebbe finito di parlare, non riuscii a comprendere cosa intendesse con quel "noi".
Sennonché ecco arrivare un suono, così flebile che pensai in primis di averlo immaginato, poi però ne arrivò un altro, identico al precedente ma con diversa potenzialità sonora... Mi presi qualche minuto e solo dopo aver associato a quel suono il rispettivo concetto riuscii a comprendere: la fanciulla era rannicchiata su due neonati e ora lei li stava proteggendo, temendo che avessi chissà quali intenzioni.
Mi sentii morire, non solo perché quelle due creaturine stavano in quella situazione ma anche perché comprendevo le ragioni del comportamento della ragazza: ciò che la guidava era l'amore e l'istinto materno.
- Non era mia intenzione spaventarti e l'unico motivo per cui sono giunto in questo tempio è che ero infreddolito e curioso di sapere del perché ci fosse una lanterna ancora accesa, visto il paesaggio desolato.
Mentre parlavo, sentivo il suo respiro sul collo, una volta finita la frase si scostò un poco e mi lasciò andare, solo allora potei osservarla meglio.
Ciò che attirò maggiormente la mia attenzione furono i suoi occhi azzurri, così chiari da sembrare il riflesso di uno specchio azzurrino, glaciale il modo in cui mi guardava; i suoi capelli che a prima vista mi erano parsi argentei erano in realtà biondicci, la sua postura serbava un'antica nobiltà e nonostante la trascuratezza del vestiario, che a primo impatto non si scorgeva nemmeno, si ergeva come una dea della guerra, bellissima ma letale.
Diedi un'occhiata alle sue spalle e vidi due fagotti, così piccini che forse erano appena nati, ma così belli da far mozzare il fiato: uno di questi aveva i capelli biondi e gli occhioni ambrati, l'altro aveva i capelli castani e gli occhi del medesimo colore.
La sacerdotessa intercettò l'oggetto della mia contemplazione e si incamminò verso di loro, solo in quel momento mi accorsi che era scalza, eppure non pareva soffrire il freddo.
Li raccolse con una delicatezza disarmante, se si pensa che in quella stessa mano, un attimo prima, stringeva un pugnale, e cominciò a incamminarsi verso una meta che solo lei conosceva.
Mi decisi a interrompere il mio soliloquio e di domandarle, ciò che la mia mente razionale aveva urgenza di sapere:
- Chi sei?
Si voltò senza nessuna fretta e inchiodò i suoi zaffiri scoloriti nei miei. Il suono della sua voce era un'antica melodia sublime carica di malinconia.
- Non ho più un nome, tuttavia mi chiamavano "Myr, la Sacerdotessa". Questi due sono i miei figli, gli unici gioielli della mia vita, la gente ha timore di loro, li considera alla stregua di demoni. Non si rendono conto che sono solo dei bambini nati dall'amore. E tu viandante, cosa ci fai nel Paese delle Nebbie?
Scorsi uno strano bagliore nei suoi occhi, ma ero troppo insonnolito per poter comprendere effettivamente le sue parole. Così mi lasciai sopraffare dal torpore che iniziò a dilagarsi tra le mie membra e caddi incosciente, emettendo un flebile richiamo.

L'ombra di qualcuno - Storia di un animo laceratoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora