Problema

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Si frangerà l'onda color rubino
sui miei piedi spargendo mille stelle.
                                  -Kostas Kariotakis

Pov. Ariel
Passarono una decina di giorni dall'ultima volta che vidi Karim,su quel muretto.
Passarono una decina di giorni in cui lasciavo di bar in bar il mio piccolo curriculum.
Le ore passate al campetto di dimezzarono drasticamente per non dire che ci andavo solo per un saluto veloce.

Fu così che questi giorni infernali si sbriciolarono non appena David,quel pomeriggio,mi chiamò intimandomi di non raggiungerli.

"Perché che succede? State tutti bene?" Chiesi guardando il mio riflesso nel piccolo bagno di casa.

"Si,stiamo tutti bene non ti preoccupare. Però non venire ok?" La sua voce si affievolì a poco a poco e la sua supplica mi fece fermare il respiro.

"C'entra lui non é vero?" Morsi il labbro sentendo il cuore pesante.

"Fiamma nuova."

"Non sono così sorpresa a dir la verità. Cos'é...la quarta di questo mese?" Deglutì allontanando il telefono per prendere un respiro profondo.

David rimase in silenzio quasi avesse capito ciò che stavo facendo per non crollare. Un sospiro lasciò le sue labbra coprendolo poi con un piccolo accenno di tosse.

"Ti voglio bene Bella." Un piccolo sorriso increspò le mie labbra torturate e solo ad allora mi accorsi che una lacrima stava solcando la guancia destra.

"Anche io." Riattaccai velocemente,senza neanche salutarlo,lasciando poi il cellulare sul mobiletto al mio fianco.

Fredda,crudele quasi meschina scivolava lungo la pelle troppo bianca per essere bella.
Gli occhi lucidi erano troppo grandi,vi era una tempesta troppo impetuosa al loro interno.
Quale marinaio avrebbe avuto così tanto coraggio a intraprendere un viaggio tra onde così violente.
Quale marinaio avrebbe rischiato il suo grande veliero per una come me,una tal donna fantasma.

Un tonfo al di la della porta mi fece tornare alla realtà.

Respira. Occhi al cielo e maschera di apparente tranquillità.

Raggiunsi la cucina in cui trovai l'uomo che ricurvo sulla sedia,si passava freneticamente le mani tra i capelli. Mi avvicinai ed un foglio giallognolo quasi fosse stato macchiato mi fece tremare.

I suoi grandi occhi azzurri,rossi dalle lacrime trattenute,finirono nei miei.

Crack.

"Papà..." Sussurrai avvicinandomi velocemente finendo per stringerlo tra le braccia.

Il suo corpo iniziò a tremare ed i singhiozzi si fecero sempre più sonori se non per la felpa che li attutiva. Le sue braccia ricadevano lungo i suoi fianchi,molle,quasi prive di vita. La busta strappata sul tavolo,la lettera con scritto poco e niente se non frasi distruttive ed una semplice firma.

Si forte. Si forte.

"Papà...ei." Le mie mani circondarono il suo viso sollevandolo.

Crack.

"M-mi dispiace piccolina." Un singhiozzo lasciò di nuovo le sue labbra ed i suoi occhi entrarono sfiniti nei miei.
"Adesso come f-faccio..."

"Come?" Chiesi,con poco fiato,sentendo le spalle cedere.

"L'azienda non andava molto bene ed hanno dovuto tagliar fuori del personale." La sua grande mano levò le lacrime che ancora giacevano sulle sue guance.

"Troveremo una soluzione. Puoi sempre andare a chiedere per il posto di guardiano in quell'officina..." Non riuscì a finire la frase che iniziò a scuotere vigorosamente la testa in senso di diniego.

"C'è una cosa che non t'ho mai detto." La sua vice si fece più dura e sul suo viso calò una maschera di freddezza.
"H-ho dei debiti con una persona." Mi inginocchiai al suo lato tenendo le sua mani quasi fossero un sostegno.

"Risolvere-..." La sua mano si sfilò dalla mia finendo a stringere la spalla.

"Quell'uomo é il capo degli Scorpion."

Deglutì vistosamente lasciando ricadere le mani a terra.
Gli Scorpion o anche una delle gang più temute nel Bronx.
Nati dalle case sfasciate e cadenti,questo gruppo evolse negli anni acquisendo l'appellativo di "intoccabili". Pur avendo a disposizione un ampia armeria,agli occhi della polizia erano pacifici.
Chiunque avesse avuto problemi con tali persone non sarebbero state aiutate da alcun tipo di agente.
Si sapeva che ormai i poliziotti di alcuni quartieri fossero stati condannati a tradire la bandiera ed il giuramento sotto minaccia di questi. Si sapeva come no.

"Perché non me lo hai mai detto?"

"E darti altri problemi?" I suoi occhi finirono sui giochi sparsi a terra.

"Non dire che é un problema. Non lo é mai stato." Dissi alzandomi frettolosamente.

"Ah si? Hai ventitré anni e più vissuto di tutti quegli scellerati." Il suo sguardo ricadde sulla lettera che prese poi in mano stropicciandone leggermente l'angolo.
"E ciò che é successo non é stato altro che la goccia che ha fatto traboccare il vaso."

"Quando tornerai in tè chiamami." Replicai duramente con voce che non mi apparteneva ma,si sapeva che la rabbia era veleno infallibile. Lo guardai un'ultima volta,presi le chiavi sul tavolo e le sigarette,poco prima di uscire.

Camminai a lungo fino ad arrivare difronte la piccola casa color panna con il giardino curato sul davanti. L'unico presente,forse,nei diversi quartieri. Superai il portico ricolmo di gelsomini rossi accesi ed arrivai alla porta color verde abete.
Bussai un paio di volte e Giusy comparì poco dopo,sorridente come non mai.

"Amore della zia che é successo? Sembri stravolta..." La sua mano affettuosa finì sulla mia spalla spingendomi dolcemente ad entrare.

L'odore di torta al cioccolato mi colpì facendomi sorridere e i suoi occhi preoccupati finirono nei miei.
Giusy,chiamata anche Zia Gio,non era altro che una donna che per molti anni mi prese sotto la sua ala protettrice.
Sacra donna di umili origini,dagli insegnamenti ferrei e dall'amore sfegatato per il jazz era stata colei che più si avvicinò ad essere una madre.
La sua pelle color caffè sembrava ancora più lucente con quel grembiule che anni prima le avevo regalato con i pochi risparmi racimolati.

I'm the boss stampato sul petto non le rendeva comunque giustizia se non per il mestolo che ogni tanto stringeva tra le mani con fare aggressivo.

"No,basta problemi per oggi." Scrollai le spalle e lei sembrò capire sgambettando velocemente verso la cucina.

"TU...PICCOLA SCIMMIA INGRATA!!" Urlò facendomi ridacchiare. La raggiunsi in poche falcate trovandola a fianco di colui che aveva creato scompiglio nel suo mondo. Colui che ancora cercava di intimorirla tenendo i pugni stretti sui fianchi.

"Joshua." Lo richiamai ed i suoi occhietti finirono velocemente sulla mia figura. Come un fulmine si fiondò verso di me saltandomi poi in braccio urlando a gran voce.
Le sue braccia avvolsero il mio collo in una morsa ferrea e il suo viso finì tra il quest'ultimo e la spalla.

Lasciai un bacio sui suoi capelli sentendo il suo sorriso crescere smisuratamente e il mio cuore riprese finalmente a battere.

Il gioco del silenzio.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora