- "AL CORE VORACE CHE MAI ARRECA PACE, IO PARLO SOLTANTO DI TE"

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❝Ma caro,
come faccio
se io vivo
sol in tua presenza?❞

𝚗𝚎𝚒 𝚖𝚎𝚍𝚒𝚊: "We don't talk together" (Piano Version) bySuga

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𝚗𝚎𝚒 𝚖𝚎𝚍𝚒𝚊:
"We don't talk together" (Piano Version)
by
Suga

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Una farfalla stretta in un palmo di mano e due dita che sembrano quasi accarezzarla, intimorite, e non sanno che le pareti di quelle mani si tingeranno di un rosso scarlatto e fingeranno di avere tempere ovunque o essersi ferite con una matita appuntita.
La natura continua il suo irrimediabile passare, con Flora che cammina entusiasta su petali di giunchi caduti, strappati, che magari rinasceranno come nell'Antipurgatorio dannato, subito dopo la presa di Virgilio.
E dimmi, mio caro, che accostamenti potrebber mai esser questi mentre sto divertendo la mia mente e il mio inconscio nel continuo sperare di aver un'anima, o magari soppeseranno anche il mio cuore su di una bilancia per mandarmi al Paradiso?
E caro, caro mio caro, se dovessi perire nell'Inferno tuo, accoglimi tra le tue braccia calde, oppure ricercami tra i morti suicidi, chiedendo al soave Catone l'Uticense.
Lui t'aiuterà, mio caro, perché anch'io ho visto le pene dell'Inferno da vivo, seduto su di una sedia a dannarmi con me stesso quando tu non c'eri.
Anch'io ho visto la mia pelle lacerarsi, non ho bisogno di aspettare di espiare le mie colpe o sperare che qualcuno preghi per me.
Ho visto Beatrice passarmi davanti a braccetto con le mie gioie o soddisfazioni mai avute, mentre io speravo nel perdono divino.
E caro, nessuno ha mai detto che noi non possiamo amarci mentre io vivo di una nostalgia perenne ad occhi stretti per non piangere.
Nessuno ha mai proferito o esplicato una parola sul non poter amare le tue curve o le tue protuberanze.
Nessun mai m'hai detto, o narrato, o non ho mai letto di un Dio che non perdona l'amore, che lascia gli altri con un cuore marcio e rose ammuffite.
Ma semmai dovresti andartene come tuo solito fare, caro, ritornerai come Marzia in simbolo di fiducia nei confronti del tuo cuore?

Il suono dei suoi passi cauti riecheggiava nella solita stradina che proseguiva per il rientro alla sua benamata "casa", che altro non era che un piccolo motel più in periferia in una zona di cui prima non conosceva neanche l'esistenza, ma che adesso era il suo luogo di parcheggio dal mondo, perché si poggiava lì ed era sicuro di non perdersi con altri.
E Namjoon non udiva i suoni del mondo, osservava e basta, interdetto, il continuarsi di un destino in cui un fantomatico pazzo tentava di credere.
Proseguiva cauto e vedeva le classiche commercianti vender frutta per strada, accompagnate dalle risa di qualche anziana o dal vagito di un neonato.
Namjoon osservava quella ormai classica signora che portava il proprio pargolo per mano, mentre lui di tanto in tanto le tirava l'orlo del suo vestitino primaverile alla ricerca d'attenzioni e un po' d'affetto.
Namjoon si perdeva in dettagli, futili dettagli, come le lentiggini sul volto della donna, simili alla costellazione d'Andromeda, o sui ricci di quella creatura, simili al mosso di Elena.

Una volta arrivato a casa, le sue iridi vennero impossessate dalla figura del suo caro sul divano, con le labbra schiuse mentre sopiva e riposava leggiadramente.
E probabilmente era anche lui all'imperterrita ricerca di un po' d'amore, effimero se non puoi -"Loro non possono, due ragazzi non scopano"-  e invece loro si fregavano di tutto e scappavano dalle grinfie dei loro doveri.

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